Il valore culturale della moda di Marco Rambaldi
Il fondatore dell'omonimo brand ha raccontato ad nss G-Club l'ispirazione e i valori dietro le sue collezioni
11 Dicembre 2020
Una dedica d'amore alle donne, sulla base di unità e sorellanza: è questo il manifesto dell'ultima collezione SS21 di Marco Rambaldi, che pone le sue fondamenta sui concetti di libertà, di solidarietà e di amore.
In un periodo così complicato, e nel panorama della moda italiana, dominato dai grandi nomi e della maison storiche, per emergere ci vuole molto più che una bella collezione o dei capi ben realizzati, e Marco Rambaldi, designer e fondatore dell'omonimo brand, lo sa bene. Per fare breccia nel cuore del pubblico ci vuole autenticità e bisogna esprimere valori e significati attraverso la moda. Il valore culturale della moda è un bene prezioso. Con la collezione SS21 Rambaldi tesse un'ode alla figura di Fernanda Pivano, scrittrice e giornalista italiana, ispirandosi al personaggio e alle grafiche psichedeliche delle sue riviste.
Una delle donne più rivoluzionarie e avanguardiste di sempre, una profonda femminista, un'intellettuale ed il simbolo assoluto di libertà e cultura.
Ogni dettaglio nelle creazioni del brand nasconde un significato: a partire dalla scelta dei colori, come le sfumature calde della terra e della natura dell'ultima collezione, accostate a dettagli a contrasto che spezzano la palette; dall'utilizzo dei materiali, tutti di origine naturale (ad esclusione delle paillettes), gli stampati riciclati, l'eliminazione del poliestere, alle silhouette disegnate per esaltare il corpo della donna; dai cuori arcobaleno, simbolo del brand, declinati sullo jacquard di maglia, ai centrini che prendono nuova vita assemblati a creare abiti e gonne colorati.
Per approfondire queste tante sfaccettature del brand e del suo fondatore, nss G-Club ha parlato direttamente con Marco Rambaldi per scoprire l'ispirazione, i valori e i progetti futuri con il suo brand.
1. Ciao Marco, raccontaci un po’ di te. Qual è il tuo background e quando hai iniziato ad avvicinarti alla moda? Come è nato poi il tuo brand?
Vengo dalla provincia di Bologna, città che mi ha influenzato da infiniti punti di vista. Ho iniziato ad avvicinarmi alla moda quando ero adolescente, in quella fase in cui non sai ancora realmente chi sei o chi vuoi essere: un giorno ti sentivi punk, quello dopo fighetto. Da lì ho iniziato a sperimentare con i look, con i vestiti, osservando quello che mi circondava. Alle superiori ho fatto grafica pubblicitaria, poi un anno di design del prodotto prima di accorgermi del fatto che la mia strada fosse la progettazione di moda. Così mi sono trasferito a Venezia per frequentare la triennale di design della moda allo IUAV, dove ho conosciuto Giulia Geromel, la mia collaboratrice, con cui mi sono ritrovato dopo molti anni.
Mentre stavo scrivendo la tesi di laurea mia mamma mi fece leggere un articolo che parlava di Next Generation, un bando per creare una capsule e sfilare a Milano con il supporto di Camera della Moda: partecipai e lo vinsi. Poi grazie a Sara Maino (che mi ha sempre supportato) feci una seconda capsule che presentai ad AltaRoma.
Dopodiché decisi di congelare il mio brand per lavorare a Milano come designer all’interno dell’ufficio stile donna di un brand importante, per conoscere meglio il sistema e la professione che stavo intraprendendo. Finita questa esperienza, grazie al supporto di Leila Palermo e Andrea Batilla (e ovviamente a quello della mia famiglia) ho iniziato con il brand Marco Rambaldi che è effettivamente nato nel 2017, per un’esigenza, una grande voglia di comunicare qualcosa e di dimostrare di potercela fare se realmente si crede in ciò che si fa. Oggi lavorano con me Giulia Geromel e Filippo Giuliani.
2. Nelle collezioni così come nella comunicazione sono importanti i concetti di inclusione e libertà. Quali sono gli elementi o i personaggi che influenzano maggiormente le collezioni?
Fin dall’inizio l’inclusione e la libertà sono state colonne portanti del nostro lavoro. C’è sempre un richiamo al passato e al femminismo degli anni ‘70, i diritti, le rivoluzioni, le battaglie, e il motivo è che quegli anni sono stati il vero e proprio inizio della liberazione della donna per come la conosciamo ora.
