Le proteste virtuali hanno senso?
Da Roblox a Instagram, c'è da fare qualche distinzione
22 Novembre 2023
In queste ultime settimane le proteste in piazza, fatte di bandiere, cartelloni, urla, interventi di associazioni e organizzazioni e lunghi cortei, sono state al centro del dibattito pubblico, per più di una ragione. Per la scuola e le guerre, prima, e per i femminicidi poi. Senza contare gli scioperi, come quello indetto dai lavoratori di Mondo Convenienza e, dall’altra parte del mondo, quello di autori e attori raccolti sotto la gilda dei sindacati. Tra qualche giorno, poi, ci sarà una grande mobilitazione nazionale organizzata da Non Una di Meno in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne. Insomma, scendere in strada, armarsi di corde vocali d’acciaio e di un qualche tipo di cartello e slogan è alla base della protesta. È un atto pubblico, liberatorio, di gruppo. La sua efficacia potrà essere messa in dubbio dai più cinici, ma le proteste hanno ancora valore, oggi più che mai. Anche solo perché ci fanno sentire una dimensione di comunità che abbiamo un po’ perso e con cui sarebbe auspicabile tornare in contatto.
Non tutti possono partecipare ai cortei in piazza
Non tutti, però, possono prendervi parte. I motivi sono vari e personali. Ci potrebbe essere il problema delle folle, che non a tutti piacciono, anzi, c’è chi ne ha proprio la fobia. Non tutti, per una questione di abilità fisica o anche mentale, possono sentirsi a proprio agio con il camminare molto. Infine, c’è il problema dell’età. Non è detto che i genitori dei giovanissimi li lascino partecipare a raduni che, se toccano cause particolarmente antipatiche al potere costituito, potrebbero rivelarsi un po’ caotici e pericolosi, in cui farsi riconoscere diventa un rischio. L’anonimità, in questi casi, è molto difficile da mantenere. Si fanno le foto, potrebbero creare qualche problema. Cosa si fa in questi casi? Un gruppo di utenti della piattaforma di gioco online Roblox, ad esempio, ha deciso di organizzare una protesta virtuale, sul sito, con i propri avatar, per chiedere il cessate il fuoco ed esprimere il proprio sostegno alla causa palestinese. Su Roblox il 60% degli utenti ha 16 anni o meno. Un modo di fare sentire la propria voce senza rischi.
@devotedly.yours Kids in Malaysia are protesting on Roblox for a free Palestine
Le proteste online, su Roblox e non solo
Questo episodio avvenuto su Roblox non è certo un caso isolato. Dopo l'elezione di Donald Trump nel 2016, giovani utenti hanno invaso i server di Club Penguin per protestare contro la vittoria del presidente in un'elezione per la quale erano troppo giovani per votare. Nel 2020, i giovani confinati nelle loro case a causa del Covid si sono rivolti a Toontown, Habbo e Roblox per organizzare manifestazioni del movimento Black Lives Matter in mezzo alle restrizioni del lockdown. Lo stesso anno, attivisti di Hong Kong hanno utilizzato il nuovo Animal Crossing: New Horizons per criticare il presidente cinese Xi Jinping, creando striscioni digitali con il suo volto, portando alla fine al divieto di vendita del gioco a Hong Kong e in Cina.
@curlydaddy101 which was better #roblox #mlk #foryou #foryoupage original sound - CurlyDaddy101
Il significato simbolico: i giovanissimi entrano in campo
A prescindere dall’utilità pragmatica, queste proteste virtuali sono importanti per due ragioni. La prima è la più semplice: non bisogna sottovalutarne il significato simbolico. Queste proteste sono la prima possibilità per ragazzi molto giovani di esprimere la loro opinione, di manifestarsi sulla scena pubblica e di partecipare a un discorso pubblico da cui potrebbero sentirsi esclusi, privati di sbocchi espressivi e agentività. In secondo luogo, si tratta comunque di spinte comunitarie. E qui sta la differenza tra le proteste su Roblox e l’attivismo social, nella dimensione di gruppo. Chi può dire che questi stessi utenti, un domani, non decideranno di scendere nelle strade?
