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Brutti per i social, inadeguati per noi stessi: l’autostima nell’era digitale

Stiamo perdendo la guerra invisibile tra autostima e illusione della perfezione

Brutti per i social, inadeguati per noi stessi: l’autostima nell’era digitale Stiamo perdendo la guerra invisibile tra autostima e illusione della perfezione

Non è facile dire sinceramente "io mi voglio bene", "vado bene così come sono". C’è chi impiega tutta una vita per arrivarci. Autostima e autoacettazione sono i risultati di tanti fattori e esperienze, di percorsi altalenanti e accidentati, di compromessi tra chi siamo, chi vorremmo essere e chi il mondo vorrebbe fossimo. È doloroso. Estenuante. E sempre più complicato. Nell’era della digitalizzazione e della costante connessione, la percezione di sé e la costruzione dell’autostima sono profondamente influenzate da dinamiche socioculturali sempre più pervasive. Le immagini ritoccate, i filtri di bellezza e le pose studiate contribuiscono a creare un’illusione di perfezione che è irraggiungibile per la maggior parte delle persone. Se aggiungiamo il continuo confronto sociale non è difficile capire perché il senso di inadeguatezza sia sempre più diffuso, spingendo molti di noi a una ricerca incessante di validazione esterna o, nel peggiore dei casi, al burnout

Social Comparison Theory: perché guardare i corpi e le vite altrui è dannoso

Internet è un mare di persone hot. Gli influencer che monopolizzano i nostri feed sono eternamente giovani, hanno visi simmetrici, pelle di vetro e corpi snelli, tonici, perfetti, convenzionalmente attraenti. Così come le vite che mettono in scena davanti all’obiettivo, in una performance continua nella quale il cibo è goloso, invitante, l’arredamento curato, gli abiti alla moda e anche i momenti di down, le lacrime e le malattie sono sempre in qualche modo glamourizzate. Quando distogliamo lo sguardo dal video e lo rivolgiamo a noi stessi e a ciò che ci circonda, banale e ordinario, delusione, senso di inadeguatezza e persino senso di inferiorità ci ingoiano.

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È la stessa dinamica teorizzata dalla Social Comparison Theory, formulata dallo psicologo Leon Festinger nel 1954, che sostiene che gli individui valutano se stessi confrontandosi con gli altri per ottenere un senso di autodefinizione e autostima. Festinger distingueva due principali tipi di confronto sociale: il confronto verso l’alto, che avviene quando ci confrontiamo con persone che consideriamo superiori o più competenti in un determinato ambito; e il confronto verso il basso, che si verifica quando ci confrontiamo con persone che percepiamo come meno competenti o in una situazione peggiore della nostra. Se questo ultimo tipo di confronto può aiutarci a sentirci meglio con noi stessi e a rafforzare la nostra autostima, il primo, invece, tende a generare insoddisfazione e bassa autostima. Ed è quello che succede in modo amplificato con i social media. L’esposizione costante a corpi e volti filtrati rende il cervello incapace di distinguere tra realtà e immagine modificata, portando a una percezione distorta del proprio aspetto, a una costante insoddisfazione e senso di inadeguatezza.

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L’impatto dei social media sulla salute mentale e l’autostima

Non c’è da stupirsi, quindi, se numerosi studi hanno dimostrato che l’uso eccessivo dei social media è correlato a livelli più elevati di ansia, depressione e bassa autostima. Uno studio del 2023 ha scoperto che una su sette ragazze di età compresa tra 16 e 24 anni ha pensato di porre fine alla propria vita a causa del confronto con gli altri sulle piattaforme dei social media, mentre un rapporto del 2024 del Self-Esteem Project di Dove ha scoperto che il 90% delle ragazze di età compresa tra 10 e 17 anni segue almeno un account sui social media che le fa sentire meno belle. Negli ultimi anni, si è registrata una flessione preoccupante nei livelli di autostima anche in Italia, soprattutto tra le nuove generazioni. Secondo un sondaggio del 2025, il 17,2% dei giovani italiani dichiara di avere un’autostima molto bassa, mentre quasi il 50% si sente inadeguato rispetto a ciò che vede e legge sui social media. Inoltre, il 38,1% non è soddisfatto del proprio aspetto fisico.

