Troppo bella per essere vera. O anche: come funzionano i biopic al femminile
Dal caso di Charlize Theron al prossimo film con Sydney Sweeney, fino alle serie italiane
06 Novembre 2024
È storicamente dimostrato che se un attore porta agli Oscar un personaggio realmente esistito ha più possibilità di vincere la statuetta. È altrettanto vero che più la trasformazione è grande - e qui non centra la somiglianza, ma spesso l’utilizzo e l’uso del trucco prostetico - allora le chances aumentano drasticamente. È vero per gli uomini, ma lo è altrettanto e forse di più per le donne. Perché se spesso i personaggi, quando si tratta di riportarli in vita attraverso delle biografie, risultano più piacenti di come erano nella realtà (vorremmo anche vedere chi non si sentirebbe lusingata nel sapersi impersonata, ad esempio, da Margot Robbie), le loro interpreti rischiano di essere considerate “troppo belle” venendo accusate quasi di non essersi impegnate abbastanza. Meglio imbruttirsi, cambiare i connotati, fare in modo di sparire dentro al personaggio. Non per convincere di più, ma solamente per poterci dimenticare chi c’è dietro. E, con questo, la loro bellezza.
Imbruttirsi per un ruolo paga? Il caso di Charlize Theron
Ovviamente non è una regola e non è nemmeno uno stratagemma sistematico da dover seguire o di cui l’Academy usufruisce come metro di giudizio per premiare un’attrice. Riconoscimenti come l’Oscar a Julia Roberts per Erin Brockovich - Forte come la verità lo dimostrano. Ma più ci si perde in un ruolo più la possibilità di conquistare un posto nell’Olimpo delle stelle cinematografiche aumenta. Un esempio ampiamente discusso è il caso di Charlize Theron con Monster del 2003, film di Patty Jenkins in cui interpreta la serial killer statunitense Aileen Wuornos, dedita alla prostituzione e impegnata in una relazione con la giovane Shelby, interpretata da Christina Ricci. Per entrare nei panni della protagonista Theron si è sottoposta a una procedura speciale che le ha “bruciato” i capelli non facendoli più risultare sani e luminosi come appaiono solitamente quelli delle star, decolorando anche le sopracciglia e aggiungendo finti tatuaggi ad una pelle volutamente e visibilmente rovinata.
Theron conquistò i votanti dell’Academy con la sua performance, che ricorderanno tutti nel tempo come la completa trasformazione dell’attrice, calata in un corpo e con un viso insoliti rispetto alle sue passeggiate sul tappeto rosso. Caso più recente è invece la premiazione di Jessica Chastain per l’interpretazione della fervente cristiana e presentatrice tv ne Gli occhi di Tammy Faye, di cui stavolta sia trucco che parrucco sono stati insigniti dell’Oscar insieme alla loro “opera d’arte”. Diversissima dal glamour che il suo fascino da Hollywood classica sa solitamente suscitare, l’attrice gonfia guance, mascelle e zigomi per restituire l’immagine che dal tubo catodico ha raggiunto una distesa platea di fedeli e telespettatori. Battendo inoltre le colleghe Penelope Cruz per Madres Paralelas, Olivia Colman per La figlia oscura e altre due donne realmente esistite, ma non così “mascherate”, ovvero la Lady D di Kristen Stewart in Spencer e la Lucille Ball di Nicole Kidman per A proposito dei Ricardo.
Il caso di Marion Cotillard e Renée Zellweger
A ritenersi brutta e cambiando gradualmente aspetto nel corso della propria carriera è stata la cantautrice francese Édith Piaf, le cui sopracciglia disegnate e il volto visibilmente incipriato hanno portato Marion Cotillard a stringere la statuetta, rientrando nel parterre dei non così tanti interpreti non statunitensi che ne hanno portata a casa una. Anche qui, una distanza evidente tra il magnetismo dell’attrice di Inception e l’usignolo di Le Vie en rose. Per la scelta, però, di altre due colleghe musiciste, le produzioni e i casting hanno lavorato non solo sull’idea di decostruire un’attrice per poi ricostruirci sopra l’impalcatura del personaggio, bensì volendo agire di affinità e similitudini così da creare un eco tra finzione e realtà.
