Il second-hand è il futuro della moda
Da preferenza estetica a scelta etica, il vintage non è mai stato così cool
23 Dicembre 2020
Da qualche anno ormai la conversazione nella moda si è sviluppata principalmente attorno a tre parole di grande rilevanza: inclusione, diversità e sostenibilità. Inutile negare che il nostro stile è un prodotto dell’ambiente in cui viviamo, dove il nuovo ecosistema di riciclo di capi usati ha avuto un fortissimo impatto nel mondo del retail e ha visto negli ultimi anni una crescita a dir poco fenomenale.
Cosa significa second-hand
Uno dei principi base di questa filosofia del riciclo è la second-hand economy, ovvero il recupero e la compravendita dell’usato, pratica che rende il consumatore più responsabile e consapevole dell’impatto ambientale che l’industria tessile comporta. Ovviamente questo topic aumenta il desiderio dei clienti di acquistare capi da brand environmental-friendly che ci invitano a riflettere sul fatto che i vestiti che indossiamo non dovrebbero mai essere usa e getta.
Infatti anche le case di moda con il tempo stanno iniziando a concepire la produzione non più come un processo lineare ma bensì come uno circolare, nel quale non si considera solo il momento in cui un capo viene venduto ma anche i materiali utilizzati e l’intero processo produttivo che lo coinvolge, smaltimento incluso.
L’aumento degli acquisti second-hand è una conseguenza inevitabile dell’influenza dei maggiori trend nel fashion market globale, quali riciclo e sostenibilità ambientale ad impatto zero. Infatti, i compratori di capi usati sono aumentati del 64% rispetto al 2016 e questa percentuale continua ad aumentare giorno dopo giorno.
Un po’ per la crisi economica, un po’ per la pressione esercitata dai media e dalle associazioni ambientali che si scagliano contro l’iperconsumismo e lo spreco, il second-hand è diventato la soluzione dei molti mali che affliggono il settore tessile.
Chi acquista second-hand
La clientela che questo mercato comprende è sempre più variegata sia in termini di budget che di età; i compratori più assidui infatti risultano le persone appartenenti ad una fascia medio alta e di età compresa tra i 24-38 anni. Sono proprio i giovani quelli che porteranno avanti questa corrente di pensiero, infatti ben il 46% della cosiddetta Gen Z ammette di comprare da negozi di seconda mano e che continuerà a preferire quest’ultimi rispetto ai prodotti provenienti dal mercato del fast-fashion. Sono due i trend che più hanno incoraggiato la crescita di questa economia di mercato circolare: la sostenibilità e i social media.
Per quanto riguarda la prima, al settore moda sono da attribuire il 20% dello spreco globale di acqua e il 10% delle emissioni di anidride carbonica e gas serra. Questo significa che l’industria dell’abbigliamento sta letteralmente diventando un problema ambientale, poiché si produce molto, troppo, si inquina e si butta via praticamente tutto.
In passato purtroppo, questo shopping mosso dall’etica ambientale veniva visto come un lusso a causa del prezzo di listino dei prodotti "eco-friendly", ma ora grazie al second-hand è diventato più accessibile acquistare capi di questo tipo. Per intenderci, se ognuno acquistasse nel 2020 un capo second-hand invece che uno nuovo, avremmo salvato 5.7 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, stesso risultato che otterremmo se togliessimo dalle strade mezzo milione di macchine all’anno.
Tutto ciò ci invita a ripensare all’intera filiera produttiva come prodotto dell’unione della questione etica a quella ecologica, dove l’estetica fa da sinonimo al termine “responsabilità”.
Less is more
È proprio questo il termine guida del fenomeno del “decluttering”, dove less is more viene concepito come filosofia di vita e premessa di felicità. Questa rivoluzione silenziosa viene spesso definita come Kondomania (dal guru dell’organizzazione Marie Kondo) e vede il fenomeno del reselling sia come un modo di sbarazzarsi del superfluo, trasformando così un rifiuto in una nuova opportunità di riutilizzo, sia come un assist nel costruire un guardaroba minimalista e sostenibile.