L'infinita ricerca di una validazione esterna

Nonostante gli standard di bellezza esistessero molto prima dei social, è innegabile che la costante comparazione con gli altri e la ricerca di approvazione online possano portare a un circolo vizioso di insicurezza e dipendenza emotiva. Viviamo per un like, per imitare la perfezione che vediamo su Instagram, in una cultura visiva e virtuale nella quale l’immagine parla sempre più forte della parola. Dagli specchi alle chiamate Zoom e ai TikTok, ci troviamo costantemente di fronte ai nostri riflessi e questo ha cambiato la percezione di noi stessi, come spiega Heather Widdows, professoressa di filosofia all'Università di Warwick: "L’attenzione ai corpi e alle immagini ha cambiato il nostro senso di sé. Il nostro aspetto è diventato 'ciò che siamo'. Questo è radicalmente diverso dalle generazioni precedenti, in cui l’identità o il senso di sé riguardavano il carattere o il ruolo". Allo stesso tempo, stiamo perdendo la percezione corretta di bellezza e bruttezza, con uomini che chiamano Sydney Sweeney e Margot Robbie mid, facendo schizzare alle stelle i nostri complessi di inferiorità e gli standard estetici da raggiungere. 

Bellezza, bruttezza e autostima nell’era digitale

Chi decide chi è bello e chi è brutto? Il concetto di bellezza non è statico, non è oggettivo né universale. La storia ci insegna che i canoni estetici cambiano nel tempo e nello spazio: dalle forme morbide e abbondanti apprezzate nel Rinascimento, ai corpi longilinei della moda contemporanea. Nell’era digitale, tuttavia, il potere di definire la bellezza è passato dalle mani di artisti e filosofi a quelle degli algoritmi e degli influencer. Le piattaforme digitali come Instagram e TikTok creano standard estetici omogenei basati su filtri, fotoritocchi e modelli di riferimento distanti dalla realtà quotidiana, favorendo volti simmetrici, pelle levigata e corpi scolpiti e premiando esteticamente contenuti che vi si conformano. Ciò contribuisce a rafforzare l’idea che solo alcune caratteristiche fisiche siano desiderabili, escludendo la diversità e creando una gerarchia implicita di valore basata sull’aspetto. Lontano dai filtri e dalle pose studiate, non c’è posto per il corpo umano reale né per chi è brutto, che viene stigmatizzato fino a diventare oggetto di scherno o di esclusione. Eppure, come approfondisce Moshtari Hilal nel libro UGLINESS, la bruttezza è solo un costrutto culturale e sociale, spesso usato per marginalizzare determinate identità e corpi non conformi agli standard occidentali di bellezza.

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Come riacquistare l’autostima?

Per recuperare un sano senso di autostima, è fondamentale riconoscere la natura illusoria dei social media e resistere all’impulso di confrontarsi con standard irrealistici. Costruire l’autostima e l’accettazione di sé richiede mindfulness, autocompassione e un approccio critico ai contenuti digitali che consumiamo. Invece di cercare la convalida di un pubblico esterno, dovremmo dare priorità alla cura di noi stessi, ai legami con la vita reale e alla crescita personale. Ma come? C’è chi si affida ad una terapia psicologica e chi pratica il digital detox. Sempre più giovani stanno scambiando il proprio smartphone con un dumbphone, un telefono essenziale dalle funzionalità digitali limitate, come modo per recuperare il tempo che altrimenti passerebbero scrollando o paragonandosi alle patinate immagini di Instagram. Risultato? Molti dichiarano di sentirsi meglio e più sicuri del proprio aspetto.