"Semplicemente, ascoltateci": l'intervista a Pietro Turano di Skam Italia
L'attore e Vice Presidente di Arcigay Roma parla di attivismo, new masculinity e community LGBTQ+
14 Luglio 2020
Nell’ultimo episodio della quarta stagione di Skam Italia, c’è una sequenza in cui Filippo - interpretato da Pietro Turano - fa un test dell’HIV. Alimentata dal contrasto con le note di Pem Pem di Elettra Lamborghini, che lo accompagnano nell’attesa del risultato del test, si tratta di una scena importante che in pochi minuti restituisce una rappresentazione della comunità LGBTQ+ molto più sincera di quanto si sia mai visto nella televisione italiana.
A dispetto della moltitudine di personaggi gay presenti nelle serie tv e nei salotti televisivi (si pensi alle proposte più recenti come Summertime e Curon), spesso sembra rimasta legata a una rappresentazione vecchia, stereotipica e spesso controproducente.
A pochi giorni dalla fine del Pride Month, che nonostante l’emergenza sanitaria ha coinvolto diverse città in tutto il mondo, ricevendo anche il sostegno di molti fashion e beauty brand, nss G-Club ha raggiunto proprio Pietro Turano (@eropietro), attore ma anche Vice Presidente di Arcigay Roma e consigliere nazionale Arcigay, per parlare di che cosa significhi fare attivismo oggi in Italia, di New Masculinity e di come la comunità LGBTQI+ è rappresentata nei media italiani.
Sei una delle poche star dello show-biz italiano veramente impegnata per la comunità LGBTQ+. Che cosa significa essere attivista oggi?
L’attivismo è parte integrante della mia persona: è come un dato di fabbrica, è in me a priori. Insomma: “ognuno fa il suo” e non è una colpa non impegnare energie in questo senso. Ci sono diversi modi per rendersi utili. Trovo molto più preoccupante la presunzione di chi si dichiara “attivista” da un giorno all’altro su Instagram, scopiazzando qualche post e rubando un paio di letture saggistiche da citare qua e là, ma nella totale ignoranza (o disinteresse) di quello che è il faticoso lavoro delle organizzazioni sul territorio. Il web è una bolla che fagocita tutto ciò che è trend e virale, sostituendo l’empatia con l’egocentrismo. Questa tendenza rischia di spostare la (già poca) attenzione che le persone dedicano ai temi sociali. Fare attivismo significa mettersi al servizio dell’altro, rendersi veicolo, megafono, e non può essere il contrario di questo, non può essere il pretesto per spostare l’attenzione verso di sé. Non c’è un modo giusto e uno sbagliato di farlo, ma esistono un approccio virtuoso e uno vizioso, questo fa la differenza. Poi, ognuno aiuta come sa farlo meglio.
Quali sono le più importanti battaglie dell’attivismo LGBTQ+ in Italia oggi?
La comunità LGBTQ+ ha una storia “recente” ed evolve insieme alle persone. In Italia dobbiamo ancora portare a casa una legge dignitosa contro omofobia, bifobia, transfobia, che offra alle persone tutti gli strumenti per potersi emancipare da discriminazione e violenza, che le renda “un po’ più uguali” in un mondo di disparità. Ma dobbiamo tenere gli occhi aperti, perché per la prima volta si parla di fenomeni omotransfobici in Parlamento... e quella corda lanciata per risalire dal vuoto può diventare anche un cappio per il nostro collo. Dopodiché dobbiamo parlare di famiglia (sia in quanto figli* che in quanto genitori) ripartendo dalla stepchild adoption, passando per le adozioni e il matrimonio, ma anche per case-famiglia e strutture di accoglienza sia per italiani che per migranti LGBTQ+. Infine c’è l’enorme lavoro culturale a partire dai più giovani rispetto ai temi dell’inclusività, dell’affettività, della sessualità, dell’identità e di tutto quel modello maschilista etero-patriarcale che ci intossica con i suoi ruoli opprimenti.
Due anni fa, in occasione del reboot della serie Queer Eye su Netflix, il trailer recitava: “Lo show originale [Queer Eye for the Straight Guy, 2003-2007] si batteva per la tolleranza, noi ci battiamo per l’accettazione.” Quali credi che siano oggi i principali limiti della rappresentazione della comunità LGBTQ+ nelle serie tv?
