
Quali sono i celebrity brand con più follower falsi?
Al primo posto c’è il brand più improbabile di tutti
01 Aprile 2025
Dallo spammare in chat con richieste di diventare global ambassador per brand con zero follower al commentare qualsiasi tipo di compravendita sotto i post, Instagram, si sa, è ormai diventato un covo di bot e profili falsi. È anche risaputo che una delle tattiche segrete del digital marketing è quella di acquistare bundle di follower per aumentare la credibilità e la brand authority. Un nuovo report dell’agenzia globale Socially Powerful ha analizzato quali sono i celebrity brand con la percentuale più alta di follower falsi (dato che ormai proliferano come funghi). Molto spesso è facile notare come profili con milioni di seguaci non abbiano un’effettiva interazione con la propria community in termini di like, commenti o condivisioni. La verità è che, come rilevato dal report, moltissimi di questi follower potrebbero essere "fantasmi digitali": account inattivi, bot automatizzati o, più semplicemente, utenti interessati unicamente al follow-back per gonfiare i propri numeri. L’analisi condotta da Socially Powerful si basa su una lista di brand di celebrità selezionati da fonti autorevoli e analizzati tramite lo strumento Modash, che ha permesso di identificare follower sospetti, bot e tassi di engagement. I dati, raccolti a marzo 2025, hanno permesso di stimare la percentuale di follower falsi per ciascun brand, offrendo uno sguardo concreto sull’autenticità della loro audience. Forse il dato più sorprendente è proprio quello del primo posto: sembrerebbe infatti che sia The Row a guidare la classifica.
Secondo l’analisi, oltre il 32% degli utenti che seguono la pagina ufficiale del brand delle gemelle Olsen è costituito da profili poco credibili o potenzialmente falsi. In cifre, parliamo di centinaia di migliaia di account su cui il brand non può davvero fare leva in termini di marketing o vendite. Una forte dissonanza rispetto all’immaginario di The Row, considerato uno dei brand più elusivi nel panorama del lusso, noto per la sua continua guerra contro l’uso dei cellulari durante le sfilate. Seguono poi tutti brand del clan Kardashian. Al secondo posto, con una percentuale vicina al 30%, c’è Good American di Khloé Kardashian, un marchio che — nonostante la notorietà mediatica della fondatrice — presenta un tasso di interazione piuttosto scarno (attorno allo 0,02%). A seguire, nella top 5, ci sono Poosh di Kourtney Kardashian, SKIMS di Kim Kardashian e Savage X Fenty di Rihanna, tutti con percentuali di follower sospetti che si avvicinano o superano il 28%. Ciò mostra come, oltre a un impatto visivo iniziale (un numero a sei o sette cifre di seguaci), l’assenza di un pubblico realmente attivo renda ancora più evidente la natura artificiale di tale popolarità. In particolare, Poosh e Savage X Fenty registrano tassi di engagement molto bassi, a riprova di quanto i "fake fan" non riescano a innescare un dialogo autentico con il brand.
La questione, però, è più complessa della semplice accusa di comprare follower. Talvolta, account fake e bot si agganciano spontaneamente a profili virali nel tentativo di simulare interazioni e promuovere altri servizi. Per i brand, infatti, la soglia tra fama genuina e popolarità apparente si fa sottile. A un occhio meno esperto, un milione di seguaci può sembrare un segnale di autorità e riconoscimento, mentre con un’analisi più attenta, quel milione può rivelarsi — per mancanza di termini più accurati — fuffa. Questo circolo vizioso influisce sulla reputazione del brand e mette in crisi la prova sociale tipica dei social, in cui il successo è dato (o almeno suggerito) dal passaparola tra veri utenti. Se da un lato il numero di follower funziona da biglietto da visita, dall’altro è il tasso di interazione, insieme al volume di contenuti generati dagli utenti, a determinare la credibilità nel lungo periodo. Un vero sostenitore acquisterà il prodotto, lo mostrerà ai propri follower e, magari, ne parlerà spontaneamente, senza essere spinto da logiche di scambio o da algoritmi poco trasparenti. Un bot, invece, non converte, non crea contenuti, non genera fiducia: anzi, nove volte su dieci infastidisce i potenziali clienti e li allontana da una possibile fidelizzazione. Il panorama delineato dal report di Socially Powerful conferma quindi un trend già noto: i social media, e in particolare Instagram, si trovano in una fase in cui l’apparenza del successo può facilmente prendere il sopravvento sulla sostanza. Questo non significa che i brand con percentuali elevate di fake follower siano del tutto privi di fan reali o che non possano vantare vendite considerevoli. Piuttosto, suggerisce che la loro immagine social, gonfiata da decine o centinaia di migliaia di account inconsistenti, potrebbe essere più fragile di quanto i grandi numeri facciano pensare.