I brand beauty stanno sottovalutando gli sport femminili?
Caitlin Clark e Angel Reese sono pioniere, ma la strada da fare è tanta
09 Aprile 2024
Facciamo un gioco. Se vi chiedessi quali atlete donne italiane vi vengono in mente, così sul momento, chi rispondereste? E se Carolina Kostner e Paola Egonu non valessero? Ancora, quanti sguardi un po' vuoti e immersi nei propri pensieri raccoglierei se vi chiedessi di parlarmi di accordi tra brand di beauty, skincare e make-up e le atlete di cui sopra? Quello che queste domande (e le possibili risposte) evidenziano è un vuoto, un vuoto nelle partnership tra rappresentanti di sport femminili e marchi che alle donne vendono o cercano di vendere tutti i giorni, e che dovrebbero iniziare a farci un pensierino. Perché? Perché negli Stati Uniti stanno finalmente iniziando, e non funzionano mica male.
Il boom del basket femminile negli USA
Lo sport femminile, ed è un fatto, viene seguito meno di quello maschile, in assoluto. Non sarà così per sempre. Le cose oltreoceano stanno cambiando, anche se lentamente. Un esempio su tutti: qualche giorno fa la semifinale universitaria di pallacanestro femminile tra la squadra dell'Iowa e quella dell'Università della Louisiana - che vedeva una contro l'altra due delle atlete più promettenti del momento, Caitlin Clark e Angel Reese - è stata la partita di basket più seguita sulla rete sportiva ESPN. Un segno che il pubblico degli sport femminili sta crescendo e non ha intenzione di fermarsi. E mentre cresce il pubblico - non solo nel basket e non solo in occasione di eventi speciali, come le Olimpiadi e la Coppa del Mondo - cresce anche il giro di affari, come è naturale che sia.
Lo sport femminile sta crescendo, e i brand stanno rimanendo indietro
Secondo Deloitte, nel 2024 i ricavi degli sport femminili d'élite quest'anno supereranno per la prima volta nella loro storia il miliardo di dollari. In questo conteggio sono compresi gli accordi di sponsorizzazione e la vendita di merch. E allora, perché i brand di beauty, skincare e make-up non entrano nell'arena? Alcune atlete del basket stanno facendo da pioniere, mentre negli sport maschili questa pratica è già abbondantemente sdoganata. Angel Reese, per esempio, ha scelto Vogue per annunciare la sua partecipazione al draft della WNBA e ha firmato contratti con McDonald's, Xfinity, Wingstop e JanSport, mentre Caitlin Clark sta lavorando con Nike, State Farm e Gatorade. Gran parte dei marchi, però, continua a trascurare gli sport femminili, perché il pubblico è più piccolo, e la scommessa è considerata un po' rischiosa. Tra le motivazioni sommerse, poi, non escludiamo una certa dose di sessismo e razzismo, che troppo spesso si infiltrano nelle tifoserie, come ci ha dimostrato abbondantemente il caso di Guadalupe Porras Ayuso. E se dare una sponsorship a un'atleta donna significasse, per alcuni marchi, alienare una fetta di pubblico?
Gli esempi virtuosi di accordi tra brand beauty e sportive
Queste motivazioni di matrice culturale e sociale diventano meno valide a mano a mano che il pubblico cresce, e per fortuna. Lo hanno capito i marchi di scarpe (Nike, ad esempio, sta investendo moltissimo sul calcio femminile con campagne e accordi, uno su tutti What the Football, che ha coinvolto calciatrici del calibro di Ada Hegerberg, Alex Morgan, Chloe Kelly e molte altre) e lo hanno capito Mielle Organics e L'Oreal Paris, che hanno stretto accordi rispettivamente con Reese e Juju Watkins e con Mary Fowler, stella del calcio australiano e adesso anche ambassador del marchio. E.L.F, dal canto suo, ha appena annunciato di essere diventato il primo partner di bellezza della Professional Women's Hockey League. L'approccio rimane nella maggior parte dei casi ancora molto cauto, legato a eventi specifici. Lo ha ammesso candidamente Casey Murphy, portiera della squadra di calcio femminile North Carolina Courage (nella National Women's Soccer League) e della nazionale femminile degli Stati Uniti d'America. "È difficile entrare in quelle aziende e spiegare cosa faccio, spiegare che le atlete vogliono esprimere comunque la loro femminilità, in qualsiasi forma la intendano".
La femminilità tradizionale e quella "sportiva"
Qui casca l'asino. Che il problema sia, come ha sottolineato la portiera, legato a una definizione "tradizionale" di femminilità? Gran parte dell'industria del beauty, del make-up, del wellness e della skincare, infatti, porta avanti ancora oggi e nonostante tutti i cambiamenti un'idea di donna femminile e attraente in maniera rassicurante, che si lega a doppio filo a quella di magrezza e spesso anche di purezza e delicatezza della donna. Forse è per questo, ad esempio, che Sha'Carry Richardson viene scelta come testimonial della collaborazione tra Nike e Jacquemus, ma non di un brand di skincare. O che la calciatrice svizzera Alisha Lehmann, che scende in campo truccata di tutto punto, non sembra avere nessun accordo commerciale con marchi di make-up. La femminilità delle sportive, spesso, è vista nel peggiore dei casi come mascolina, forte, poco relatable e nel migliore dei casi come nuova, da inquadrare in maniera diversa quando si tratta di venderla a una fetta di pubblico. È una sfida, senza dubbio, ma una sfida che potrebbe aprire a nuove possibilità, sia da un punto di vista economico che da un punto di vista culturale e sociale. Eppure, ancora oggi, un velo separa il mondo del make-up e del beauty da quello dello sport.
Il momento di agire è adesso
Senza dubbio qualcosa si muove, almeno oltreoceano. In Italia si rimane qualche passo indietro, ma da un punto di vista prettamente economico il miglior momento per agire è proprio adesso. Secondo Business of Fashion, infatti, scoprire un'atleta quando è ancora in erba pone tutta una serie di vantaggi e permette accordi più convenienti e meno competizione. Approcciarsi ad atlete già affermate, invece, potrebbe significare una più dura competizione e una percentuale di rischio più alta. I marchi, però, non possono certo aspettarsi un ritorno immediato sugli affari. Lo sport femminile ha bisogno di ancora un po' tempo, l'importante è non farsi trovare impreparati.