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Appunti di moda - Breve guida all'Upcycling

La rivoluzione no-waste del fashion business ci prospetta un futuro della moda possibile e sostenibile

Appunti di moda - Breve guida all'Upcycling  La rivoluzione no-waste del fashion business ci prospetta un futuro della moda possibile e sostenibile

La direzione che l’industria della moda deve intraprendere può partire proprio dai suoi stessi scarti grazie all' upcycling. Implicando la diminuzione della produzione e allo stesso tempo un ritorno alla valorizzazione dello stile personale, l'upcycling è un metodo forte, che tiene viva l’unicità dei prodotti confezionati a mano e con limitata disponibilità dello stesso materiale e continua ad evolversi. Qui una guida per conoscerlo meglio, comprenderlo e familiarizzare con i suoi linguaggi, capire come viene comunicato sia dai brand che dai creator su TikTok e quali sono i brand nella scena italiana e globale su cui indirizzare il nostro radar.

Cos'è l'Upcycling?

Upcycling è un termine complessivo che include un ampio spettro di tecniche che prevedono il riutilizzo di prodotti già esistenti per creare qualcosa di nuovo e si presenta come un’evoluzione e ottimizzazione della pratica del riciclo. Se il downcycling è la trasformazione di materiali tramite l’utilizzo di procedure chimiche o meccaniche richiedenti energia per la creazione di nuovi prodotti, spesso di qualità inferiore, l’upcycling si pone al suo esatto opposto.

La tecnica si concentra sull’incremento di valore del nuovo prodotto, senza ricorrere a nessun processo ingegneristico e nasce dalla reinterpretazione del processo di downcycling contestualizzato all’architettura, in cui i prodotti con materie prime ancora utilizzabili venivano distrutti anzichè ottimizzati. Il primissimo utilizzo del termine in questa accezione viene attribuito a Reiner Pilz, ingegnere meccanico della Pilz GmbH & Co., il quale espone in un articolo del 1994 il suo metodo “Ciò di cui abbiamo bisogno è l'upcycling, in cui ai vecchi prodotti viene dato più valore, non meno". Nel fashion, l’upcycling reinventa capi e accessori che vengono sottoposti a ricondizionamento, riqualificazione, personalizzazione, destrutturazione e ricostruzione per diventare l’upgrade di ciò che sono stati, elevati soprattutto dalla loro unicità.

All’esatto opposto del fast-fashion, i brand upcycling rimettono in commercio materiali e prodotti che hanno già una storia propria, creando dei pezzi unici che contrastano allo stesso tempo sovrapproduzione e omologazione.

Quando è nato l'Upcycling?

Le prime celebri manifestazioni di produzione upcycled nella fashion industry sono quelle risalenti alla fine degli anni ‘80 di Martin Margiela, che mette in evidenza la progettualità e il processo produttivo alla base della realizzazione di un capo finito nel capo stesso. Il designer spagnolo dà inizio ad una rivoluzione per il settore, portando in passerella il suo design decostruito con orli non finiti, cuciture a vista, stoffe strappate e tagli a vivo. Iconico e inconsapevole pioniere della tecnica upcycling nella moda contemporanea, Martin Margiela riutilizza rimanenze di tessuto con la tecnica del patchwork, portando il concetto di no-waste in un mondo che ancora non sapeva porsi il problema della sostenibilità.

I brand di upcycling da tenere d’occhio

La varietà di tecniche che può ricadere sotto la definizione di upcycling è ampia, il fil rouge è sempre e comunque il riuso.A seconda delle personali interpretazioni di riciclo, ogni brand acquista una specifica identità e unicità: flea market, negozi vintage e armadi dei nonni sono una fonte preziosa dove trovare articoli da destrutturare e riassemblare, come ci dimostrano Simon Cracker, Garbage core e Atelier Florania o da decorare e personalizzare con ricami e dipinti a mano come fanno DADA MAX e Giglio Tigrato. Il ricondizionamento di lane e filati è la scelta no-waste di brand come Vitelli e VAISSEAU  per una produzione knitwear ex-novo, mentre altri optano per recuperare rimanenze provenienti da case di couture e industria tessile come Dennj e Maison Cleo. Non solo scarti del fashion business, alcuni designer scelgono di ricercare i loro materiali in altri settori come RAEBURN che recupera divise militari dismesse e Bal Design che crea esclusive handbags utilizzando palloni da basket. Tra i brand che fanno della sostenibilità e dell’etica nel lavoro il loro manifesto ci sono Fade Out Label, Rifò e Atelier and Repairs, veri e propri hub creativi impegnati su diversi fronti per avviare una rivoluzione nei canonici schemi su cui si muove la moda.

La moda del rammendo in ottica anti-spreco e upcycle è esplosa anche su Tik Tok, con il boom dell’hashtag #SewingTiKTok con cui si condividono hacks per la produzione o il rammendo di abiti dismessi. Non solo brand ready-to-wear ma anche designer indipendenti che diventano webcreator e rappresentano la nuova frontiera per la diffusione di una moda sostenibile: @utopia.us rivisita e stravolge l’aspetto delle designer bag vintage oppure ne crea di completamente nuove utilizzando ogni tipo di materiale di recupero o @ariellesidney_ che con i suoi styling tips ottimizza l’utilizzo di abiti dismessi e realizza design esclusivi utilizzando oggetti di fortuna come le shopping bags di IKEA. Le numerose nuove strade a cui si apre la cultura del riciclo dimostrano come una rivoluzione dei sistemi della moda sia possibile e sia in qualche modo già avviata soprattutto nella Generazione Z, sensibile al tema della sostenibilità e pronta a cambiare le abitudini del passato.