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Com'è sentir parlare di body positivity quando non sei una taglia 38

Tra body diversity e obesità, i corpi mid-size si stanno prendendo il loro spazio

Com'è sentir parlare di body positivity quando non sei una taglia 38  Tra body diversity e obesità, i corpi mid-size si stanno prendendo il loro spazio

C'è una conversazione che più di altre sembra aver preso il sopravvento nel dibattito generale e sui social media, quella sul corpo. Mostrato, nascosto, giudicato, rivendicato, amato, odiato, si è andata a creare una polarizzazioni di opinioni e visioni che non ha fatto altro che aggiungere benzina sul fuoco, per un argomento di per sé tutt'altro che semplice. 

Non sono mai stata magra, non sono mai stata obesa. Mi sono sempre trovata nel mezzo, in quel territorio intermedio in cui una 44 appariva spesso come un'attesa vittoria e una 46 come una bruciante sconfitta - e per una che al liceo voleva vivere in skinny jeans è stata una bella altalena. 
Il peso è un argomento che ha sempre fatto parte della mia vita, ma che non l’ha mai controllata. Non sono mai stata una di quelle persone angosciate o ossessionate dal loro peso, costantemente impegnate a controllare il valore calorico di ogni ingrediente e alla continua ricerca della dieta che ti svolta l’estate. Non mi sono mai fatta definire dal mio corpo, ma solo dal modo in cui mi sentivo con il mio corpo, a mio agio, a disagio, con la voglia di cambiare e di cambiarlo. Il peso non rappresentava un problema, ma un ostacolo, alle mie scelte di stile: voler indossare un certo pantalone, o un vestito aderente. Pura vanità, insomma, ma che in qualche modo ha tutelato la mia salute mentale. Forse, per mia fortuna, ho dato più importanza ad altri aspetti della mia persona e del mio carattere, con la coscienza e la consapevolezza di essere più della taglia che porto, una conquista per me scontata ma che per moltissime persone non lo è. 

Ora che chiunque parla, spesso a sproposito, di body positivity, ho iniziato a fare più caso ai messaggi, espliciti o subliminali, a dir poco contraddittori, a cui siamo sottoposte (parlo al femminile perché nella maggior parte dei casi è un fenomeno che interessa noi donne). Da una parte ci rassicurano, ci dicono che siamo bellissime così come siamo, che non dobbiamo cambiare, ci fanno vedere che persino quelle magre quando si siedono hanno i rotolini, in challenge idiote che non sono mai servite a niente; dall’altra siamo bombardate da clip di allenamenti, suggerimenti di fitness e video di trasformazioni fisiche al limite del sovrumano. In questo senso mi sembrano ben esemplificativi due copertine che Vanity Fair Italia ha realizzato negli ultimi mesi, che rendono bene la confusione che esiste sul tema, e la difficoltà con cui social e media tradizionali fanno fatica a trovarsi su temi come femminismo e body positivity. Se Vanessa Incontrada era stata celebrata - ma anche duramente criticata - per il coraggio di farsi ritrarre nuda, senza ritocchi, fiera del suo corpo e delle sue forme - salvo poi farsi sostituire nel frame di uno spot in cui veniva inquadrata una pancia nuda - solo qualche settimana fa Noemi veniva incensata per la sbalorditiva perdita di peso, parlando di corpo “finalmente libero”. Non dovrebbe esistere un limite al modo in cui si parla del corpo di altre persone? 

Quella stessa ambiguità si riscontra anche nella vita quotidiana. Se provi a dire che stai iniziando una dieta o che fai attività fisica si alza subito un coro di ammirazione, tanti complimenti che sembrano dire, neanche troppo velatamente, "Lo dicevo che dovevi perdere qualche chilo". A cui corrisponde immancabile il commento "Stai benissimo così", quando perdi davvero quei chili. Allo stesso modo, sembra dover esserci sempre una spiegazione plausibile, quasi una giustificazione, per spiegare l’aumento di peso: quante volte ci siamo schernite, fintamente divertite, dicendo che sì, ci piace mangiare e che ci possiamo fare?, come fossimo da compatire. E allo stesso modo quando ammetti che sei ingrassata, senti subito l’urgenza di aggiungere che sei già corsa ai ripari, che ti sei messa a stecchetto, che stai digiunando, che ti stai allenando, che ti stai frustrando di notte per rimediare ai tuoi peccati. 

