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Il ritorno del panier

La rigida architettura ha attraversato i secoli e sta tornando nelle collezioni contemporanee

Il ritorno del panier La rigida architettura ha attraversato i secoli e sta tornando nelle collezioni contemporanee

La moda ama guardare al passato. Gira lo sguardo indietro di decenni e persino di secoli per dettare lo stile del futuro, scegliendo di volta in volta una suggestione, un mood o un capo che, decostruito, decontestualizzato e riassemblato ad hoc per finire nei nostri armadi, accanto a jeans baggy e ballerine. È successo col corsetto, che da strumento di oppressione femminile è diventato simbolo di empowerment, e sta accadendo anche al panier. Sembra che gli stilisti subiscano un fascino magnetico verso tutti quegli elementi dell’abbigliamento che contribuiscono a creare silhouettes molto distanti dalle forme naturali.

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Dal XVI al XIX la moda costringeva e deformava il corpo delle donne con bustier, gorgere e sottostrutture come verdugale, panier, crinolina, tournure, vere e proprie architetture couture che conferivano austerità e rigidità alla figura femminile, enfatizzando l’atmosfera di drammaticità, romanticismo e offrendo uno specchio della condizione femminile caratteristiche dei tempi. Nella Francia del periodo vittoriano i panier (il loro nome deriva dalle ceste che si disponevano sulla soma degli asini) erano un must-have, apprezzati perché sostenevano gonne dalle proporzioni esagerate che facevano apparire la vita più sottile. Pensate ai period drama con Maria Antonietta e la regina Victoria o ai ritratti di Diego Velazquez. Come il famoso pittore, i panier arrivano dalla spagna, evoluzione del verdugado, una sottogonna a cerchio rigida, che si dice fu usata per la prima volta dalla regina castigliana Juana de Portugal, come escamotage per dissimulare una gravidanza illegittima. A partire dal XVI secolo, questo capo si diffuse anche nel resto dell’Europa prendendo forme diverse a seconda della moda: a cono in Spagna, a ruota in Francia, a tamburo in Inghilterra. Nel caso dei panier, si trattava di intelaiature realizzate con stecche di osso o di balena, amplificavano a dismisura i fianchi mantenendo, però, la parte anteriore e quella posteriore dell'abito relativamente piatte. Sfoggiati come status symbol, più ampi erano i panier, più ricche erano le donne che lo indossavano, tanto che potevano oltrepassare anche i due metri di circonferenza per le occasioni più formali, rendendo assai difficile, se non impossibile, attraversare una porta o salire in carrozza.

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Nel 1985 Vivienne Westwood rivisitò questa sottostruttura quando, combinando il suo interesse per l'abbigliamento storico con l’idea di indossare l’underwear come abbigliamento esterno, lanciò i "Mini-Crini". Con la corona in cima alla testa, la gonna super corta, ma voluminosa, e le Rocking Horse ballerina ai piedi, sembravano delle Lolita, delle ragazzine cute e ribelli che giocavano a vestirsi. Da allora panier e crinoline sono tornate ciclicamente in passerella permettendo a stilisti come John Galliano, Alexander McQueen e Thom Browne di sperimentare con volumi estremi e architetture degli abiti. Raf Simons gli ha dato un tocco minimalista per la haute couture 2014/2015 di Dior; Dries Van Noten e Christian Lacroix li hanno introdotti nella loro collezione in collaborazione SS20;  Comme des Garçons e Yohji Yamamoto li hanno resi speciali con il loro tocco unico, persino Virgil Abloh per la FW22 di Off-White le ha rielaborate a modo proprio. E come non ricordare l’omaggio pop e accattivante di Jeremy Scott a Maria Antonietta con la collezione FW20 di Moschino?

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Dalla stagione 2020, i panier sono diventati un elemento costante nelle proposte dei brand. Li abbiamo visti da Loewe, Balenciaga, Monse, Dior, Louis Vuitton, Dolce&Gabbana, Richard Quinn, Christopher Kane e moltissimi altri. Anche l’ultima Milano Fashion Week, quella dedicata alla stagione autunno/inverno 2023, ha avuto i panier tra i capi protagonisti delle sfilate. Da Gucci hanno acquisito un twist punk, con la vita ultra bassa, gli anelli metallici simili a borchie e colori a contrasto che ne esaltano il profilo a cuore e le linee essenziali; mentre da Max Mara, tra maxi cappotti e completi in lana, sono diventati il punto di partenza per una riflessione sul patriarcato e percezione della femminilità del XVIII secolo.