WOVO si testa (ma il Covid non c'entra)
Un video per abbattere lo stigma e i pregiudizi che circondano le malattie sessualmente trasmissibili
26 Novembre 2020
Negli ultimi mesi ci siamo abituati senza troppe difficoltà a sentir parlare di test, esami, screening, controlli, e con (quasi) la stessa facilità ci siamo abituati a farli, volentieri o meno, perché indispensabili. Con la pandemia il concetto di controllo, di check per la salute è entrato a far parte della nostra quotidianità, senza troppi pregiudizi o stigmi. E se questo tipo di mindset si potesse applicare anche ad altre malattie e ad altri controlli, come ad esempio quelli per le malattie sessualente trasmissibili?
Va in questa direzione l'ultimo progetto di WOVO Store, lo safe space che negli ultimi cinque anni è diventato un punto di riferimento nella città di Milano e non solo, un luogo in cui entrare a contatto con la propria sessualità, dove sentirsi liber* di provare e sperimentare, trovando un team esperto e disponibile sempre pronto a dispensare consigli. Sono proprio i membri del team che hanno deciso di farsi riprendere nel momento in cui venivano testati in un centro d'eccellenza di Milano. Il video di WOVO è infatti stato girato all'interno di Milano Check Point, un luogo sicuro, famigliare e accogliente che vuole stigmatizzare i pregiudizi e i preconcetti che circondano le malattie sessualmente trasmissibili, attraverso informazione, preparazione e test rapidi. Qui infatti è possibile effettuare test rapidi gratuiti e anonimi per HIV e sifilide, con risultati in pochi minuti, oltre a ricevere informazioni sulle infezioni sessualmente trasmissibili (IST) e la PrEP. Come racconta uno dei medici volontari ritratti nel video, se ci fosse uno screening di massa, se quindi tutti decidessero di farsi testare una volta all'anno, senza quella paura e quell'imbarazzo che caratterizza l'approccio a questo tipo di test - sarebbe più facile individuare infezioni e malattie e di conseguenza sarebbe molto più semplice curarle e tenerle sotto controllo, per il bene di tutti. Il messaggio che traspare forte dal video girato da WOVO è che si può affrontare questo test con tranquillità - soprattutto se ci si trova in luoghi accoglienti come il Check Point - rendendolo parte dei nostri abituali controlli annuali, prendendoci cura di noi anche da questo punto di vista.
Per scoprire più a fondo il messaggio e l'importanza dietro a questo video, Frida Affer, founder di WOVO, ha raccontato a nss G-Club come è nato il progetto, e molto altro.
#1 Come vi è venuta l’idea per questo video? Qual è l’obiettivo finale del progetto?
Riflettendo e parlandone insieme recentemente, ci siamo rese conto che nessuna di noi si era fatta testare negli ultimi due o tre anni, e avevamo voglia di farlo. C’era però quell’ansia che contraddistingue questo tipo di test. Quindi quale momento migliore per farlo tutte insieme? Anche per farsi un po’ forza e per supportarci a vicenda.
L’obiettivo finale è sensibilizzare e ricordare alle persone che è importante testarsi per le malattie sessualmente trasmissibili. Ma soprattutto, far conoscere alle persone questo posto a Milano che è il Check Point - che inizialmente non conoscevo - e che è un posto meraviglioso. Mi è venuto subito automatico confrontare questo posto con il luogo in cui feci questo test un paio di anni fa, in una sede dell’ASL in viale Jenner terribile. L’ambiente non mi ha particolarmente scalfito, a me interessava fare il test e basta, ma immagino che qualcuno più sensibile all’argomento, che si stressa o va in ansia, non sarebbe stato aiutato da un posto così. In questo check point ho trovato invece un luogo nuovo, pulito, inclusivo, non giudicante, privo delle morali e dei discorsi che ho subito nell’altra sede dell’ASL.
#2 Quanto è stato difficile “metterci la faccia”, farsi riprendere in un momento intimo e privato? E quanto è importante mostrare questo momento per abbattere lo stigma che circonda il tema?
