Ha senso fare del malessere un trend?
Recessioncore, yearnposting e il resto: anche la crisi è social
29 Settembre 2023
La recessione, il post-pandemia, l’autunno, la guerra, la crisi climatica, la fine del capitalismo. Le giornate si accorciano, la voglia di stare chiusi in casa aumenta. Si aprono i social, si esprime il proprio malessere che viene frammentato e ricomposto in trend o core, analizzato come se si trattasse dell’ultimo trend del momento. Le soluzioni scarseggiano, la tristezza è la nuova aesthetic of choice. Dall’altra parte dello spettro la perfezione maniacale, superficiale e di facciata, il clean disperato.
In principio fu il recessioncore
È quello che è successo con il recessioncore, che trova manifestazioni della crisi economica in tutto: dalle abitudini alimentari divenute improvvisamente popolari, come la wave del pesce in scatola, a quelle vestimentarie. Da sempre, infatti, le gonne lunghe tornano di moda durante i periodi di crisi economica, secondo l’hemline index. Anche la girldinner potrebbe essere messa in questo insieme. Una cena casalinga, spesso composta di avanzi e piccole quantità di cibi diversi messi insieme, che incornicia nell’ambito della self care una cosa che, di fatto, fa risparmiare denaro rispetto a uscire di casa. Un altro esempio di recessioncore? La mancanza di collane sui red carpet, che sembrano essere passate di moda, o la thrifting mania.
Yearnposting autunnale (e non solo)
Adesso, con l’arrivo dell’autunno, il recessioncore lascia posto allo yearnposting. Questo termine, in sé, non significa nulla, ma raccoglie tutti quei post che manifestano il desiderio di essere felici, amate, volute, nella consapevolezza (fasulla) che non succederà mai, e che dunque fa cadere nella malinconia e nella tristezza. Avete presente gli slideshow stranamente commoventi fatti di citazioni, immagini e foto tratte da libri, cinema e televisione che vediamo su TikTok, solitamente accompagnati da una canzone di Phoebe Bridgers? Quello è esattamente quello che si intende quando si parla di yearnposting. Non si tratta di una tendenza strettamente stagionale, quanto di un vero e proprio genere contenutistico che cambia forme e nomi, ma che rimanda allo stesso sentimento. Lo stesso, ad esempio, che qualche tempo fa ha fatto diventare virale Linger, brano dei Cranberries, e che ha fatto dire alle ragazze di tutto il mondo: “I’m just letting my sadness linger”.
@khaotickayleee it’s that time of year #yearning original sound - kaylee
I ragazzi stanno male
Attorno a questi hashtag, una nuvola di sintomi minimi di un malessere che è storico ma è anche generazionale. Fioccano i consigli per addormentarsi prima, per dormire meglio, per svegliarsi in fretta, per essere clean, per tenere la casa pulita anche quando non si ha voglia di muoversi dal letto. Quelli per rendere piacevole e non alienante il lavoro da casa, per respingere le attenzioni maschili non richieste rendendosi visivamente unapproachable, antipatiche e terribili. L’insegna al neon è accesa, le frecce che si illuminano a intermittenza puntano tutte in una direzione: i ragazzi non stanno bene e lo manifestano sui social, trasformando tutto in micro trend, hashtag e movimenti. Un grido di aiuto o la memificazione (e quindi svuotamento) di un problema serio?
@littlefreak26 Thoughts on the Gen-Z individuality crisis, a continuation of my video on cringe and anti-intellectualism #videoessay #fyp this feeling - Øneheart
I core e l’individualismo
Che le tendenze seguano i movimenti sociali non è certo una novità. Adesso, però, tutto è core e microtrend, in un’isolamento di sensazioni e azioni che, in realtà, sarebbe più fruttuoso esaminare nel loro complesso. Senza approfondire il tema enorme della salute mentale e dei modi in cui viene affrontata sui social, possiamo chiederci questo: ha senso frammentare, personalizzare e racchiudere dentro hashtag e buzzword una tristezza e un disagio nel muoversi nel mondo moderno che è di tutti e che dovrebbe essere affrontata come società?