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Come gestire la competitività tossica all’università

Cause e approcci secondo la psicologa Sara Cutrale

Come gestire la competitività tossica all’università  Cause e approcci secondo la psicologa Sara Cutrale

"Ho trovato la peggior red flag in Università": inizia così il video di Giulia Saponieri, una ragazza che sui social ama realizzare contenuti inerenti al mondo universitario. Su TikTok, Giulia racconta di una confessione ricevuta da una sua follower: "Non pensavo potessero esistere questo tipo di persone. Qualcuna di voi mi ha segnalato che ci sono degli studenti che segnano su un foglio Excel il nome, il cognome ed il numero di matricola degli altri, per capire quanto hanno preso all'esame". Alle parole della Saponieri, molti utenti reagiscono con indignazione nella sezione commenti: "Raga, l’università è un percorso individuale, ognuno è sulla propria strada! Chissenefrega dei voti degli altri?". La competitività è un fattore che ci accompagna da sempre in tutti gli ambiti. Dalla scuola, allo sport che praticavamo da bambini il pomeriggio, fino alle diverse sfere personali e sociali che raggiungiamo in età adulta. Essa può anche diventare un'alleata che aiuta a migliorarci, spronandoci a diventare la versione migliore di noi stessi, ma assume una veste completamente diversa quando dalla sana competitività si passa ad una competitività tossica

@giuliaksaponieri 1g giulia.saponieri #uni #esame #redflag #università #studente #studiare #voto #sessione original sound - Giulia Saponieri

Perché ci interessa così tanto paragonare il nostro percorso accademico con quello degli altri?

La psicologa Sara Cutrale ci spiega che la competitività tossica è un tipo di comportamento (competitivo appunto) dannoso, come si può intuire, sia per chi lo adotta sia per chi ci si trova intorno. Ad oggi, la competizione non è più vista come un'opportunità per migliorarsi o crescere, ma come un costante confronto con gli altri in cui la vittoria diventa l'unico obiettivo. Se un tempo i nostri genitori e i nostri nonni erano capaci di usare la competitività come stimolo non dannoso ma positivo, al solo scopo di migliorarsi, oggi questa è alimentata da pressioni sociali e culturali, che spingono verso un'idea di successo esterno e superficiale. Questo perché oggi viviamo in un'epoca in cui l'apparenza e i risultati immediati sono enfatizzati, spesso a discapito del benessere personale. I social media, ad esempio, amplificano il bisogno di confronto e approvazione, esponendo continuamente le persone a paragoni con standard irrealistici o idealizzati. Questo fenomeno ha radici ben fondate nella psicologia, la Cutrale si ricollega infatti alla teoria dell'autodeterminazione di Ryan e Deci, che è stata utilizzata proprio per esplorare i motivi dietro la competitività. Secondo questa teoria, la competizione tossica può derivare da una mancata soddisfazione dei bisogni di autonomia, competenza e relazioni positive. Difatti, se questi bisogni fondamentali non vengono soddisfatti, le persone possono cercare di ottenere approvazione o potere attraverso la competizione e il confronto costante con gli altri. Un'altra teoria che può riprendere tale comportamento è quella del confronto sociale di Leon Festinger, secondo cui le persone hanno un bisogno innato di valutare le proprie capacità e il proprio successo confrontandosi con gli altri. Questo meccanismo ci permette di ottenere informazioni su noi stessi e sulla nostra posizione nel gruppo, non solo in termini di successi, ma anche di limiti e opportunità di crescita.

@aleecalci

Che ognuno pensi al proprio percorso

suono originale - aleecalci

Perché i giovani si sentono in competizione con i loro coetanei?

"Parto con il dire che, da un punto di vista psicologico, la competitività tossica può partire e, successivamente, essere alimentata da insicurezze personali, dal bisogno di validazione esterna o dalla paura di fallire. Questo porta la persona a comportarsi in maniera aggressiva, manipolativa o ostile, cercando di prevalere sugli altri a ogni costo" spiega Cutrale. "Quindi, la competizione diventa una questione di valore personale e il successo degli altri viene vissuto come una minaccia. Ecco perché i giovani oggi vivono costantemente la competizione con l'altro, anche a causa dell'esposizione di ogni conquista altrui tramite social, e mai invece dei fallimenti. Così il loro cervello si convince che gli altri non falliscono, gli altri hanno solo soddisfazioni, di conseguenza loro, che invece subiscono i fallimenti e ne vedono i segni sulla loro pelle, si credono peggiori rispetto agli altri e sentono la necessità di elevarsi e migliorarsi, non per sé stessi, ma per il confronto con l'esterno. Quindi, i giovani sono sempre pronti a dover raggiungere il livello di rendimento positivo pari o addirittura superiore a quello degli altri, soprattutto coetanei (che sia riguardo lo studio, il lavoro, ma anche lo stile di vita personale), per pura soddisfazione intrinseca o per esporre le conquiste sui social e provare soddisfazione pensando a ciò che gli altri possano pensare dei loro successi, oppure in altri casi per accontentare i genitori. Questi ultimi sono uno dei fattori preponderanti nell'aumento della competitività tossica nei giovani di oggi. I genitori delle ultime generazioni, infatti, sono i primi a paragonare i ragazzi tra loro, richiedendo ai propri figli di raggiungere il livello degli altri. I giovani crescono con l'idea che devono vivere la loro vita, in tutti o quasi tutti i suoi aspetti, essendo migliori degli altri. Mi sento quindi di dire che le cause maggiori di 'colpevolezza' nell’aumento di questo fenomeno ad oggi siano in primis i social, per i motivi sopracitati, e subito dopo gli adulti e i genitori che circondando molti di questi ragazzi. Attenzione, ovviamente non tutti gli adulti e non tutti i genitori".

