Non riusciamo più a dire la verità neanche al nostro psicologo
Ci nascondiamo dietro a un personaggio a scapito della nostra salute mentale?
12 Gennaio 2024
Quando nella vostra vita succede qualcosa di buffo, di divertente, di bislacco, di triste o di genericamente assurdo o degno di essere condiviso, cosa fate? Probabilmente prendete il telefono e lo scrivete su Whatsapp o Telegram alla vostra amica del cuore, a vostra madre o al vostro partner. Se vi divertite a scrivere o a disegnare, magari, pensate a come potreste rappresentarlo sul foglio o sulla tela. Magari, se è qualcosa di significativo per il vostro percorso, ve lo segnate nelle note, fate un appunto mentale per raccontarlo al vostro terapista. Se avete dei profili sui social e un certo seguito, probabilmente, il primo impeto sarà invece quello di raccontarlo in forma di video o di post. Come lo raccontate? Esattamente come è successo o drammatizzando il tutto? E ancora, vi è mai successo di inventarvi qualcosina perché non sapevate proprio come finire una storia o su cosa pubblicare un contenuto o, al contrario, di nascondere qualcosa ai vostri follower per non rovinare l'immagine che hanno di voi?
Quanto si mente sui social network?
Guardandosi intorno sui social, sembra che la tendenza alla bugia (o alla modifica della realtà) sia sempre più diffusa. Si mente al bacino indistinto degli utenti, si mente per diventare virali, si mente per i like, si mente per guadagno (ad esempio, si mente sulla validità o meno di un prodotto che è stato chiesto di sponsorizzare), si mente in positivo o negativo, per rendersi più interessanti o più degni di commiserazione, per ottenere donazioni. Parte di questa tendenza alla doppiezza, e non c'è dubbio, viene nutrita dai social, che ce lo rendono facilissimo e virtualmente senza conseguenze. A volte si esagera la propria posizione, si cercano parole aspre e roboanti per esprimere opinioni che in realtà sono miti e vuote, non sostanziate se non nei toni. Si cerca l'effetto oltre la realtà. Se il personaggio funziona, poi, è la fine. Bisognerà rispettare i suoi limiti, dimostrarsene all'altezza. Alla fine della fiera, è quella versione di noi che piace, non quella vera, e quella va mandata avanti.
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Perché le persone mentono
Non vale solo per i social. Siamo tutti un po' bugiardi. Mentiamo per piacere di più, perché ci sentiamo a disagio, perché la nostra vita non ci piace. Questa tendenza a scindere persona e personaggio, a mettere davanti alla nostra vita una rappresentazione su schermo di noi stessi, che per forza di cose è più brillante o più tormentata, più allegra o più misteriosa (a seconda delle esigenze), però, potrebbe anche essere frutto di altro, di paura di affrontare la realtà, di scarsa autostima, di bisogno di sentire ascoltati, di tendenza all'overperformatività e di desiderio di controllo, nascere da bisogni o mancanze profonde, colare sulla nostra presenza social e fuori dallo schermo, avvelenare la nostra vita. Soprattutto quando finiamo per abituarci talmente tanto da mentire anche al nostro terapista.
@makenzie.marshall “it’s be better if it wasn’t full of DECIET” #fyp About Damn Time - Lizzo
Perché mentiamo al nostro psicologo?
Proprio così. Tutti i giorni sui social ragazze e ragazzi raccontano con dovizia di particolari le loro sedute di terapia, ammettendo candidamente di mentire. Non importa che siano bugie bianche, che non fanno male a nessuno. La domanda è perché sentiamo il bisogno di performare? Perché non riusciamo semplicemente ad essere noi stessi (e non il nostro personaggio) in un contesto, quello della seduta psicologica, in cui la sincerità è alla base non solo del rapporto di fiducia con il professionista che abbiamo davanti, ma anche del nostro percorso di benessere mentale. Se poi aggiungiamo anche il doppio layer, che ci porta a dirlo sui social, la situazione diventa ancora più profonda. Cosa stiamo cercando, quando dopo aver mentito al nostro terapeuta, lo raccontiamo sui social? Solidarietà, comunità, aiuto qualcuno che ci rincuori e che ci dica "anche io" o, forse, anche un aneddoto un po' disinvolto su quanto siamo sregolati? E si torna al punto di prima.
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Il parere dell'esperta
Secondo la terapista Carrie Torn, che ne ha parlato con Bustle, diverse sono le ragioni che ci spingono a mentire. "Una di queste è che una volta che una cosa è stata detta ad alta voce, può sembrarci più reale, più vera" ha dichiarato. Quindi, una sorta di meccanismo di protezione. Un'altra grande ragione, può essere quella legata al people pleasing. Vogliamo piacere al nostro terapista, rassicurarlo che stiamo bene, distrarlo facendolo ridere. "L'umorismo è un ottimo meccanismo di coping e un modo per deviare da sentimenti più profondi che potrebbero essere scomodi" aggiunge Torn. Si tratta di una tendenza comprensibile, ma non per questo da ignorare, soprattutto se si presenta anche dopo le prime sedute e dopo essere entrati in confidenza con lo psicologo. Secondo la terapista, anche in questo caso la soluzione è comunicare, chiedendo esplicitamente a chi abbiamo davanti di incoraggiarci ad aprirci e a farci notare quando stiamo nicchiando. "Ricorda che gli obiettivi che hai in terapia sono i tuoi obiettivi. Puoi essere onesto con il tuo terapeuta riguardo alle cose che non vuoi o non sei pronto a affrontare al momento" conclude Carrie Torn. Infine, non è da sottovalutare un ultimo aspetto. Se proprio non riusciamo a sentirci a nostro agio con il nostro psicologo, potrebbe avere senso pensare di cambiarlo. La fiducia è importante, e durante una seduta dobbiamo poterci sentire a nostro agio nel dire tutto, proprio tutto. Anche le cose di cui ci vergogniamo.