Cosa possiamo fare per distruggere il patriarcato?
Da dove partire per smantellare un sistema secolare, per tuttə
20 Novembre 2023
Il 20 novembre 2023 il Viminale ha aggiornato i dati inerenti gli omicidi avvenuti quest’anno in Italia. Secondo questi dati, 106 donne sono morte da gennaio a novembre. Di queste, 87 sono state uccise in ambito familiare o affettivo, 55 per mano del partner o dell’ex partner. Tra loro c'è anche Giulia Cecchettin. A fronte di questi dati è molto difficile, almeno in un primo momento, non pensare che tutto sia perduto e che queste cose continueranno a succedere, indisturbate. La frustrazione è tanta, ci si sente sole contro tutti, le istituzioni impotenti, l’opinione pubblica divisa e inconsapevole, il termine “mostro” utilizzato per prendere le distanze, come se aiutasse a individuare un problema che è enorme e spaventoso. Dopo un primo momento di sconforto, abbandono e apatia, però, tocca a tuttə noi lottare per chi è rimasto, e cercare nel nostro piccolo di smontare quei meccanismi inconsci, secolari, profondi che permettono che queste tragedie accadano. Con i nostri tempi, poco a poco, ma anche consapevoli che questo è l’unico modo di cambiare, e che ci troviamo dal lato giusto della storia: quello che educa e protegge. La rabbia non è solo un sentimento negativo, anzi se incanalata e protetta può diventare preziosa e costruttiva. Lo scopo? Lo smantellamento, mattoncino dopo mattoncino, del patriarcato e dei suoi meccanismi di potere e prevaricazione che, in cima alla piramide dei comportamenti misogini, culminano nel femminicidio.
Conoscere per parlare, capire, distruggere
I minuti di silenzio lasciano il tempo che trovano. Quello che si deve fare, qui, è esattamente l’opposto: parlare. Prima di parlare, però, bisogna individuare il problema. Le ragazze lo sanno, lo sentono, lo capiscono sulla loro pelle, hanno anni e anni di storie (loro, delle loro amiche, delle loro nonne e madri) da condividere, se se la sentono. Possono inoltre amplificare le voci delle attiviste, le loro campagne e iniziative. Chi sta dall’altra parte può mettersi in posizione di ascolto, cercare di capire cosa significa sentirsi oppresse sul lavoro, in pericolo per strada e sui mezzi, online, intrappolate in relazioni pericolose, lasciate sole e isolate dall’ex fidanzato possessivo. Internet è la nostra ostrica, ma potrebbe essere utile anche sfogliare qualche libro per approfondire. Ce n’è davvero per tutti i gusti, dai saggi alle graphic novel, da quelli per bambini a quelli più strutturati. Basta chiedere alla vostra libraia di fiducia. Lo scopo? Conoscere i diversi tipi di violenza, cosa li provoca, cosa li legittima e avalla, come trattare l’argomento, come parlarne con gli altri, spiegare e discutere, contestare. Forti, purtroppo, delle nostre esperienze e, per fortuna, delle nostre conoscenze.
Mai stare in silenzio
Una volta internalizzata questa dolorosa consapevolezza, bisogna rassegnarsi a non stare mai più in silenzio. Questo passaggio, proprio a causa del patriarcato - che si è messo nelle condizioni di proteggersi e autotutelarsi, e proprio per questo è così difficile da distruggere - potrebbe essere particolarmente difficoltoso per le ragazze. Quante volte abbiamo cercato di esprimere un’opinione o un parere in una stanza piena di uomini, che fosse attorno al tavolo di un bar o durante una riunione di lavoro poco importa, e siamo state ignorate se non volutamente sminuite? Essere alleati delle donne è proprio questo: utilizzare la propria posizione di potere per dire le cose che non sarebbero ascoltate se a esternarle non fosse stato un uomo. Una forma di alleanza che potrebbe funzionare, ma solo se al momento giusto l’uomo fa un passo indietro, lasciando il suo posto alla collega, all’amica, alla parente o alla conoscente. Non è una questione di mancanza di machismo o del non essere abbastanza maschi, quanto di non essere più complici di un sistema malato, tirarsene fuori fieramente. Questo movimento potrebbe risultare faticoso, uno strappo. Potrebbe inimicarvi qualcuno, escludervi dal vostro precedente gruppo di amici. Potrebbe, però, anche portare una nuova sensibilità. Quando sentite qualcuno scherzare sul consenso o sulle molestie, intervenite? La risposta dovrebbe essere sì.