Il ruolo dei social media
Fondamentale è parlare anche della questione social media. Infatti, con il fenomeno dei fashion blogger nasce l'esigenza da parte del pubblico di visionare su Instagram sempre nuove proposte di stile e di outfit, e di comprare quotidianamente capi nuovi per seguire i trend del momento.
Spesso però, gli utenti non investono più nel “nuovo” ma in capi usati che andranno a rivendere sulle maggiori piattaforme di reselling online (alcuni studi in merito indicano il fatto che al giorno d’oggi ben il 40% dei consumatori considera il valore di rivendita prima di acquistare un capo).
Cosa offre il mercato del second-hand?
Chi per “capi di seconda mano” intende cumuli di abiti lisi e logori, ha dunque da ricredersi; infatti oltre a proporre capi vintage riesumati dai vecchi armadi delle nonne, offre anche prodotti provenienti da un recente passato, che il più delle volte includono capi di 1-2 stagioni precedenti risultati da un acquisto poco ragionato da parte di buyers che se ne vogliono “sbarazzare” o da parte di fashion blogger che dopo averli mostrati ai loro follower su Instagram, li reputano inutili da conservare.
Il boom del second hand sta inoltre democratizzando il piacere dell’essere alla moda sdoganando il concetto dell’usato e rendendo i capi di lusso accessibili ad un pubblico sempre più ampio.
Infatti, a causa della crisi economica e dell’inaspettato aumento dei prezzi sui beni di lusso (il prezzo retail della Louis Vuitton Speedy Bag è aumentato del 19% in più rispetto al 2016), i clienti non potevano più permettersi di sfoggiare i prodotti firmati. Quindi, grazie all’improvviso boom dell’economia del second-hand, il pubblico si è potuto permettere di dar libero sfogo al proprio stile e concretizzare al meglio la propria fashion identity, senza spendere cifre esagerate.
Parliamo di dati
Anche i numeri parlano chiaro: negli ultimi 3 anni infatti il mercato dell’usato è cresciuto 21 volte di più rispetto a quello del retail tradizionale. Quello del second hand è un trend trasversale poiché è capace di appassionare sia i consumatori interessati al risparmio sia i clienti abituali dell’alta moda.
Di riflesso brand come Burberry, Alexander McQueen, Versace, sono tra i più richiesti sulle piattaforme di rivendita online come Vestiaire Collective, Rebag, Depop, Rebelle.
Su Vestiaire Collective, ad esempio, sono proposti più di 400.000 articoli per vendita e ogni giorno ne vengono depositati 3.500: dal 2017, anno di apertura della piattaforma, il pubblico è aumentato del 56% ed entro il 2023 si conta un aumento percentuale del 83%.
Non solo shopping online, infatti sono sempre più numerosi anche gli store fisici, tra cui possiamo nominare i 3 punti vendita del negozio di fashion resale Bivio a Milano, primo store di second-hand del capoluogo lombardo, la cui filosofia di compravendita rispecchia perfettamente lo spirito di una scelta ecologica ma intrisa di stile, dove gli abiti esprimono una riflessione sul tempo e il valore di chi li indossa. I brand in esposizione comprendono classiche maison come Gucci, Prada, Armani, Miu Miu, Chanel, fino a giungere nel campo dello streetwear con brand come Palace, Supreme, Carhartt, Nike o Converse. Non mancano completi sartoriali e pezzi d'archivio firmati Gianni Versace, Franco Moschino o CP Company. Tra i brand sempre in pole position troviamo Burberry, i cui pezzi risultano sempre molto richiesti, mentre tra i capi più venduti ritroviamo scarpe, abiti, pantaloni, cappotti, camicie, giacche e molti accessori.
La proprietaria di Bivio Hilary Belle Walker ha scelto una strategia social vincente: su Instagram vengono pubblicate giornalmente story con gli articoli new entry in store, e post che ritraggono i commessi del punto vendita indossare i capi proposti con informazioni su brand, taglia e prezzo.
È interessante scoprire quanta ricerca, aggiornamento e dedizione occorre nella selezione di capi che soddisfino clienti che pretendono qualità e rispetto nella compravendita del pre-owned. Ecco perché definiamo il second-hand come un termine che si declina al passato ma si legge al futuro.