
Non tutte le riviste femminili sono femministe
Sì, esistono magazine conservatori che si indirizzano alle donne, e forse è un problema
28 Marzo 2025
Di recente il New York Times ha intervistato la direttrice di Evie, una rivista femminile statunitense i cui contenuti sembrano scoraggiare l'emancipazione delle donne e più in generale le istanze femministe. La fondatrice – Brittany Hugoboom – riconosce che la sua non è una rivista per chi cerca opinioni progressiste sull’universo femminile: «Perché non può esisterne una che offre alle donne un'alternativa?», si chiede. La prospettiva a cui fa riferimento Hugoboom si traduce in una strategia ben precisa: costruire una media company che si rivolga a un pubblico di donne lontane dalle idee femministe. Per questo, Hugoboom nel 2019 ha lanciato Evie, un magazine patinato che è una sorta di Cosmopolitan conservatore, e l’anno dopo 28, un'app dedicata al benessere femminile, che propone contenuti e prodotti volti a dissuadere le donne dal ricorrere alla contraccezione ormonale – promuovendo uno stile di vita che privilegia la fertilità naturale. Fondamentalmente, i due prodotti si rivolgono a donne che vogliono abbracciare un modello di femminilità più tradizionale. Secondo la linea editoriale di Evie e 28, le donne possono studiare e fare carriera, ma senza trascurare la famiglia; possono essere sessualmente avventurose, ma solo all'interno del matrimonio; possono ritardare la gravidanza, purché utilizzino metodi naturali di controllo della fertilità. Chi critica il modello proposto da Hugoboom lo considera un esempio di come idee reazionarie possano essere rese seducenti attraverso un’estetica curata e argomenti di lifestyle, conquistando donne politicamente moderate – ma deluse dalla mancanza di misure di sostegno nei loro confronti. «Mescolando politica identitaria e valori conservatori con contenuti leggeri e a tema benessere, la destra è riuscita a conquistare una fetta di lettrici che la sinistra statunitense non avrebbe mai pensato di poter perdere», ha detto al New York Times Emily Amick, ex consigliera del senatore democratico Chuck Schumer.
If you miss the soft femininity of magazines from decades ago & wish that you could flip through a beautiful, fun, and engaging magazine without any of the current politics, then you should check out our print magazines: pic.twitter.com/hf2UaeUv02
— Evie Magazine (@Evie_Magazine) January 27, 2023
La narrativa proposta da Evie è tutto sommato una novità nel panorama delle pubblicazioni femminili statunitensi. Nel Paese per molti anni ha dominato il modello lanciato da Ms. Magazine, la prima rivista femminista venduta su scala nazionale e destinata a un pubblico generalista. A partire dagli anni Settanta Ms. Magazine ha proposto contenuti di stampo femminista alle lettrici che non erano raggiunte dalle altre riviste specializzate – molto più di nicchia. Ms. Magazine era un giornale per donne scritto da donne, che parlava di argomenti di interesse politico e sociale, spesso visti attraverso la lente della condizione femminile. A differenza di molte “riviste rosa” del tempo, Ms. Magazine non parlava quasi esclusivamente di moda o di cucina: negli anni in cui uscì a cadenza mensile, vennero proposte inchieste sul divario salariale, sulla violenza domestica e sugli abusi di genere, tra le altre cose.
La contrapposizione tra Evie e Ms. Magazine evidenzia come le riviste femminili possano riflettere visioni opposte della condizione femminile – tra emancipazione e tradizione. Se Ms. Magazine ha rappresentato un punto di riferimento per il femminismo, Evie incarna invece un ritorno a un modello più conservatore – in linea con una parte dell’elettorato statunitense contemporaneo. Anche nella storia dell’editoria di genere di altri Paesi si possono individuare esempi di riviste che, in momenti storici diversi, hanno contribuito a plasmare il ruolo della donna secondo l’ideologia dominante. In Italia, ad esempio, negli anni Trenta e Quaranta il regime fascista promuoveva un’idea di donna dedita alla famiglia attraverso pubblicazioni come La Donna Italiana o Il Giornale delle Donne. Queste riviste – seppur spinte dalla propaganda di regime – esaltavano il ruolo della donna come madre e custode dei valori tradizionali, con modalità che se adeguatamente soppesate ricordano la linea editoriale di Evie, dove a suo modo trova spazio una concezione della femminilità quasi maschio-centrica. A farci caso, narrazioni di questo tipo – nel tempo – contribuiscono ad alimentare la cosiddetta “segregazione settoriale”, alla base del fatto che ancora oggi le donne tendono a prediligere soprattutto settori lavorativi storicamente associati all’universo femminile. Questa tendenza – che ha profonde radici culturali, ed è il risultato di secoli di discriminazione nei confronti delle donne – è confermata anche dai dati.
In Europa oltre il 90 per cento dei posti di lavoro nel campo dell’assistenza all’infanzia è ricoperto da donne; percentuali simili si ritrovano nei ruoli di segreteria e di insegnamento nella scuola primaria o negli asili. Più dell’80 per cento delle infermiere e delle ostetriche sono donne, e lo stesso vale per le addette alle pulizie o per le collaboratrici domestiche. Il fatto che moltissime donne svolgano queste professioni non dipende solo dalle singole preferenze, ma dal fatto che per ragioni culturali e sociali siano effettivamente più incoraggiate a sceglierli. Sono gli stessi fattori che influenzano – a monte e spesso indirettamente – i percorsi di studi delle donne, allontanandole dalle lauree tecnico-scientifiche. Questo insieme di stereotipi di genere – perpetrati ancora oggi da media come Evie – tra le altre cose contribuisce a far credere a tantissime donne (e lettrici) di non essere portate per certe professioni tradizionalmente connesse alla dimensione maschile. In questo senso i giornali e i mezzi di informazione hanno – a ben vedere – un ruolo molto importante: diffondere informazioni inesatte o imprecise sulla base di idee reazionarie può rafforzare i pregiudizi culturali associati all’universo femminile, con un grosso impatto a livello sociale.