C'era proprio bisogno del biopic su Amy Winehouse?
È appena uscito e la polemica è già infuocata
19 Aprile 2024
La storia di Amy Winehouse è una storia triste, fatta di abbandono, di dipendenze e di tormenti, di un talento luminosissimo nonostante tutto, che in poco tempo è diventato indelebile quasi quanto quell'eye-liner e quella crocchia di capelli. Una storia recente, dispiegatasi davanti ai nostri occhi con una velocità allarmante, che ci ha fatto sentire impotenti. Avevamo davanti a noi una stella, e non abbiamo fatto nulla mentre si spegneva. Adesso, il film che vorrebbe raccontare quella storia è uscito al cinema ma parte del pubblico, dei suoi fan e dei suoi amici non lo stanno apprezzando. Cerchiamo di capire il perché.
Quando esce il film su Amy Winehouse?
È uscito l'11 gennaio il primo trailer di Back to Black, pellicola dedicata alla cantante di Love is a Losing Game scomparsa nel luglio del 2011. Diretta da Sam Taylor-Johnson, è prodotta da Studiocanal e Monumental Pictures con una sceneggiatura di Matt Greenhalgh, è arrivato al cinema il 18 aprile 2024 e il pubblico ha già fortissime opinioni a riguardo. Non si tratta del primo film dedicato alla cantante. Nel 2015, infatti, vide la luce Amy. Anche questo prodotto, proprio come il biopic, intendeva "raccontare la personalità fragile e tenera della cantante, il suo rapporto con la famiglia e con i media, la fama, la dipendenza, la sua generosità e il suo talento". Si trattava, però, di un documentario che fu molto ben recepito dalla critica, tanto da guadagnarsi l'Oscar nella sua categoria. Non fu, invece, apprezzato dal padre dell'artista, Mitch Winehouse, che ci tenne a prendere le distanze dall'opera, giudicandola poco veritiera. Proprio il padre ha dato la sua benedizione a Back to Black.
Le polemiche sull'opera
Fin dall'annuncio della pellicola, nel 2018, le polemiche non si sono risparmiate. Anzi sono aumentate all'aumentare delle notizie e delle immagini trapelate direttamente dal set. Non è piaciuta la scelta dell'attrice protagonista Marisa Abela, il fatto che alcune scene siano state girate nell'appartamento londinese di Amy Winehouse o nel cimitero in cui è sepolta, il fatto che larga parte del film sia dedicato alle sue dipendenze, rappresentate in modo esplicito. La maggior parte di esse, però, sembrano concentrarsi proprio sul padre di Amy Winehouse, che ha partecipato attivamente alla realizzazione del biopic e che ha aperto in onore della figlia una fondazione che si occupa di sostenere attività di beneficenza a livello internazionale con un focus sui giovani che hanno problemi economici o di dipendenze. Neon Hitch e altri amici rimasti anonimi chiedevano, in breve, di lasciare riposare in pace Amy, di mostrare rispetto al suo talento e alla sua storia personale, di evitare operazioni pruriginose e scandalistiche. Alcuni fan, poi, sono andati oltre, speculando su Reddit sul rapporto tra padre e figlia che, a giudicare dalle canzoni non era dei migliori. Il che leverebbe all'uomo il diritto di decidere cosa si può fare o non fare a partire dalla storia di Amy Winehouse.
Una questione etica aperta: il caso May December
Quale sarebbe la soluzione? Non fare mai più un film su personaggi realmente esistiti? In che modo è concesso, da parte dell'industria cinematografica, approcciarsi a vite reali, con tutte le loro difficoltà? La materia è spinosa e più che mai attuale. Recentemente se ne è parlato riguardo May December, film diretto da Todd Haynes che arriverà in Italia solo il prossimo aprile, ma che è già uscito negli Stati Uniti. Il film è liberamente tratto da un caso di cronaca recente che fece scalpore, la storia di un'insegnante che ha adescato il suo alunno tredicenne per poi sposarlo, e si concentra sul rapporto tra la protagonista e un'attrice che deve interpretarla e sulla presa di coscienza del giovane uomo sulla reale natura del rapporto con la moglie. Proprio in questi giorni il protagonista della vicenda reale si è detto deluso e amareggiato dal fatto che nessuno gli abbia chiesto il permesso di ritrarre la sua storia sul grande schermo, dividendo di fatto l'opinione pubblica. C'è chi crede che l'uomo andasse coinvolto, chi invece è convinto che il film usi la storia solo come ispirazione per trasformarsi in uno studio di caratteri e di umanità, e che l'arte cinematografica non possa sentirsi limitata dalla volontà delle persone a cui si ispira, pena un prodotto poco sincero e sentito. Non tutto può essere cronaca. In entrambe le posizioni c'è del vero, e più è delicata la materia di partenza (abusi nel caso di May December, dipendenze in quello di Back to Black) più è difficile mettere da parte i nostri sentimenti e la nostra sensibilità. Il cinema fa anche questo: ci mette a disagio. Nel bene e nel male.
Vili Fualaau, whose case inspired ‘May December,’ speaks out against the film:
— Pop Crave (@PopCrave) January 4, 2024
“If they had reached out to me, we could have worked together on a masterpiece. Instead, they chose to do a ripoff of my original story. I’m offended by the entire project and the lack of respect… pic.twitter.com/6GVarDbvWi
Da Rocketman a Bohemian Rapsody: la biopic fatigue
Non solo questioni etiche. A un livello più superficiale, si registra come negli ultimi anni sia stata fatta (anche a favore di premi cinematografici statunitensi, che sembrano amare particolarmente i film sulle figure iconiche e travagliate della cultura pop mondiale) una vera e propria corsa al biopic, con risultati altalenanti. Alcuni utenti, ad esempio, non hanno apprezzato particolarmente Bohemian Rapsody, che però è stato premiato agli Oscar, e considerano sottovalutato dall'altra parte Rocketman. Elvis si piazza nel mezzo, offuscato dai meme sull'accento di Austin Butler. Altre opere sono state osannate e poi dimenticate, come Judy, nel 2019. Insomma, forse siamo un po' stanchi di vedere rappresentata la nostra storia recente, di discettare su modalità e casting, su canzoni ed esibizioni. Soprattutto quando si tratta di operazioni costose e pubblicizzate e alla fine mediocri.
Il nostro rapporto con Amy Winehouse
Forse, infine, più che una questione di regole assolute (impossibili da imporre) è una questione di modi. Tutto è raccontabile, purché sia raccontato con rispetto. Rispetto che - ed è solo una sensazione condivisa - sembra mancare nell'operazione Back to Black, che oltretutto va a toccare una figura sentitissima. Forse per le sue fragilità così evidenti, forse perché è impossibile non provare empatia per un talento così ovvio che ha avuto una vita così tremendamente breve, forse perché bisogna aspettare qualche anno in più, per raccontare questa storia ancora così dolorosa, forse perché semplicemente Amy Winehouse si è conquistata un posto speciale nel cuore di tutti, senza bisogno di biopic e di grandi produzioni, nello stile rock, trasandato e tipicamente londinese che tanto le piaceva.