Zucki: "Arte e moda sono una forma di attivismo"
Intervista alla modella e influencer che si batte per i diritti delle persone disabili
30 Maggio 2024
Capelli rossi, viso tondo e fossette: Andrea Zuckermann - nome d'arte Zucki - è una forza della natura. E non solo per tutto l'impegno speso nella sensibilizzazione di temi delicati e importanti quali disabilità, abilismo e inclusione nel mondo della moda e nel beauty, anzi. Nata nel 1997 a Città del Messico, crescendo ha da subito dimostrato una spiccata attitudine artistica nei confronti della musica e delle arti visive, oltre che una grande passione per lo sport, soprattutto ginnastica, tennis e pallavolo. Ha studiato Design industriale all'Universidad Iberoamericana per poi spostarsi a Londra, al Central Saint Martins. Durante queste esperienza ha capito di essere interessata all'intersezione tra design, moda e scienze sociali ed è per questo che ha studiato Fashion Image e Styling presso l'Istituto Marangoni di Parigi.
Zucki, dal Messico con furore
Nel 2020 un incidente ha cambiato per sempre la sua vita, rendendola paraplegica. Zucki non si è persa d'animo e ha deciso di concentrare tutto il suo impegno nella costruzione di una carriera splendente, nonostante tutto. Ha trasformato i testi delle canzoni che scriveva da piccola in un libro, e ha firmato un contratto con un'agenzia di moda. Ad oggi, è una modella di successo e un'influencer, che ha legato il suo lavoro a delle lotte sociali importantissime ed è diventata una rappresentante instancabile delle persone con disabilità, in particolare quelle su sedia a rotelle. Oggi, tra le altre cose, è anche ambasciatrice di COMUNAL, organizzazione messicana che si batte per l'architettura accessibile, uno dei temi di punta dell'attività di Zucki, sui social e fuori.
In luce di questo suo impegno, che va dalla moda all'architettura, abbiamo scambiato due parole con lei, per chiederle il suo punto di vista unico su tematiche più che mai discusse nella sfera pubblica quali inclusione, femminismo e molto altro. Con un focus sull'industria della moda, che troppo spesso si fregia di essere perfetta anche quando non lo è. "Quello che mi dà la forza di fare questo lavoro è che non lo sto facendo solo per me, lo sto facendo per tutta la comunità di persone disabili" ci ha raccontato. "Adoro poterlo fare, rappresentare una piccola parte della mia comunità e magari anche ispirarla allo stesso modo in cui le persone che sono venute prima di me hanno ispirato me. Questa causa è molto più grande di me, ma se posso fare felice una bambina sulla sedia a rotelle, farle realizzare che può avere uno spazio nella moda, allora per me va già bene. È tutto quello di cui ho bisogno ed è quello che mi motiva. Proprio come quando mi ero fatta male da poco e avevo bisogno di questi esempi per andare avanti. Voglio fare la stessa cosa con gli altri".
L'attivismo nella moda: come l'inclusione incontra il femminismo
L'ostacolo più grosso? Difficile a dirsi. Forse "il fatto è che devi provare sempre di meritartelo. È un problema che vediamo sempre, quando si parla di disabilità. Dobbiamo fare l'impossibile per dimostrare di meritarci le cose esattamente come le altre persone". Poi - parlando dell'intersezione tra abilismo e maschilismo, e quindi dell'intersezionalità di lotte come quella femminista, che include dentro di se anche l'inclusione delle persone disabili - ci confida: "Le persone pensano di potersi approfittare di te, di poterti manipolare. Mi è successo di sentirmi dire 'tanto non puoi scappare', ed è veramente spaventoso pensare che questa è l'idea che la maggior parte delle persone hanno delle donne con disabilità. Siamo vulnerabili. È uno dei motivi per cui ho smesso di bere alcolici, non volevo mettermi ulteriormente in pericolo, rendermi ancora più vulnerabile. Voglio essere lucida in ogni momento, voglio lasciarmi la possibilità di essere nel momento, di misurare la situazione".
Come si passa dalla moda all'attivismo e viceversa? Qual è il ponte che connette questi due mondi che, forse, potrebbero sembrare distanti? La risposta di Zucki è semplice quanto profonda e folgorante. "Arte e moda sono già attivismo, secondo me. Il semplice fatto di avere qualcuno con disabilità a lavorare nel mondo della moda, in uno spazio in cui non abbiamo visto tante persone con disabilità è attivismo. Cambia la prospettiva delle persone, il loro punto di vista e lo fa in maniera piccola, una cosa alla volta. Non è un attivismo che urla. Più le vedi più ti rendi conto che le persone disabili si meritano uno spazio nella fashion community".