@lambertoinglese Risposta a @serafinovarricchi0 All'università diventa più evidente la competizione perché si tende più facilmente a fare o tutto da solo isolandosi e questo porta ad essere anche accerchiato e attaccato da chi ha una mentalità chiusa e fa gruppo con altre persone con la stessa mentalità o si fa parte proprio di questi gruppi e si segue la massa per non stare da soli e prendere da soli scelte importanti oppure si finisce per fare parte di un gruppo di persone che ti aiuta a crescere (raro). Questi tre fenomeni fanno parte di un processo di selezione che avviene maggiormente All'università perché PER LA PRIMA VOLTA SIAMO SOLI NELLO STUDIO rispetto al liceo o alle medie dove avevamo là maestra che ci seguiva e che al tempo stesso ci faceva un feedback negativo anche per proteggerci. All'università tu sei solo perché ai prof poco frega di chi sei tu, a loro frega se hai studiato quindi il come tu voglia studiare spetta a te ed ecco che la competizione diventa la chiave per sopravvivere..... #medicina #lambmed #lambertoinglese #futurocardiochirurgo Lo-Fi analog beat - Gloveity

Come la psicologa spiega il comportamento degli studenti competitivi

Abbiamo poi chiesto all'esperta di commentare nello specifico il racconto di Giulia. "L'ossessione di monitorare le matricole dei propri colleghi universitari per confrontare i loro risultati con i propri può trasformarsi in un ciclo distruttivo. Questo comportamento non solo mina l'autostima, ma distorce anche la percezione delle proprie capacità, spostando l'attenzione dai progressi individuali a un costante paragone esterno. In questo modo, il valore personale e il successo vengono misurati esclusivamente in base a ciò che fanno gli altri, piuttosto che sui propri miglioramenti e obiettivi. A lungo andare, questa competitività tossica può portare a sentimenti di inadeguatezza, ansia e frustrazione, soprattutto quando ci si concentra solo sugli aspetti in cui gli altri sembrano eccellere. Inoltre, può danneggiare le relazioni interpersonali, poiché la continua rivalità alimenta tensioni, invidia e ostilità nei confronti dei colleghi, riducendo la collaborazione e creando un ambiente di lavoro o di studio negativo". Il confronto del proprio percorso accademico con quello degli altri può dunque nascondere diverse ragioni psicologiche e sociali, una di queste è il bisogno di validazione sociale. Confrontare il proprio percorso accademico con quello altrui ci aiuta a capire se stiamo andando nella direzione "giusta" secondo gli standard della società o del gruppo di riferimento. Ottenere conferma del proprio valore attraverso paragoni può dare un senso di sicurezza e autostima.

@bartoloanastasia Pov non è un pov, e si regna la competitività #neiperte #foryou #fypシ #università #sessioneestiva #esamiuniversitari #laureanda original sound - Fabio Gesualdo

Cosa possiamo fare per migliorare la situazione?

Sarebbe necessario agire su più livelli, promuovendo un ambiente che valorizzi la crescita individuale e la collaborazione. In primis, dice Cutrale, sarebbe fondamentale imparare il valore di lavorare su sé stessi. Perciò, bisognerebbe coltivare l'auto-consapevolezza, riconoscendo i propri comportamenti competitivi e i motivi che li scatenano; inoltre, può essere utile riflettere su come il confronto con gli altri influisce negativamente sulla propria autostima e percezione di sé. Bisognerebbe anche focalizzarci sui propri progressi, e non su quelli altrui. Dall'altro lato l'intervento e l'aiuto delle istituzioni potrebbe fare molto per creare un ambiente che riduca la competizione tossica e promuova la collaborazione e il benessere, partendo dalle istituzioni scolastiche e anche negli ambienti di lavoro, che potrebbero favorire una cultura basata sul supporto reciproco e sulla cooperazione, magari incentivando il lavoro di gruppo, dando anche premi per la collaborazione e mentoring tra pari, che sono tutte attività che possono spingere a vedere i colleghi come risorse e non come rivali. I servizi di supporto psicologico possono aiutare le persone a gestire meglio le dinamiche competitive. Migliorare la situazione richiede un lavoro su due fronti: da una parte un impegno individuale nel gestire le proprie emozioni e i propri comportamenti competitivi, dall'altra un cambiamento a livello istituzionale e culturale per creare ambienti che incoraggino la crescita personale, il benessere e la collaborazione, riducendo la competizione malsana. Questo approccio integrato potrebbe aiutare a costruire un contesto più sano e produttivo, sia per il singolo che per la collettività, andando così a evitare l'evolversi della competitività tossica.