Per me è importantissimo mettere la faccia su tutto quello che è il mio lavoro. Sono molto felice di farlo e di rappresentare una “motivazione” per qualcuno. Mi preoccupava magari la presenza del mio compagno o di altri membri del team che venivano ripresi in questi momenti - ma in fin dei conti è una cosa da sdoganare. Non c’è nulla di male ad avere una MST o una ISTD, succede, e questi posti sono anche fatti per evitare che questo succeda e che queste si diffondano, quindi non l’ho trovato per nulla difficile. È importante mostrarsi in questo momento perché si da alle persone la dimostrazione che fare un test per l’HIV è una cosa del tutto normale, che dovrebbe rientrare nella nostra routine di check annuali.
#3 Secondo te, si tende ancora a sottovalutare il problema HIV? Se sì, perché?
Sì è sottovalutato, dato che è stata una cosa vissuta e raccontata in modo molto aggressivo trent’anni fa si pensa che sia una cosa del tutto passata. Sicuramente non è più un mostro come prima - ora abbiamo altri mostri da combattere - perché appunto ci sono delle cure, meno persone che si ammalano, ma il problema è che le persone sottovalutano la questione dell’HIV di default, perché pensano sia un fenomeno degli anni Ottanta. Al tempo c’erano anche delle campagne sociali molto feroci, che ti mettevano in guardia da questa cosa, quindi a livello popolare diventava proprio uno spauracchio. Ora non se ne parla e la popolazione non sottovaluta il problema, ma lo valuta in base agli elementi che possiede. Se una persona decidesse di informarsi meglio con numeri e statistiche, avrebbe di fronte a sé un quadro più chiaro. Dipende molto dai media, da quanto se ne parla, quando se ne parla e dove se ne parla. Questo progetto è anche un modo per ricordare alle persone che (purtroppo) non c’è solo il Covid, c’è anche questo.
#4 Che ruolo giocano l’ambiente, il luogo e anche l’accessibilità con cui il test viene effettuato? Il checkpoint in cui vi siete recate è un caso d’eccellenza.
L’ambiente, il luogo, l’accessibilità giocano un ruolo chiave, sono tutto. Di base non è un test che le persone fanno volentieri, perché non siamo stati educati ad effettuare questo tipo di controllo nelle nostre vite. Un posto così centrale, comodo da raggiungere, tranquillo, con delle persone molto preparate, che non ti giudicano per quello che fai, è fondamentale. Ho respirato veramente dell’internazionalità qui, cosa che invece all’ASL in viale Jenner non avevo riscontrato. Vedendo il Check Point ho capito che effettivamente questo tipo di servizio può essere adeguato e a misura d’uomo, diventando un servizio che le persone hanno voglia di andare a fare. Ad esempio, io dopo l’esperienza in viale Jenner ci ho messo due anni e mezzo per ritrovare la voglia di andare a testarmi. Invece con il servizio del Check Point potrei andare ogni anno a farmi testare e soprattutto mi porterei dietro tutte le persone che non l’hanno ancora fatto per paura o per questioni di resistenza con l’ambiente.
#5 Con la pandemia, i test e gli esami sono diventati quasi la normalità, abbiamo imparato a testarci - e a raccontarlo - senza farci troppi problemi. Ritieni che questo tipo di atteggiamento potrebbe estendersi anche alle malattie sessualmente trasmissibili e al modo in cui se ne parla?
Non credo che l’abitudine di testarsi dovuta alla pandemia possa in qualche modo diminuire lo stereotipo o la paura che c’è dietro le malattie sessualmente trasmissibili. Le vedo come due cose completamente diverse l’una dall’altra, per questioni di vulnerabilità. La pandemia magari ci farà diventare più paranoici e la paranoia ti porta un po’ all’ipocondria e quindi ad un maggiore controllo su sé stessi per capire se stai bene o no. Invece che relegare queste tematiche nel dimenticatoio magari ci penseremo di più e meglio, però non perché siamo abituati a farci testare, ma semplicemente perché ci hanno fatto diventare dei paranoici, nel bene e nel male. Per quanto riguarda le malattie sessualmente trasmissibili questo può avere un risvolto positivo, nel senso che tieni alla tua salute e ti ricordi che ti devi fare un controllo una volta all’anno, come la pulizia dei denti ogni sei mesi.