È ciò che viene subito alla mente quando si pensa a Renée Zellweger e alla sua Judy Garland: due donne, due professioniste che sono state afflitte dal successo e che in cambio del loro impegno, dallo show business, hanno spesso ricevuto porte in faccia. La protagonista de Il mago di Oz non riuscendo più a riprendersi proprio dopo aver percorso la strada di mattoni gialli che l’ha consacrata (pur con una carriera che continuò a crescere con altri film intramontabili, da Incontriamoci a Saint Louis e Il pirata di Vincente Minnelli al remake di È nata una stella di George Cukor), mentre Zellweger cadendo negli eccessi della chirurgia estetica e non riuscendo più ad allontanarsi dall’immagine che la gente aveva della sua Bridget Jones. È proprio con Judy che l’attrice vince sedici anni dopo il suo secondo Oscar ricevuto per Ritorno a Cold Mountain nel 2004. E, comunque, a seguito del film biografico del 2019, è comunque tornata a girare il quarto capitolo della saga della sua eroina romantica che ritenevamo già chiusa.
Angelina Jolie e Maria Callas: la vita vera incontra la finzione
L’unione di due individualità che diventano una sola, evidente in Judy, avviene anche con Angelina Jolie e la sua soprano Callas in Maria, opera passata in anteprima a Venezia81 e che porta al cinema diretta da Pablo Larraín per raccontarne gli ultimi giorni di vita. Proprio come col biopic su Judy Garland, questa volta, il film non trova la chiave della performance nella completa somiglianza tra attrice e protagonista. Sono bensì le due identità messe in gioco, di Jolie e Callas, a farsi giocoforza. L’attrice offre la propria magrezza - messa sempre sulla piazza da quotidiani e tabloid, da siti di gossip e chiacchiere da bar - usufruendo delle continue disquisizioni sul suo fisico proprio come ne è stata protagonista a suo tempo l’icona lirica. In questi casi il biopic è un ponte di comunicazione che non nasconde il trascorso della performer, ma diventa un faro per accenderne il messaggio. Una maniera più riflessiva e ragionata su un casting che può amplificare il portato del racconto, non solo sfruttando l’aspetto, ma il bagaglio dell’attore (lo hanno fatto anche altri generi, da Birdman e il passato da “supereroe” di Michael Keaton al recente body horror The Substance con le associazioni tra la vita e la carriera della protagonista e della sua interprete Demi Moore).
E in Italia? Miriam Leone è Oriana Fallaci, ma non è lo stesso
Le produzioni nostrane recenti, invece, hanno dimostrato che a volte non c’è intenzione di muoversi né in uno, né nell’altro verso. Basti pensare alle scelte di Miriam Leone per Miss Fallaci, dove ha dovuto anche studiare forzatamente un accento fiorentino che non le appartiene per vestire i panni della giornalista e scrittrice per la serie di Paramount Plus. O a La legge di Lidia Poët dove non c’è nessuna attinenza tra la prima avvocata italiana e la sua attrice Matilda De Angelis. In questi casi la decisione di ingaggiarle è una sola: sono tra i volti trainanti dello spettacolo italiano e ci si augura che contribuiscano al successo di un prodotto (con la serie Netflix che è effettivamente riuscita ad aggiudicandosi una seconda stagione dopo il rilascio nel 2023). Giusto Qui non è Hollywood ha tentato di lavorare di trucco e prostetico, con risultati buoni seppur non eccelsi. E quando invece si ha come protagonista un nuovo divo quale Pietro Castellitto per interpretare Riccardo Schicchi, non importa nemmeno se le sue co-star nel ruolo di Cicciolina, Moana Pozzi e Éva Henger in Diva Futura assomiglino alle pornodive o meno.
L'ultimo esempio? Sydney Sweeney
A ogni modo, dal desiderio del proprio nome forgiato sulla traghetta della statuetta dorata non si scampa e per la recitazione, dicono molti attori, si farebbe di tutto. Quindi via di metamorfosi anche per un’altra sex symbol contemporanea che - quasi specularmente a ciò che hanno fatto Zac Efron e Jeremy Allen White con The Iron Claw - sta lavorando su braccia e addominali per diventare la boxer Christy Martin. Si tratta di Sydney Sweeney, è irriconoscibile con capello mosso scuro e muscoli in bella mostra, e le cui foto dal set del film diretto da David Michôd sono diventate virali dopo averle postate sul suo profilo Instagram da ventidue milioni e mezzo di follower. Di certo un cambio di rotta da Euphoria o Tutti tranne te. Sola voglia di togliersi di dosso l’immagine da attrice sexy o primo autentico tentativo per la giovane di puntare all’Oscar?