In questa schizofrenia di posizioni e pensieri, circa un mese fa mi sono accorta che i miei jeans preferiti, dei Levi’s vintage bianchi che mi fanno un sedere che *chef’s kiss* non si chiudevano più, ho deciso io stessa di correre ai ripari, andando da una nutrizionista. Al di là della diagnosi e della quantità di riso basmati che sto mangiando in questo periodo, mi ha sorpreso molto il modo in cui sono stati accolti alcuni miei pensieri sul peso e la body positivity che avevo postato su Instagram dopo la visita (non c’era bisogno di postarli su Instagram, direte voi, e avete ragione), in particolare perché sembra che il messaggio sia arrivato in egual misura a uomini e donne. Assurda quanta importanza diamo alla validazione altrui: anche quando ho condiviso una mia opinione personale e intima, di cui ero convinta e sicura, su una questione così delicata, bramavo per una pacca sulla spalla, per qualcuno che mi dicesse hai ragione, è vero. La sorpresa maggiore comunque è arrivata dalle ragazze e dalle giovani donne che mi seguono - vorrei che questa frase suonasse meno da wannabe influencer, ma pazienza - alcune amiche strette, altre semplici conoscenti, altre ancora mai incontrate di persona. Tutte mi hanno fatto capire che anche loro hanno vissuto in prima persona quello che avevo raccontato, che viviamo tutte lo stesso disagio, che il giudizio che gli altri hanno su di noi e il nostro corpo lascia un segno, a volte piccolo, altre enorme. 

Ho sempre acquistato riviste di moda e letto di moda in generale, e per tantissimo tempo in nessuna di esse ho mai visto la foto di una modella che mi ha fatto pensare "Ah, ho il suo stesso fisico, assomiglio un sacco a questa cantante, a questa attrice". Non è mai stato un trauma o un pensiero che mi ha perseguitato, ma una consapevolezza che avevo interiorizzato. Sarà che col tempo ho preso confidenza con il mio corpo e le mie forme, sarà che l’aspetto fisico non è mai stata la priorità della mia vita, ma questa mancanza di modelli di riferimento in cui ritrovarmi non mi ha mai fatto sentire smarrita. Questo non esclude però il sentimento di enorme gioia, a tratti quasi rivendicazione, nel vedere sfilare modelle come Paloma Elsesser e Jill Kortleve, che nelle ultime stagioni hanno guadagnato uno spazio di rilievo nell’industria della moda. È importante vedere i lookbook di Nike che ritraggono modelle curvy in abiti sportivi, è importante vedere dei corpi "normali", qualunque cosa questa parola significhi, in contesti che non ci aspetteremmo. 

Ho scoperto un angolo di TikTok bellissimo, rassicurante e divertente, in cui ragazze che si definiscono #MidSize, non grasse, non magre, quindi come me, si provano vestiti, danno idee di outfit, ridono in modo auto ironico di taglie sbagliate e pantaloni stretti. Questa è stata la prima volta in cui ho potuto dire, "Ha il mio stesso fisico", "Anche a me quei pantaloni starebbero così". E se questa consapevolezza ha avuto questo effetto su di me, che ho quasi 26 anni, posso solo immaginare che effetto potrebbe avere su una giovane ragazza ancora insicura del proprio aspetto. 

 


Non si tratta di essere saccenti, di voler fare la predica, di dire a tutti i costi che tutti i corpi sono bellissimi, né di celebrare a tutti i costi imperfezioni e difetti, ma semplicemente di ricordare che tutti vivono il proprio aspetto fisico e il proprio peso in modo diverso. Non pensate che dopo quelle IG Stories non abbia ricevuto risposte del tipo "Eh ok, va bene essere contenti del proprio corpo, ma poi si rischia di andare incontro a malattie e all’obesità". (Sì, il messaggio arrivava da un uomo, come avete fatto a capirlo?). Per quanto sia importante una rappresentazione corale e diversificata di ogni body type, a volte sarebbe meglio lasciare che ognuno affronti la questione a modo suo, nell’intimo della propria vita