Shapewear e body positivity possono andare d'accordo?
L'intimo contenitivo, un mercato che vale 6 miliardi di dollari, continua a rimanere un tema dibattuto e controverso
03 Marzo 2020
L'espressione "intimo modellante" a tutto fa pensare tranne che a della sexy lingerie da mostrare. Nella mente si rincorrono flash di vecchie televendite di fine anni '90 in cui vengono decantate le proprietà di una panciera color carne utile per indossare quell'abito che proprio non entra più. Ogni tanto compariva anche una pubblicità di simil-leggings a vita alta, molto prima che decidessimo di abbandonare definitivamente la moda della pancia scoperta: venivano proposti come la soluzione perfetta per dimagrire grazie alla stimolazione della sudorazione, se indossati a casa o in palestra.
Tutt’ora infatti solo alcune catene di brand di intimo hanno una linea “shaping” e non molto fornita (vedi Intimissimi, Yamamay o Triumph). In compenso si trova una maggiore disponibilità in negozi di presidi ortopedici e sanitari, store non esattamente frequentati da una clientela giovane e alla ricerca di prodotti cool.
Questa tipologia di indumenti infatti non ha mai avuto un grande appeal nel nostro Paese. Più che un utile stratagemma per riuscire ad indossare un bel vestito attillato ad una serata speciale, tutte ci siamo sempre immaginate che le tutine contenitive venissero usate perlopiù dopo una gravidanza, oppure da madri e zie, Bridget Jones un po' cresciute, per evitare le vene varicose dopo una certa età, e così via.
Lo "shapewear" sembra essere quindi una di quelle mode made in USA che, al pari di ciglia finte, extension ai capelli o abbronzatura spray, proprio non riusciamo ad interiorizzare. Eppure si stima che negli Stati Uniti entro il 2024 il giro di affari connesso al mondo dell'intimo contenitivo e modellante arriverà a toccare quota 6.4 miliardi di dollari, ed è ad oggi la categoria di abbigliamento in più rapida crescita.
Le origini del fenomeno risalgono a Spanx, rimasto a lungo l'unico brand - e quindi leader - del settore, nato da un'idea ed un'esigenza personale della sua fondatrice Sara Blakely: creare collant senza la parte del piede, per riuscire a indossare dei pantaloni aderenti bianchi senza doversi preoccupare che si intravedessero gli slip o il cosiddetto camel toe. Ecco che prendeva forma l'idea di nascondere, modellare e mascherare il corpo femminile grazie ad una ampia linea di intimo con questo scopo.
Proprio negli USA recentemente si è parlato moltissimo della nuova linea di shapewear ideata da Kim Kardashian, SKIMS. Dopo un veloce rebranding a causa di un'infelice scelta iniziale (ovvero "Kimono", indumento tradizionale giapponese che ha davvero poco a che fare con il concept della regina delle Kardashian) la linea ha deciso di puntare ancora più in alto, arrivando a definirsi "solutionwear". Kim come sempre la tocca piano con questa nuova espressione linguistica per raccontare i suoi prodotti: a differenza dei competitor locali come Spanx, Heist o Shapermint, KK promette alle clienti di dare loro le soluzioni di cui hanno bisogno.
Lo strumento per essere la migliore versione di se stesse, dentro e fuori casa, è disponibile in diverse taglie e colori, livello di supporto e zona da “attaccare”. Soprattutto, questo intimo speciale diventa qualcosa da mostrare, da sbandierare sui social, una vera e propria moda che rende più “cool” chi lo possiede. Lo dimostrano gli articoli andati sold out e la centinaia di recensioni online. Sicuramente anche l’ascesa dell’athleisure e più in generale dello streetwear ci hanno reso a poco a poco sempre più a nostro agio nell’indossare indumenti aderentissimi e minimali - spesso legati all'ambito sportivo - nelle occasioni più diverse.
Ma come conciliare lo shapewear con la body positivity che sempre più brand, influencer e pubblicità propongono? Perché mai avremmo bisogno di indossare qualcosa che strizza, stringe e imprigiona il corpo fino a raggiungere una determinata forma, quando ci viene detto che dovremmo amarci per come siamo? Che differenza c’è in fondo tra modificare una foto da postare con Photoshop e mettersi in una posa studiata indossando una tutina contenitiva che appiattisce la pancia e annulla l’effetto di gravità su seno e glutei?
C’è chi decide di fare coming out, come l’imprenditrice e blogger Brianna Huntsman, che ha dichiarato di aver iniziato ad indossare intimo contenitivo in un momento delicato della sua vita quando, a causa della sindrome dell’ovaio policistico, è ingrassata molto in poco tempo. Le guaine Spanx sono stata una sorta di rivelazione, al punto di arrivare a indossarne perfino due alla volta pur di avere un corpo più sottile. Conciliare questa insicurezza personale con i suoi ideali e valori di donna libera, vera, in una parola femminista, non è stato semplice. Per questo ha deciso di scrivere sempre quando in una foto indossa shapewear. Caption di questo tipo - vere, autentiche, sincere - sarebbero sicuramente il tipo di social media trend che tutte vorremmo vedere, guaine contenitive o no.
Lo dimostra il video Be A Lady They Said, diventato virale negli ultimi giorni, che racconta in modo magistrale i tantissimi paradossi e controsensi che le donne si trovano ad affrontare ogni giorno. La pressione è tangibile e si avverte già dopo aver terminato la visione di 2 minuti. “Come fai sbagli”, si dice, e allora sbagliamo ognuna a modo proprio.