Perchè il top di Jean Paul Gaultier viene censurato
Il trompe-l'oeil in collaborazione con Lotta Volklova coperto da emoji a cuoricino fa riflettere
13 Ottobre 2022
Dopo le fashion week europee e americane della SS23, il menswear ha sdoganato il petto nudo sotto i completi sartoriali e la seta trasparente che mostra i capezzoli, ma il naked top (o per le più audaci anche il dress) parte delle capsule Jean Paul Gaultier x Lotta Volkova in cui rivisita alcuni pezzi d’archivio del brand in modo appetibile per la Generazione Z viene censurato online. Se la prima a farne sfoggio, in versione bikini, è stata Kylie Jenner, una delle ultime è stata Chiara Ferragni. L’imprenditrice digitale ha scelto di indossarlo, non solo per cavalcare il trend del naked dress e delle stampe trompe d’oeil che disegnano sulla stoffa l'areola e le curve del seno digitalmente, ma come statement contro il ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade. Al grido di "MY BODY MY CHOICE", Chiara rivendica il diritto di ogni donna a decidere per se stessa, per il proprio corpo, ma anche se e quando esibirlo. In tutto questo, però, si trova a fare i conti con l’algoritmo censore di Instagram e, per evitare lo shadow ban del social, copre i capezzoli serigrafati con dei cuoricini o con le mani. L’essere costretta ad autocensurarsi in un post che è un appello alla liberta di espressione, in più mentre non si è completamente coperte e si esibisce una nudità fittizia, può sembrare un puro controsenso. In realtà ci spinge a chiederci: Perché seni e i capezzoli sono al centro della censura?
Cosa rende diversi i capezzoli da un'altra parte del corpo? O, per usare le parole di Julia Roberts (in versione Anna Scott) in Notting Hill, "Perché gli uomini sono fissati con il nudo? In particolare con il seno. Perché avete tutto questo grande interesse?! No, dico sul serio, è solamente un seno. Al mondo una persona su due ce l'ha!". Una delle risposte più condivise è che tutto ciò è il risultato del male gaze. Al di fuori di quello sguardo ormai interiorizzato dalla società seni e capezzoli sono banditi, confinati nella sfera del proibito, del perverso, di una pudicizia non personale, ma determinata da ipersessualizzazione e oggettificazione. Per secoli il corpo femminile è stato scrutato, raccontato, mostrato e concepito in funzione della prospettiva di un uomo cisgender eterosessuale e quando una donna cerca di autorappresentare il proprio corpo questo viene percepito come disturbante, un problema da eliminare. Anche con la censura di un social network.
Secondo le norme di comportamento di Instagram e Facebook non è consentita la pubblicazione di contenuti di nudo, inclusi "le foto, i video e altri contenuti creati con strumenti digitali che mostrano rapporti sessuali, genitali e primi piani di fondoschiena completamenti in vista, le foto di capezzoli femminili". Ci sono delle eccezioni per l’arte, per le foto di cicatrici causate da una mastectomia e donne che allattano al seno, ma spesso l’algoritmo censore si sbaglia e banna questo tipo di immagini. Basta leggere attentamente questa policy per capire che la censura si accanisce principalmente sulle donne. Mostrare i capezzoli di un uomo, infatti, non è un problema. Un evidente esempio di disuguaglianza di genere che qualche anno fa Micol Hebron suggerì di sfruttare per aggirare le restrizioni dei social. L’artista americana pubblicò il template di un capezzolo maschile da tagliare e incollare sulle foto di nudi femminili per adeguarli alle linee guida delle piattaforme di condivisione più popolari. L’idea dal chiaro intento provocatorio è stata superata da Lina Esco, attivista e attrice famosa per la serie S.W.A.T., che, con un film su un gruppo immaginario di giovani donne in passamontagna rosa che correvano per Times Square in topless, ha dato vita al movimento #FreeTheNipple, contro la censura del capezzolo femminile. Sebbene l’adesione, dalle Femen a star come Miley Cyrus e Emily Ratajkowski, sia stata immediata e abbia interessato un largo numero di persone, il movimento è stato spesso deriso, bollato come superficiale. La scusa più diffusa per sminuire il #FreeTheNipple è che ci sono problemi più seri di mostrare il seno sui social o per strada. Forse, ma la censura indirizzata verso una sola parte della popolazione, non fa altro che perpetrare una mentalità patriarcale che continua a provocare effetti nel quotidiano come ad esempio sull’aborto e sulla tampon tax.
"Fa parte del mio prendere atto della mia sessualità e celebrarla. È una mia scelta e ci dovrebbe essere spazio per questo nella nostra cultura e nel nostro mondo." Ha detto Emrata parafrasando la famosa citazione di John Berger "Essere nudi è essere sé stessi. Essere spogliati è essere visti nudi dagli altri." In una società paritaria e ideale ne avrebbe diritto. Oggi, la strada da fare è ancora tanta. Secondo molti il primo passo è cambiare il modo di comunicare, quello in cui parliamo e raccontiamo il seno ed il corpo femminile. Ci ha provato lo scorso anno il collettivo di public art CHEAP con la campagna Tette Fuori che per rivendicare il diritto di autodeterminare il seno fuori dal male gaze ha riempito i muri di Bologna con grafiche, testi e immagini tratti dal libro ¡Pechos Fuera! di Patricia Lujan che esamina la rappresentazione del seno nella storia dell’arte e della comunicazione visiva. "Parlare del seno nella cultura pop e nelle rappresentazioni mediali con l’obiettivo di sradicare ogni forma di pregiudizio e preconcetto nei confronti del corpo delle donne" è anche la mission che ha portato alla creazione di Megazinne, magazine fondato da Ilena Ilardo e Giulia Vigna che offre una nuova prospettiva sull’argomento.
Viviamo in una società fortemente patriarcale, dove il corpo delle donne è indissolubilmente legato a un’immagine sessualizzante e mercificata, votata a soddisfare quell’appetito maschile. Parlarne in modo sfaccettato, non sessualizzante e magari con un pizzico di ironia può essere un modo di aiutare la società ad interiorizzare una visione personale, libera e diversificata del corpo femminile.