Il nuovo business della vagina
Dai Pussy Hats a 'The Goop Lab' di Gwyneth Paltrow, come sono cambiate la narrazione e la rappresentazione dell'organo femminile
06 Marzo 2020
It’s a cultural firestorm when it’s about a woman’s vagina.
A pronunciare queste parole è stata colei che più di tutti in tempi recenti ha capitalizzato sull’organo riproduttivo femminile, con prodotti, trattamenti, ed operazioni mediatiche sempre molto discusse. Con Goop, il suo brand di lifestyle e wellness, Gwyneth Paltrow ha di fatto reso cool parlare di genitali femminili, dei trattamenti necessari per mantenerli giovani e attraenti, andando a creare una fetta di mercato e tratteggiando il profilo di un pubblico che fino a poco tempo prima non esisteva.
L’episodio di The Good Lab, la docu-serie di Netflix che esplora l’universo e l’estetica di un marchio che oggi vale 250 milioni di dollari, intitolato Il Piacere E’ Tutto Nostro, è emblematico dell’approccio e della narrazione che si fa oggi dell’organo riproduttivo femminile. La percezione, la rappresentazione e il dibattito sulla vagina hanno sempre viaggiato su due binari paralleli: da una parte la vergogna, l’imbarazzo che da decenni caratterizza questa materia, dall’altro la celebrazione, l’ostentazione, risultato di un risveglio delle coscienze molto recente.
Ci sono volute le registrazioni di un Donald Trump non ancora Presidente degli Stati Uniti per far sì che la vagina diventasse il simbolo della resistenza di milioni di donne americane, e non solo. Quel "Grab Them By The Pussy" ha generato una nuova ondata di orgoglio femminista che ha rivendicato la potenza mediatica e comunicativa del loro organo riproduttivo, di lì a breve replicato su migliaia di famosi pink pussy hats. L’organo femminile si è trasformato nell’immagine per eccellenza del femminismo 2.0 ed è stato di fatto portato all’esasperazione, una sorta di reazione esagerata ai secoli di silenzio e di “buio” che hanno accompagnato la vagina.
Su Instagram, nelle gallerie di arte contemporanea, nei manifesti pubblicitari, nei video musicali, sulle passerelle di mezzo mondo, la vagina inizia ad essere ovunque, ostentata, sbandierata, rivendicata, sfruttata, sempre evocata, mai rappresentata nel dettaglio. Nel 2016 il profilo IG di Stephanie Sarley e le sue foto di fingering food diventano virali, ci fu un moltiplicarsi di mandarini, arance, pompelmi, con o senza dita in prossimità, a rappresentare il nuovo orgoglio femminista, profondamente legato alle sfere del piacere e della sessualità.
Nel video della canzone Pynk, Janelle Monaè indossa un paio di pantaloni rosa con le ruches disegnati con l’intento di sembrare un vagina, da cui ad un certo punto spunta la testa dell’attrice Tessa Thompson. Il brano è un inno al piacere femminile, alla scoperta di sé, e come già accaduto in passato gioca molto sulla dualità del termine lips, che in inglese come in italiano vale sia per le labbra della bocca che per quelle genitali. Secondo molti, però, il video di Monaè e più in generale la rappresentazione mainstream che si è diffusa delle vagine, ha generato un modello troppo perfetto ed idealizzato, che manca di diversità, sia nella forma che nell’etnia.
È proprio in questo spazio che prende forma il nuovo business legato alla vagina. Goop è il primo promotore di trattamenti che sarebbero mirati al miglioramento dell’aspetto e della funzionalità della vagina, come vaporizzazioni genitali (a quanto pare perfette per ringiovanire l’organo); jade eggs da inserire all’interno che favorirebbero la resistenza del tessuto pelvico e quindi le prestazioni sessuali, insieme a regolarizzare il ciclo ormonale; candele profumate dal nome emblematico This Smells Like My Vagina, diventata virale e di conseguenza sold out in pochissime ore nonostante il prezzo di 75$. È da sottolineare come due dei tre prodotti citati prima sono ritenuti da medici ed esperti non solo inutili, ma persino dannosi per la salute delle donne, tanto che la Paltrow ad un certo punto è stata costretta a ritirare le uova vaginali dal mercato. In ogni caso, secondo quanto riportato dall’International Society of Aesthetic Plastic Surgery, gli interventi di labio plastica sono aumentati del 45% tra il 2015 e il 2016. Persino bambine di 9 anni avrebbero richiesto questo intervento.
È nello shaming della vagina che girano gli affari: ringiovanimenti vaginali, gel, salviette, creme per lo più inutili, il messaggio che passa è che qualunque aspetto abbia, la tua vagina non è come dovrebbe essere e di conseguenza c’è da correre ai ripari. Ma è proprio questo il nodo della questione: le donne sanno cos’hanno in mezzo alle gambe? A quanto pare no. Nel 2016 Eve Appeal, un’organizzazione benefica che lotta contro i tumori ginecologici, ha chiesto a un campione di 1000 donne di identificare l’anatomia dei propri organi riproduttivi in un’illustrazione: il 40% di loro non è stato in grado di identificare la vagina, il 60% non ha saputo indicare la vulva. La stessa Paltrow all’inizio dello show ammette di aver sempre usato erroneamente i termini vagina e vulva, non sapendo con precisione quale fosse la differenza tra i due.
Sono sicuramente moltissimi i fattori che hanno contribuito e continuano a contribuire al livello di ignoranza e tabù che circondano la vagina, dall'educazione sessuale e anatomica che si riceve a scuola al tipo di società di stampo patriarcale in cui viviamo. Un ruolo fondamentale l'ha svolto la rappresentazione che della vagina è stata fatta nell'arte e nei media. Dopo secoli in cui il corpo femminile era raffigurato dai tratti angelici, glabro, retaggio di un'immagine verginale della donna legata alla figura di Maria, nel 1866 l'opera L'Origine del Mondo di Gustave Courbet è un terremoto senza precedenti. Non sorprende che il quadro non sia stato esposto in un museo fino al 1995, e ancora oggi sono miste le reazioni degli spettatori, che si trovano davanti ad una riproduzione fedele di un organo per decenni ignorato e nascosto. Perché per quanto ci siamo abituati a vedere seni e natiche in film, serie tv e video di vario tipo, sembrano esserci ancora un imbarazzo e una repulsione insormontabili quando si tratta della vagina.
Aspettative irrealistiche e una rappresentazione artificiale e costruita del corpo femminile, in particolare dei suoi organi riproduttivi, sono da attribuire anche all’immaginario del porno. È lo stesso PornHub ad ammettere che la pornografia mainstream ha diffuso un’immagine della donna totalmente finta, e non sorprende scoprire che nei video più visti del 2017, solo il 18,3% abbia messo in scena un orgasmo femminile - tuttavia esagerato e ancora una volta irreale.
In quanto prime ed uniche proprietarie di una vagina, spetterebbe alle donne dettarne la narrazione e la rappresentazione, senza farsi influenzare da stereotipi e luoghi comuni, cercando di non trasformare tutto in un business. In questo senso il lavoro portato avanti da Goop, seppur con i suoi limiti e le sue esagerazioni, può rivelarsi importante per una nuova generazione di donne che ha voglia di scoprire cosa sussurrano quella magiche labbra.