Gli ideali di tolleranza e accettazione li sento già un po’ distanti, nel passato. Da piccolo sentivo la necessità di essere “accettato” e molto probabilmente qualcuno prima di me sentiva l’esigenza di essere “tollerato”. Perché in fondo otteniamo, al massimo, quello che pensiamo di meritare. Ecco, a chi viene dopo di me auguro di sentirsi “incluso, parte di” senza sentire di dover chiedere il permesso a qualcuno per essere ciò che si è e ciò che si può. Le rappresentazioni più problematiche delle nostre identità sono semplicemente quelle piatte, bidimensionali, oppure al contrario quelle fantascientifiche. C’è poca umanità, spesso, nella rappresentazione delle minoranze. Ma non siamo né animali esotici né marziani, siamo persone e abbiamo bisogno di spazi per esprimerci nella nostra complessità, dunque semplicemente, ascoltateci.
E nella produzione italiana? A che punto siamo?
Mi dispiace dirlo, ma ci vedo malissimo. Nella rappresentazione che ne risulta e nell’intero sistema professionale. Qui c’è poco e niente, perlopiù fuffa. Poi però, all’improvviso, appaiono poche e belle stelle luminose che indicano la via. E per fortuna queste perle ottengono il consenso meritato, dimostrando che le possibilità per costruire qualcosa di decente esistono. Dunque... attiviamoci.
Alcuni lamentano una rappresentazione superficiale della comunità LGBTQ+ nei media. Tu, invece, ripeti spesso che gli stereotipi non sono da condannare. Perché?
La rappresentazione PER stereotipi è un enorme problema, perché appiattisce e riduce le nostre identità a dei semplici sagomati di cartone. Ma la rappresentazione DEGLI stereotipi no: condannarla rappresenterebbe un ulteriore rischio di discriminazione, più sottile ma ugualmente terrificante. Gli stereotipi e i luoghi comuni esistono perché hanno origine dall’osservazione (seppure limitata e limitante) di caratteri “comuni” negli altri: ciò che va rifiutato è l’utilizzo superficiale, strumentale, pregiudizievole di questi caratteri, ma non il fatto stesso che abbiano luogo nelle persone.
Che cosa potrebbe significare, nel concreto, negare questi caratteri comuni?
Ti faccio un esempio: uno stereotipo classico è quello per cui gli uomini gay sono effemminati, femminili. Siamo d’accordo che sia profondamente sbagliato operare l’associazione gay = femminilità perché ricalca i peggiori tratti della cultura maschilista contro cui combattiamo, eppure molti ragazzi gay sono “effemminati” davvero. Questo succede perché non lasciano che quella cultura reprima la loro personalità, e hanno tutto il diritto di rivendicarlo senza sentirsi a disagio. Eliminare gli elementi più stereotipici significa piegarsi alle logiche maggioritarie e condannare a morte chi, per sua natura, uno stereotipo lo ricalca o lo rivendica. Significa rendere le minoranze nelle minoranze il capro espiatorio, e come sempre, secondo questa logica, sopravvive solo chi è “più simile o più accettabile” agli occhi del potente. La rappresentazione stereotipica si abbatte mostrando la pluralità e la complessità delle nostre vite, non mutilandoci nell’illusione patologica di renderci più appetibili e tollerabili. Siamo stati accecati e accecate dal bagliore della lotta per l’uguaglianza, dimenticando la vera battaglia: quella per la valorizzazione delle diversità!
Negli ultimi tempi, grazie a celebrità come Billy Porter, Harry Styles ed Ezra Miller, si è iniziato a parlare del concetto di New Masculinity: una mascolinità fluida, libera dagli stereotipi di genere. Credi che questo fenomeno potrebbe trovare terreno fertile nella comunità eterosessuale e, più in generale, cis-gender qui in Italia? E se sì, potrebbe aiutare a risolvere problematiche affrontate dalla comunità LGBTQ+?
Sento che buona parte delle persone cis-gender, più o meno consapevolmente, stanno rigettando in maniera istintiva certi ruoli nei quali non si riconoscono affatto, soprattutto fra i/le più giovani. Parliamo molto della condizione femminile perché c’è una specificità fondamentale per cui le donne, oltre a dover sopportare i ruoli di genere a loro affibbiati, devono anche sopportare una cultura secondo cui il loro genere e i vari ruoli associati ad esso sono subordinati al genere maschile. Ma parliamo molto poco di quanto quella stessa cultura maschilista sia opprimente anche per gli uomini, che non vivono una condizione di assoggettamento, ma ne soffrono ugualmente la pressione. Quanti uomini si suicidano per fallimenti professionali perché ci aspettiamo da loro successo, fama, gloria, ricchezza, prestanza, dominazione? La decostruzione, a tutti i livelli, del genere come costrutto culturale è la base attraverso cui scardinare maschilismo e patriarcato sistemico.
