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Se c’è una cosa che Giulia Valentina, che non ha bisogno di presentazioni, ha in comune con la redazione di nss G-Club, è la passione per i libri. Per questo, scegliamo per il nostro Faces con lei un contesto che profuma di carta, che accoglie nelle sue grandi aule illuminate da finestre antiche. Si tratta del Circolo Filologico Milanese, che ci apre le porte per un caffè e qualche ora in compagnia - tra uno scatto, un cambio d’abito e un libro, naturalmente - in un’atmosfera di sospesa rilassatezza nonostante tutto il lavoro da fare, anche perché Giulia è incinta di otto mesi. La prima cosa che emerge scambiando due chiacchiere con lei - a pranzo prima ancora che per la nostra intervista - è che si è di fronte una persona consapevole, che si fa delle domande. Lo conferma quando le chiedo di raccontarmi un po’ del suo lavoro e dei suoi inizi, con un focus sulle difficoltà incontrate nel percorso. “Ho iniziato mentre studiavo economia all’Università Cattolica” esordisce. “Mi ricordo che già mentre scrivevo la tesi ho dovuto mettere in pausa Instagram, perché stava un po’ crescendo e mi prendeva tanto tempo. Dopo la laurea l’ho riaperto e ho continuato a comunicare in modo organico e spontaneo. Piano piano sono cresciuta e ho capito che sarebbe stato il mio lavoro”. Un lavoro sicuramente “pieno di privilegi”, dice, e lo fa senza giri di parole, con la naturalezza di chi sta dicendo una cosa vera, come se fosse la rivelazione più facile del mondo, come se attorno al termine privilegio non ci fosse un dibattito infinito, estenuante.


Quali sono questi privilegi? “Non hai un capo, hai pieno controllo su quello che fai, sul rapporto che crei con il tuo pubblico, sulla tua comunicazione” risponde. “È empowering secondo me, per una ragazza. Io l’ho trovato empowering anche perché ho un pubblico femminile, quindi parlo quasi esclusivamente con le donne. Ci sono posizioni lavorative molto più complesse per una donna. Scherzi? In questo caso il potere ce lo hai tu, anche con i tuoi clienti. Non si parla mai del rapporto con i clienti, con le aziende. In questo rapporto sei tu che non devi rispondere a nessuno, solo alla tua creatività e al tuo pubblico. Mica male”. A proposito di creatività, è in questa direzione che Giulia vuole crescere, questo l’aspetto su cui vuole continuare a lavorare in futuro: “Vorrei sviluppare dei progetti creativi per le aziende, anche dietro le quinte. Slegati dalle collaborazioni”.

La prima cosa che emerge scambiando due chiacchiere con lei - a pranzo prima ancora che per la nostra intervista - è che si è di fronte una persona consapevole, che si fa delle domande. Lo conferma quando le chiedo di raccontarmi un po’ del suo lavoro e dei suoi inizi, con un focus sulle difficoltà incontrate nel percorso. “Ho iniziato mentre studiavo economia all’Università Cattolica” esordisce. “Mi ricordo che già mentre scrivevo la tesi ho dovuto mettere in pausa Instagram, perché stava un po’ crescendo e mi prendeva tanto tempo. Dopo la laurea l’ho riaperto e ho continuato a comunicare in modo organico e spontaneo. Piano piano sono cresciuta e ho capito che sarebbe stato il mio lavoro”. Un lavoro sicuramente “pieno di privilegi”, dice, e lo fa senza giri di parole, con la naturalezza di chi sta dicendo una cosa vera, come se fosse la rivelazione più facile del mondo, come se attorno al termine privilegio non ci fosse un dibattito infinito, estenuante.


Quali sono questi privilegi? “Non hai un capo, hai pieno controllo su quello che fai, sul rapporto che crei con il tuo pubblico, sulla tua comunicazione” risponde. “È empowering secondo me, per una ragazza. Io l’ho trovato empowering anche perché ho un pubblico femminile, quindi parlo quasi esclusivamente con le donne. Ci sono posizioni lavorative molto più complesse per una donna. Scherzi? In questo caso il potere ce lo hai tu, anche con i tuoi clienti. Non si parla mai del rapporto con i clienti, con le aziende. In questo rapporto sei tu che non devi rispondere a nessuno, solo alla tua creatività e al tuo pubblico. Mica male”. A proposito di creatività, è in questa direzione che Giulia vuole crescere, questo l’aspetto su cui vuole continuare a lavorare in futuro: “Vorrei sviluppare dei progetti creativi per le aziende, anche dietro le quinte. Slegati dalle collaborazioni”.