Una questione di modi (e di lessico)
Le parole sono importanti, anzi fondamentali. Il termine patriarcato porta con sé una pluralità di istanze, che vanno chiarite e dette ad alta voce. Bisogna evitare i linguaggi non inclusivi, non parlare di Vere Donne e Veri Uomini, non cadere nel binarismo di genere (in questo articolo, per donne si intende chiunque si senta una donna, senza esclusione), non usare i termini “mostro” o “eccezione”, non tirare fuori dal taschino espressioni disgustose sull’avere una mamma o una figlia e sull’aver imparato che le donne hanno valore grazie a loro (e prima?). Esprimere il proprio pensiero è importante, ma anche pesare le parole lo è. Sui social e nella nostra vita quotidiana.
La lotta al patriarcato, se non è intersezionale, non esiste
La violenza patriarcale colpisce tutte le donne, alcune di loro con particolare veemenza. Stiamo parlando delle donne non-bianche e razzializzate, delle donne trans, delle donne disabili, delle donne queer, delle donne che per qualsiasi motivo non rispettano gli standard. La violenza patriarcale non esiste in un vuoto e non può essere isolata, è figlia e sintomo del capitalismo, che si basa sulla prevaricazione, che per funzionare deve avere una parte che comanda duramente e una che obbedisce, svantaggiata. Se non si mettono in chiaro queste sfumature è impossibile capire. Bisogna allargare il discorso, unire le istanze, sostenersi a vicenda sui social ma anche nella vita, partecipare alle manifestazioni, donare tempo e denaro, chiedere a gran voce alle istituzioni un aiuto che non sia superficiale e scatenato dall’ultimo fatto di cronaca nera, ma sistematico, di educazione emotiva, scolastico.
Decostruire se stessi per decostruire il mondo
Questo sforzo di decostruzione non è soltanto rivolto verso l’esterno, ma anche verso l’interno. Per noi ragazze, questo si sintetizza in maniera efficace nella formula “misoginia interiorizzata”. Bisogna farsi un durissimo esame di coscienza, senza sconti né indulgenze, e cercare di eradicare dai nostri modelli di pensiero ogni giudizio nei confronti di un’altra donna che abbia a che fare con la sua aderenza o meno ai modelli patriarcali. Un esempio? I discorsi sul corpo e sulla bellezza, la fatfobia, lo slutshaming. Rifiutare qualsiasi forma di competizione, fare squadra in tutti i contesti. Combattere contro le idee di possesso, per una comprensione profonda di cosa vuol dire consenso. Non trattare la gelosia come normale o sana, come segno di interesse. Costruire rapporti sulla fiducia e sulla condivisione emotiva.
Chiedere aiuto, pretendere di più
Non abbiate mai paura di chiedere. In primis aiuto. A un terapeuta, se vi sentite in contrasto con una parte di voi che registrate come violenta e non sapete come controllarla, se volete aiuto professionale per distanziarvi dai modelli della mascolinità tossica. A un amico o un’amica, alle associazioni che ogni giorno, instancabili, agiscono sul territorio. C'è l'imbarazzo della scelta. Di.RE, ad esempio, è una rete nazionale che si occupa di associare e tenere in contatto tutte le realtà sul territorio. Potete rivolgervi a loro per trovare quella più vicina a voi. Ancora, MamaChat si avvale di tantissime psicologhe per assistere le donne a distanza e in forma completamente anonima e associazioni come Frida o Cadmi hanno modalità di assistenza speciale per le vittime di violenza online o per le donne che subiscono violenza economica. Denunciate, urlate, fatevi sentire. Accompagnate le vostre amiche a farlo. In secondo luogo, pretendete. Più dati, più corsi, più copertura gratuita per la salute mentale negli ospedali e nelle scuole, più fondi per i consultori. Sapevate che il 25 novembre, Giornata per l'eliminazione della violenza sulle donne, si terranno due manifestazioni nazionali, una a Messina e una a Roma? Non una di meno sta organizzando degli autobus a copertura nazionale per recarvisi.
La strada è lunga
Ci vorrà un po'. Ad accettare che la realtà in cui viviamo è questa, ad accettare che potremmo esserne stati avvantaggiati fino a ora, anche senza rendercene conto, che la vita è stata un po' più facile per alcuni e un po' più difficile per altri, ad accettare che altre nostre sorelle potrebbero subire quello che abbiamo subito noi. La strada è lunga, impervia, difficile. Bisogna armarsi di pazienza, di uno scalpello, di parole costruttive, di voglia di costruire sulle macerie di un mondo che si dimostra sempre più inadeguato, difficile, deludente, di rabbia buona. Per arrivare alla prossima Giornata per l'eliminazione della violenza sulle donne migliori, e ancora tutte insieme.