@witti.indi Social media activism HAS to go WITH actually doing the work to be ACTIVELY ANTI-RACIST. Otherwise it’s performative #performativeactivism original sound - Indi1010
La differenza tra proteste virtuali e attivismo social
Dall’avvento dei social network in poi, la parola attivismo è stata svuotata del suo significato, resa semplicemente un aggettivo o un qualificante da aggiungere alla parola influencer. Il problema, però, è che non si può essere influencer senza precisare benissimo chi si è, anzi senza mettersi al centro di ogni questione, senza esprimere un'opinione in qualità della propria, appunto, influenza. Serve a informare, certo, a spingere gli indecisi da una parte e dall'altra. Ma serve spesso anche a consolidare un personal brand, cosa che tende a svuotarlo e a depotenziarlo e a fargli guadagnare l'appellativo di performance. L’attivismo social è valido fino a un certo punto, soprattutto se legato a possibilità di guadagno e slegato da una seria presa di consapevolezza interiore, e non sostituirà mai le proteste in piazza per un semplice motivo: chi lo fa, lo fa da solo, in quanto “io”. La ricerca del “noi”, su Instagram, è spesso superficiale e a senso unico, la community in larga parte pubblico passivo. Questi sedicenni di Roblox, anonimi e disperati di dare un contributo, ci stanno dando una bella lezione: non esiste attivismo senza mettere da parte l’ego.
@gordacorajuda #activism is more than a hashtag. #washington #washingtonstate #seattle #casalatina #latinos #latinas #latinx #latine original sound - Jackie
Le differenze tra proteste in piazza e online: il caso del 25 novembre
La differenza, però, non è soltanto tra le proteste virtuali e quelle social, anzi. Un'altra distinzione, zoomando ancora più in fuori, è da farsi tra le proteste in piazza e quelle su, ad esempio, Habbo. Sicuramente, è una questione generazionale. Alcuni giovanissimi, complice anche il lockdown, sembrano aver perso il contatto con la dimensione collettiva, anzi la rifuggono. Non per tutti è così, anzi, e questo sforzo di ritrovarla è più importante che mai, e dovrebbe traslarsi dalle piattaforme online verso fuori. Facciamo un esempio concreto: Non Una Di Meno ha deciso di organizzare degli autobus per partecipare, da tutta Italia, alle due proteste nazionali che, come detto nel primo paragrafo, si terranno a Messina e Roma. Per autofinanziarsi, sta facendo serate e mercatini ma, anche, sta offrendo la possibilità di pagare il biglietto per qualcun altro. Una sorta di caffè sospeso, che permette di partecipare a chi, magari, non potrebbe permetterselo. Perché cos'è il femminismo se non comunità?
Chi vuole, protesti. Chi non vuole, cerchi modalità alternative
Non stiamo dicendo che tutto l'attivismo social e i suoi rappresentanti siano da buttare e che l'unico modo di protestare sia in piazza, anzi. Partecipare alle proteste non è obbligatorio, e farlo forzatamente forse finisce anche per essere controproducente. Quello che stiamo dicendo è: quanta parte delle idee che portiamo avanti sentiamo davvero? Quanta parte è, invece, frutto da un qualche tipo di obbligazione social, per cui l'unica cosa che conta è dirlo su Instagram e non nella vita? Ancora, come cambierebbe il mondo se, alla condivisione di post sui social, si affiancassero delle assemblee con gli amici, online o in presenza non importa, delle discussioni serie fatte attorno a un tavolo e, magari, qualche tipo di avvicinamento a un'associazione che si batte sul campo? L'unione fa la forza non è solo un vecchio proverbio da allenatore di sport di squadra, è anche la verità.