hero hero “Io faccio tanti errori, però è bello imparare, anche su Instagram. La mia community mi corregge sempre, mi perdona e mi dà la possibilità di andare avanti”
Sul suo rapporto con il pubblico la content creator torna sul tema della consapevolezza quando le chiediamo se, in effetti, sente un po’ la responsabilità nel parlare a un pubblico così vasto e che si fida di lei. “Quando parlo su Instagram io ho la consapevolezza di star parlando con un pubblico. Come quando parlo con mia mamma e con una persona che ho appena incontrato: lo faccio in modo diverso. Io mi adatto a lui, ci parlo tenendo a mente che è un pubblico. C’è tanta disinformazione, su quello sento molta responsabilità. Sto attenta a non dire cose che sembrano stupidaggini ma che invece potrebbero essere dannose. Anche quando si tratta di scegliere le parole. Quando si sbaglia una parola c’è dietro un concetto molto più ampio. Un esempio che mi viene in mente: quando qualcuno dice ‘mio marito mi aiuta con le faccende di casa’, l’uso della parola ‘aiuta’ implica che la responsabile delle faccende sia la donna e non l’uomo. Magari una persona non se ne rende conto, è abitudine, ma va a spingere un concetto che non fa avanzare il ruolo della donna. Io faccio tanti errori, però è bello imparare, anche su Instagram. La mia community mi corregge sempre, mi perdona e mi dà la possibilità di andare avanti”.

Parliamo di libri. Quando si tratta di fare dichiarazioni categoriche - noi le chiediamo qual è il libro che secondo lei dovrebbero leggere proprio tutti - come qualsiasi lettrice appassionata, romantica nel senso storico del termine, si rifiuta di dare una risposta categorica: “Impossibile dirlo, perché leggere è come fare un viaggio. Dipende. Ci sono persone che vanno in città e si perdono, si innamorano. Altre che hanno bisogno di stare in mezzo alla natura. I libri sono dei viaggi, non si può parlare di un libro per tutti. Sicuramente bisogna puntare alla qualità, questo sì. Io ad esempio sono attratta dai libri che parlano di malessere, di un nemico interiore, forse perché sono il mio peggior nemico, quindi mi ci ritrovo. Per altri magari sono i libri che parlano di spensieratezza. Beati loro”.
Tra i libri che apprezza non ci sono quelli che parlano di gravidanza. Non nel senso tradizionale del termine, almeno. “Io sono molto più attratta dai romanzi, dalle storie che fanno evadere. I libri che danno consigli pratici mi annoiano. Io voglio partire in viaggio, anche solo emotivamente” ci spiega. Il suo approccio ai libri che parlano del periodo che sta vivendo è diverso: “Ho letto La figlia unica di Guadalupe Nettel che è un libro drammatico. Forse non adatto. Ma i miei gusti non cambiano perché sono incinta. Un altro che parla molto di rapporti è Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo. L’ho trovato interessante. Mamme, nonne, figlie, insegnanti. Sono 12 protagoniste femminili, abbiamo le loro prospettive, provengono da posti diversi, da situazioni economiche diverse, hanno età diverse. È un momento importante per iniziare a pensare alla prospettiva di un’altra persona”.
Le mamme, sui social e fuori, sono bombardate di pareri, di critiche, di attacchi, di giudizi, di pressioni. Giulia Valentina nella vita non lo sente (e per questo si definisce molto fortunata), e sui social non ha intenzione di parlarne. “Non ho mai pensato che avrei introdotto questo tema nel mio lavoro di content creator. Non porterei mio figlio o mia figlia in ufficio, quindi perché dovrei portarlo su Instagram? Non mi pongo il problema, mi sembrerebbe strano parlarne. Per me i contenuti devono essere interessanti, di intrattenimento. Queste sono solo cose personali. Non mi interessa comunicarlo, non mi interessa ricevere un feedback”. Senza giudizio: “Ci sono ragazze che hanno tanto da dire sulla maternità, ci sono mamme che vogliono vedere le esperienze delle altre, le loro difficoltà, normalizzare alcune cose. Io però non sono la persona giusta. Non sono abituata a procedere in questo modo. Quando pubblico qualcosa mi chiedo perché lo sto pubblicando. Se è interessante, fa ridere, è curioso. Mi chiedo cosa sto dando al pubblico. Se è soltanto una cosa personale non la condivido. Deve esserci una motivazione”. E anche in questo caso riprende il concetto di privilegio, sottolineando come non vorrebbe far sentire da meno un’altra mamma solo per la sua esperienza personale, non vorrebbe creare confronti. E, onestamente, non possiamo che inchinarci a questo livello di self-reflection.

Sul finale, un consiglio per chi vuole intraprendere la strada della creazione di contenuti. “La community è importantissima ma a volte condiziona troppo, tende a mettersi davanti a quello che piace, alla propria creatività. La risposta è immediata. Magari provi qualcosa, non va tanto bene e la cambi. Invece bisogna dare una possibilità alla propria creatività, poi magari la community si abitua”.
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1st Look:
Dress DESIGUAL, jewels SERELÙZ, shoes LES PETITS JOUEURS. 

2nd Look:
Full look OSÉREE, jewels PIANEGONDA, shoes RENE CAOVILLA. 

3rd Look:
Full look MISSONI, jewels PIANEGONDA. 

4th Look:
Full look ZIMMERMANN, shoes GIUSEPPE ZANOTTI. 

5th Look:
Dress PUCCI, jewels PIANEGONDA. 

Credits:

Photographer Davide Frandi
Stylist Martina Ghia
Ph. Assistant Antea Ferrari
Interview Priscilla Lucifora