Una decostruzione rappresentata in Italia da personaggi come Ghali e Achille Lauro.
Sostituire la mascolinità tossica con modelli plurali di mascolinità è un passo avanti per la battaglia di tutte e tutti. Ma attenzione a rendere dei maschi etero e cis-gender delle icone queer, perché sicuramente loro costruiscono un pezzo fondamentale di questa contro-cultura, ma non c’entra niente con l’essere dei modelli “queer”. Apprezzo molto il lavoro di Ghali e Lauro in questo senso e sono per me “uomini del futuro”, ma non per questo identifico in loro delle icone queer, anzi, piuttosto vedo delle icone fresche di “nuovi uomini” etero e cis-gender, che è altrettanto prezioso e necessario.
Pensi che l’Italia sia pronta a questo cambiamento e riesca a “mettersi in pari” con altri paesi che hanno dimostrato maggiore apertura a riguardo?
C’è chi è più avanti, chi più indietro, ma una cosa è certa e inarrestabile: la direzione dell’evoluzione umana intera. Siamo esseri in divenire e ci riscopriamo ogni giorno. Un giorno avremo vinto noi, e quando avremo il tempo per fermarci un attimo e guardare alle nostre spalle vedremo solo due categorie di persone: chi ha guardato sempre avanti, mettendosi in discussione per portare “oltre” l’intera umanità, e chi invece ha lavorato per rallentarci, lottando inutilmente contro il tempo. Non vedo alcuno scenario possibile in cui perdiamo e torniamo indietro, perché la vita è una progressione in cui le esperienze si sommano sempre e non si sottraggono mai. L’Italia per me è un paese drammaticamente ipocrita, e con gli ipocriti è difficile dialogare perché non hanno il coraggio di mostrarsi per quello che sono, ma è anche un paese ricco di stimoli artistici e culturali... e questi sono dei motori incredibili per il progresso, perché agiscono sulla pancia oltre che sulla testa.
Qual è il tuo rapporto con la moda?
Sono terribilmente affascinato dalla moda, sia come fenomeno che come valore intrinseco, e la percepisco come qualcosa di davvero molto “alto”. Vorrei starci dentro con tutte le scarpe, letteralmente. È in grado di cambiare il modo in cui ci percepiamo ed esprimiamo, di farci mettere in discussione i nostri valori e i nostri principi, ci dà la possibilità di trasformarci e di applicare l’arte alla vita di tutti i giorni, direttamente attraverso il nostro corpo, cioè la nostra essenza materiale.
Qual è il personaggio di una serie tv a cui ti sei ispirato crescendo?
Mi rendo conto che sia un po’ triste, ma in effetti forse a nessuno in particolare. Più personaggi letterari, forse. In generale non mi sono mai chiuso verso singole icone, ma ho sempre cercato stimoli plurali e diversi fra loro. Sono sempre stato assetato di novità. Durante il periodo di consapevolizzazione del mio orientamento sessuale però posso dire di essermi identificato molto in Justin Taylor di Queer As Folk.
Il virus non ha fermato il Pride Month. In che modo si concretamente può sostenere la causa?
Sostenendo come meglio si può le realtà che lavorano sul territorio, supportando i servizi di ascolto/accoglienza come Gay Help Line, che aiutano le persone più in difficoltà e che durante l’emergenza hanno visto peggiorare le proprie condizioni. Veicolando le battaglie delle associazioni o di qualsiasi realtà che porti avanti messaggi inclusivi, anche diffondendole attraverso i propri canali, online e offline, e rilanciando sempre verso servizi e punti di riferimento utili e concreti. Diffondendo e non sostituendosi a questi. Cogliendo l’occasione del Pride Month e tutte quelle simili in cui si parla di certi temi per portare avanti battaglie culturali nella vita di tutti i giorni, con amici, parenti, amanti e tutte le persone che ci circondano, perché sessismo, omofobia, transfobia fanno parte di ognuno di noi e rendercene conto è il primo passo per renderci persone migliori.
Per chiudere, un consiglio di visione: quali sono le serie tv LBGTQ+ che proprio non si possono perdere?
Queer As Folk, Euphoria, Transparent, Skam Italia / Skam, Pose, Sense8.