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Chiamateci per nome (e per titolo professionale)

Abbiamo chiesto ad Azzurra Rinaldi la sua opinione sulla proposta della Lega di bandire l'uso del femminile negli atti pubblici

Chiamateci per nome (e per titolo professionale) Abbiamo chiesto ad Azzurra Rinaldi la sua opinione sulla proposta della Lega di bandire l'uso del femminile negli atti pubblici

Proibire l'uso del femminile per le cariche lavorative negli atti pubblici poteva diventar legge prevedendo una multa fino a cinquemila euro. Sembra una fake news, ma non lo è affatto. A partorire tale brillante idea è stato Manfredi Potenti, un senatore della Lega di Matteo Salvini. Un uomo, ovviamente. Dopo le polemiche scatenate in questi giorni, il partito stesso ha fatto marcia indietro sul disegno di legge, ma il dado è tratto, e abbiamo capito un po' di cose sia sul partito che sulla considerazione generale che la politica e l'opinione pubblica italiane hanno del lavoro delle donne, della loro carriera e della loro vita.

Sindaca, rettrice e avvocata sono parole grammaticalmente corrette? 

Perché questi termini spaventano tanto da dover essere proibiti? La risposta è semplice: a spaventare non sono le parole, ma quello che rappresentano, cioè la dicotomia donna-potere, che crea un forte squilibrio all'interno dei canoni tradizionali imposti dal patriarcato in questo paese. Ne ho parlato con la fondatrice di Equonomics, realtà che rafforza l’equità di genere all’interno delle aziende e delle istituzioni, la professoressa e scrittrice Azzurra Rinaldi, esperta in economia femminista. "La proposta va contro le regole della grammatica italiana che prevedono la declinazione al maschile e al femminile. Con il pretesto di salvaguardare la vera lingua italiana, in realtà non si fa altro che avallare e sottolineare la presenza di bias problematici" ha spiegato.

Perché ci dovrebbe importare?

Continua Azzurra Rinaldi: "Il linguaggio - come ci insegnano linguiste come Vera Gheno - è in realtà rappresentazione, quindi il fatto che noi rappresentiamo un mondo in cui le professioniste come le maestre vengono indicate al femminile e le ingegnere invece no declina una struttura di potere che è rappresentazione. Il linguaggio crea la realtà e se io non ti rappresento tramite il linguaggio tu non esisti. Cosa non del tutto vera, dato che - nonostante il gender gap presente nelle posizioni di potere - esistono molte donne che ricoprono ruoli come avvocata, ingegnera e assessora. L'idea che si nasconde dietro questa proposta è quella che debba persistere l'immaginario in cui le donne debbano stare dietro i fornelli, a casa e al massimo ricoprire posizioni meno retribuite". Il problema, dunque, non sta solo nel bandire il femminile dagli atti pubblici, ma anche nel tipo di professione che viene messa sotto la lente di ingrandimento di una grammatica scorretta, tutta pregiudizi.

"Negli ultimi anni si sta sviluppando un'attenzione nuova al linguaggio, che in svariati casi (come questo) ha reso decisivo il ritiro di proposte istituzionali. In questo caso specifico, dopo le polemiche emerse, il senatore depositario si è preso totalmente paternità della proposta fatta, nonostante risulti molto strano il fatto che un partito di governo come la Lega non fosse a conoscenza di tale avvenimento.Sicuramente abbiamo molto su cui riflettere" conclude, facendo riferimento all'importanza che l'opinione pubblica può avere sulle decisioni dei partiti e dei modi in cui possiamo esercitare il nostro "potere" di cittadine e di donne, allenando il nostro dissenso.

Le reazioni delle donne alla proposta della Lega

La polemica dilagata sul web ha fornito molte reazioni e una serie di spunti interessanti, come ad esempio quello di Giovanna Conte, contributor per Donne x strada, no profit che si occupa di parità di genere ogni giorno. "Se le donne non possono figurare negli atti pubblici come ciò che sono, se non possono essere presenti nei ruoli apicali o di potere senza doversi chiamare al maschile, senza doversi declinare, distorcere, al punto di rinnegare come hanno scelto di socializzarsi e la loro identità, allora, quelle donne non esisteranno davvero. Quelle donne, tutte noi, non esisteranno se non a metà. Saranno donne di potere in un sistema violento, che anche ai vertici le vuole dimezzate o inesistenti, come protagoniste di un surreale racconto di Italo Calvino".