Come e perché Glastonbury è più cool del Coachella
Nell'universo dei festival musicali Inghilterra batte California
28 Giugno 2024
Glastonbury vs Coachella. Uno si tiene nella cittadina inglese di Pilton, nel Somerset. L’altro ad Indio, in California. Il primo ha una storia che risale agli anni ’70. Il secondo nasce nel 1999, all’alba del nuovo millennio. Entrambi sono eventi attesissimi, con una line-up piena di star ed un pubblico vasto che per qualche giorno vive un’esperienza unica, assistendo alle performance di artisti molto diversi tra loro. Ma solo uno è il festival musicale più cool. E non è il Coachella.
Ok, in California c’è il sole, fa caldo e il clima si presta bene al guardaroba estivo fatto di shorts e abitini svolazzanti, ma i flash di smartphone e macchine fotografiche brillano più degli outfit sgargianti che caratterizzano la folla assiepata sotto i palchi. Al contrario l’Inghilterra quasi inevitabilmente fa rima con pioggia e fango, ma anche con una certa autenticità che, nonostante qualche Instagram addicted, resiste ancora oggi. Glastonbury non è solo il place to be dove appagare la proprio fomo, una versione musicale del Met Gala dove ogni dettaglio è studiato per accumulare like e follower, rimane un rito collettivo all’interno del quale la musica e l’esperienza da festival sono ancora centrali. Basta scorrere le immagini dell’ultima edizione, conclusa appena qualche giorno fa, per vedere una macchia umana di volti, corpi, età, origini e stili diversi. Ci sono famiglie coi bambini, over sessanta, Gen Z, celebrità, hippie, persone in jeans e t-shirt, campeggiatori che abbracciano il gorpcore più per esigenza che per trend, orfani dei primi anni 2000, gente in maschera, vecchi rocker e chi non ha mai abbandonato l’estetica indie-sleaze. Anche a livello di look il festival sembra aver conservato una sorta di verginità, un antico legame con il desiderio di ribellione, libera espressione e condivisione che aveva quando è nato oltre cinquant'anni fa. Non siamo così ingenui da non riconoscere chi lo frequenta per farsi vedere e fotografare e che sta ore alla ricerca del perfetto look da festival. Diciamo solo che, se questa modalità è ormai indissolubilmente legata al Coachella con le sue corone di plastica, gli stivali da cowboy, gli abitini di Revolve, i capi in crochet e l’estetica fintamente boho che da Kendall Jenner a Chiara Ferragni, da Vanessa Hudgens a Rihanna non risparmia nessuno, qui, nel fango inglese, c’è ancora spazio per uno stile personale, che, se ha elementi in comune (e li ha), si tratta di una reale esigenza, una pura espressione di britishness.
Tanti dei capi che nel corso degli anni abbiamo visto sfoggiare sotto i palchi del Glastonbury dalle celebrità sono veri essential del loro guardaroba. I "Glasto look" vincono perché sono autentici, sono specchio dell'identità del festival e di chi li indossa. Non una scelta fatta solo per essere Instagram-friendly. Anche per questo il festival del Somerset batte quello di Indio. Sienna Miller indossa veramente stivali Ugg, i pantaloncini Levi's vintage e cappelli a tesa larga; Kate Moss ama gli slip dress, li sceglie per ogni occasione e non ha problemi ad abbinarli agli Hunter boots; così Alexa Chung si ripara spesso dal mutevole clima britannico con un Barbour e balla con le Superga bianche ai piedi; Cara Delevingne preferisce jorts sfrangiati e felpe colorate mentre ascolta il suo gruppo preferito con l’amica Margot Robbie così come quando gira per le strade di Londra. Non ci sono forzature. E se c’è qualcosa di studiato, non suona finto perché coerente con lo stile personale di ognuno.
Glastonbury è uguale da decenni eppure, al contrario della fissità plastica e finta in cui il Coachella si è fossilizzato, è vivo, respira, continua ad essere sincero e dannatamente cool. Per questo ancora oggi guardando le immagini di Kate Moss con gli stivali Hunter infangati e l’abitino sdrucito, al braccio di Pete Doherty, vorremmo ancora essere lei o almeno vestirci come lei. Ed avere la stessa espressione felice e rilassata di chi sa che Glastonbury è un universo parallelo in cui tutto rimane uguale eppure rimane contemporaneo e aspirazionale. Il tutto con la colonna sonora di David Bowie, The Smiths, Amy Winehouse, Blur, Nick Cave, Florence & The Machine, Adele e di tuuti gli altri artisti che si sono esibiti sui palchi di Pilton.