Poi sono entrato in contatto con figure come Valèrie Taccarelli ed Eva Robin’s con le quali abbiamo realizzato progetti: mi hanno illuminato sulle loro origini e sul loro passato, diventando l'emblema di tutte quelle figure e personalità che ci hanno permesso di crescere in una società più elastica. Hanno lottato e si sono battute per darci un futuro migliore e libero, seguendo il retaggio di Sylvia Rivera e i moti di Stonewall in America.
3. La tua sfilata SS21 è stata una delle poche “fisiche” dell’ultima Fashion Week, a Milano. La scelta della location e del casting ha un significato particolare?
È stata una scelta molto spontanea, era dal primo lockdown che portavo avanti questa ricerca, ancora non sapendo se ci sarebbe stata la possibilità di sfilare a settembre.
Ci interessavano persone che avessero una storia da raccontare. Era importante per me che non ci fosse nulla di forzato, anche la scelta dei look è stata studiata appositamente su ogni persona.
Volevamo un casting inclusivo e che rispecchiasse quello che siamo. Da qui, anche la scelta di sfilare in strada, nel cuore di Porta Venezia, in via Lecco a Milano. Un quartiere multietnico, multiculturale, LGBTQI+.
Il nostro brand trova il suo nucleo nei temi del femminismo e della lotta alle discriminazioni, di ogni genere. Non respingere ma includere e sostenere, questo è ciò in cui crediamo.
4. Come stai vivendo, dal punto di vista creativo, questo periodo particolare? Che ruolo avranno la moda e la creatività nella ripartenza dell’Italia e di Milano secondo te?
Stiamo vivendo un presente complicato privo di stimoli esterni da vivere in prima persona. Non abbiamo modo di spostarci, di viaggiare e gli stimoli che abbiamo sono focalizzati sul presente perché c’è un futuro incerto. È un momento di caos. Viviamo in un periodo in cui tutto viene sintetizzato, si dà valore a poche cose, a quelle che reputiamo giuste. Non c’è più spazio per il superfluo.
La cosa positiva di tutto questo penso che sia quella di impegnarci a comprare meno ma meglio, privilegiando la piccola e media impresa italiana, il made in Italy, l’artigianato, il fatto a mano. Insomma tutto quello in cui crediamo, ed i piccoli artigiani italiani con i quali lavoriamo.
Ci sarà molta voglia di sperimentare, di rimettersi in gioco, di contatto fisico, voglia di socialità e di riscoprirsi. La moda e la creatività avranno un ruolo fondamentale in quanto sono cultura. Mi dispiace molto che in Italia venga considerata qualcosa di superfluo, qualcosa di cui si può sempre fare a meno. Con questi presupposti dobbiamo progettare la rinascita, facendo in modo che questo periodo complicato possa rivelarsi utile per il pensiero umano. Senza uscirne come vittime ma facendoci un mea culpa per aver danneggiato per secoli il pianeta in cui viviamo.
5. La maglieria è sempre presente nelle tue collezioni. Quanta importanza ha la scelta delle tecniche e dei materiali?
Mi sorprende ed entusiasma sempre tanto lavorare con la maglieria, partire da un filo e vedere se il capo finale viene come lo avevo immaginato. I materiali naturalmente sono fondamentali, sia per una questione di qualità che per una questione di contenuto comunicativo.
I jacquard e gli intarsi sulla maglieria mi divertono molto. Gli uncinetti e i centrini. Le stampe dipinte a mano e poi riportate sul tessuto. Le impunture sui completi come fossero ricami sbagliati. Il collage e il patchwork che abbiamo messo a punto nell’ultima SS21 riutilizzando i tessuti del nostro archivio.
6. Pensi che negli ultimi anni ci sia una riscoperta del Made in Italy e una maggiore attenzione allo shopping consapevole, soprattutto da parte dei giovani?
Penso di sì, le nuove generazioni sono più consapevoli, come fanno particolare attenzione alla salute e a quello che mangiano, lo stesso fanno per gli abiti che vogliono indossare. E se non si hanno le possibilità di acquistare un brand, meglio tentare di ricreare l’immagine di look che hai in mente attraverso l’usato. Viva il vintage e abbasso il fast fashion!
7. Quali sono i tuoi progetti e gli obiettivi per il futuro con il brand?
Sicuramente quello di fortificare e incrementare la nostra realtà. Quello di ampliare la nostra community, poter collaborare con vari artisti, fotografi, video maker, registi, grafici ecc, in modo da poter creare uno scambio continuo. Con i Diari di quarantena creato durante il primo lockdown con Anna Carraro, che segue lo styling del brand, abbiamo avuto modo di sperimentare molto in questo senso.