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Salute mentale in Italia: a che punto siamo?

Dati e riflessioni in occasione della Giornata mondiale per la salute mentale

Salute mentale in Italia: a che punto siamo? Dati e riflessioni in occasione della Giornata mondiale per la salute mentale

Che dopo la pandemia la nostra salute mentale sia diventata più fragile non è certo un segreto. Se ne parla sui social network, gli insegnanti lanciano appelli per aiutare i ragazzi e gli studenti, gli episodi di rabbia e breakdown in pubblico o alla guida aumentano, le teorie del complotto anche. Pensare che l’unica causa delle nostre difficoltà derivi dalla pandemia, però, fa un disservizio a tutte le persone che avevano difficoltà anche prima, e alle altre variabili che contribuiscono a rendere i nostri tempi particolarmente difficili e incerti.  L’Italia, poi, ha delle specificità tutte sue, che vanno considerate quando si parla di argomento così complesso, tra l’incidenza dei disturbi e la mancanza di cure accessibili. Facciamolo in occasione della Giornata mondiale per la salute mentale, ricorrenza istituita il 10 ottobre 1992.

La situazione italiana nel dettaglio

Il 21 giugno 2023 sono stati presentati alla Camera i dati italiani del report fatto da The European House-Ambrosetti in collaborazione con Angelini Pharma. Secondo questi numeri, l’Italia è sopra la media per incidenze di malattie mentali, con una persona su cinque che soffre di almeno un disturbo collegabile a questa sfera. Secondo lo studio, le fasi della vita più delicate sono quelle dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra gli indici presi in considerazione il tasso di criminalità, che può essere causa di ansia e depressione, il bullismo subito a scuola e da giovani. A causare stress, solitudine, paura anche le condizioni abitative sfavorevoli. In Italia, circa il 20% della popolazione vive in condizioni precarie, sovraffollate o entrambe le cose. L’urbanizzazione accelerata, che causa sia un deterioramento della qualità dell’aria sia la diminuzione di spazi verdi, non aiuta di certo.

I dati puntano tutti in una direzione

Come se non bastasse, il tasso di disoccupazione è al 7,3%, e ha subito un lieve miglioramento. Troppo lieve, soprattutto per i giovani professionisti, che faticano a trovare una stabilità e tendono a isolarsi. Infine, il rapporto annuale Istat 2023 rivela che i lavoratori italiani guadagnano 3.700 euro in meno rispetto alla media dei colleghi europei e oltre 8.000 euro in meno rispetto alla media di quelli tedeschi. Se incrociamo questi dati con quelli dell’indagine condotta da Ipsos e promossa dal Gruppo Axa, risulta infine che l’Italia presenta la più bassa percentuale di persone che dichiarano di sentirsi in uno stato mentale positivo, di benessere. I soggetti più a rischio, secondo questa indagine, sono ancora una volta i giovani e, non a sorpresa, le donne, complice forse la disparità avvertita ogni giorno, in famiglia e sul lavoro. I risultati sono arrivati, e sono molto chiari: siamo poveri, tristi e arrabbiati.

La dimensione collettiva 

Impossibile, oltre a quelle già evidenziate dagli indici, non tener conto del periodo storico, della politica interna di un Paese, il nostro, che ha deciso di combattere la libertà di scelta delle donne e della comunità LBGT+, che sta facendo passi indietro sulle unioni civili, delle notizie e delle immagini che ci arrivano da Lampedusa, da Gaza, da Kiev. L’eco-ansia fa il resto, in una combinazione letale di cause che sono individuali ma sono soprattutto collettive.

Non siamo mai stati così collegati e informati, e non siamo mai stati così tanto mitragliati di disgrazie nostre e altrui, la nostra capacità per l’empatia mai stata così messa a dura prova. È stato addirittura coniato un termine: bad news fatigue. Come potrebbe, insieme alle altre cose, non influire sulla nostra salute mentale?

Le persone si rivolgono agli esperti?

Dall’indagine realizzata dall’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop) quasi 1 italiano su 5 si è rivolto a uno psicologo. Nel target 18-35 il numero si alza, toccando il 25%. Il 14% delle persone intervistate, invece, non si è rivolto a nessuno, anche se riteneva di averne bisogno. Tra i motivi che allontanano dal chiedere aiuto a un professionista c’è sicuramente la questione economica. Moltissimi psicologi infatti operano nel privato, e le tariffe possono essere proibitive, soprattutto per i più giovani o per le famiglie numerose o monoreddito. In caso di problemi, il 47% delle persone si rivolgerebbe a un esperto, mentre il 38% preferirebbe prima parlarne con le persone care. In seconda posizione, c’è sicuramente lo stigma sociale. Molte persone fanno fatica a chiedere aiuto, considerano lo psicologo o il terapeuta “uno strizzacervelli” e pensano che siano solo i problemi veri, reali, tangibili, fisici ad avere bisogno di un intervento mirato. Inoltre, spesso il proprio percorso psicologico con un professionista viene tenuto nascosto ad amici, colleghi e familiari, per una questione di vergogna

La pandemia, in questo, ha paradossalmente aiutato, o almeno così sembra. Pare infatti che il 26% delle persone coinvolte sia stato più propenso a chiedere aiuto post pandemia. Un cambio di passo che promette bene, che poco può fare senza aiuti mirati, costanti e strutturati da parte dello Stato.

 

Cosa sta facendo l’Italia per affrontare questo problema?

L’Italia, secondo l’indagine di The European House-Ambrosetti, è una delle nazioni europee meno capaci a reagire a situazioni di difficoltà, ed è nona per quanto riguarda la qualità dell’assistenza sanitaria per i disordini mentali. Potrebbe andare meglio. Il bonus psicologico, a causa di fondi bassi, ha promesso cose che non è riuscito a esaudire. Ancora troppe famiglie sono lasciate da sole, e la scuola non può supplire alle enormi lacune della Macchina Pubblica. A marzo 2023 si è insediato presso il Ministero della Salute il nuovo Tavolo tecnico per la Salute Mentale, composto da esperti del settore, che ha fotografato la situazione attuale. Si attendono provvedimenti.