Un insieme di oggetti su Instagram ci dice chi siamo davvero
Estetiche online, i meme e la nostra identità nella cultura digitale
20 Novembre 2024
Spesso, nella sezione Esplora di Instagram oppure ricondivise dai vostri amici più stretti, vi sarà capitato di rimanere turbati nel vedervi riflessi in post fatti di oggetti piazzati su uno sfondo bianco. Solitamente gli account che postano queste immagini hanno come riferimento delle coordinate geografiche (Londra, Amsterdam, Berlino), che sono anche l'unico elemento che le differenzia le une dalle altre. Per il resto, sono tutte omologate: condividono gli stessi prodotti, come ad esempio la tote bag di Mubi, le Birkenstock, delle sneakers costose, shot di zenzero, spicy margaritas e giacche trapuntate. Insomma, i prodotti di cui usufruiscono un determinato microcosmo di persone che diventano prolungamenti di sé, tratti identitari come il colore degli occhi o l’altezza. Sappiamo che la popolarità nei meme risiede nella loro facile replicabilità: tuttavia, questo tipo specifico di meme potrebbe essere riprodotto in microscopiche varianti, ogni volta diverse ma al tempo stesso simili, all'infinito.
Una somma di piccole cose (di ottimo gusto)
L’illusione di far parte di un’élite avviene attraverso una somma di piccole cose, come sostiene la sociologa americana Elizabeth Currid-Halkett nel saggio The Sum of Small Things, uscito in Italia nel 2018. Currid-Halkett teorizza come l'elite aspirazionale sia una classe sociale che si distingue non più per beni di lusso tradizionali, come gioielli o auto lussuose, ma per scelte di consumo simboliche che riflettono un’identità culturale e sociale. Tale scelta di consumo non corrisponde a una necessità concreta, bensì il consumo stesso di un determinato prodotto (ad esempio naturale, di design, ecologico, salutista) diventa simbolo di uno status (ad esempio: "Con le mie scelte sono eco-sostenibile e ho anche gusto!").
Meme, cultura digitale e identità
Per aiutarci nell'analisi della comunicazione visiva di questi meme, ho chiesto aiuto a Giulia Giorgi, ricercatrice e professoressa a contratto presso l’Università Statale di Milano, nel dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. Giulia ha conseguito nel 2022 un dottorato in Sociologia Digitale (Università degli Studi di Milano e l'Università di Torino). La sua tesi di dottorato analizza ed esplora il contributo dei meme nella costruzione e nell'espressione delle identità generazionali. Chi meglio di lei?
Cultura partecipativa + cultura ambivalente: significato
Giulia mi ha spiegato che per comprendere davvero cosa siano i meme oggi, dobbiamo vederli come la somma di due aspetti: la cultura partecipativa di Internet e la cultura ambivalente tipica del web 2.0. I meme possono essere visti come uno scherzo collettivo a cui tutti danno il proprio contributo. Lentamente, si costruisce una sorta di lore condivisa (ossia quell’insieme di riferimenti e storie che solo chi possiede un determinato patrimonio culturale può cogliere). Il meme diventa un modo per riconoscersi in un gruppo che parla la stessa lingua, che capisce e apprezza certi riferimenti culturali. È una nicchia? Sì, ma vista come qualcosa di cool e mainstream allo stesso tempo. E tale riconoscimento identitario in questa lore ha un valore liberatorio, quasi esorcizzante.
Nei meme su Instagram vince l'ironia, ma c'è un ma
Giulia sottolinea che i meme, per quanto identitari, sono spesso creati per colpire e ironizzare. Il loro pubblico è fatto delle stesse persone che, guardandosi riflesse nei meme, si prendono in giro ironicamente e prendono le distanze da ciò che vedono. È un po’ quello che accade con la Gen Z, che ha fatto della sfiducia verso il mondo un marchio di fabbrica, rivendicandolo con orgoglio (a riguardo, Giulia consiglia questo paper della studiosa L. Chateau, Damn i didn’t know y’all was sad? I thought it was just memes: irony, memes and risk in internet depression culture). Quindi, quando ci si riconosce in un meme, è come se scattasse un ambiguo meccanismo doppio: da una parte si riconferma un’identità, dall’altra ci si distacca con ironia. È proprio questa enigmatica combinazione — appartenenza e distacco — che rende i meme potenti strumenti identitari, perché uniscono ironia e senso di appartenenza a una precisa cultura.
Infine, Giulia osserva come, per molti di questi account, tutto si traduca alla fine in merch: vendono oggetti, capi o stampe legati a quella precisa identità memetica. Tale contraddizione non dovrebbe stupire, spesso le sottoculture finiscono così: una volta esaurito il loro potenziale rivoluzionario e/o controculturale, vengono assimilate e mercificate, perdendo parte della loro spinta originaria. Così, un’identità estetica e culturale diventa merce, pronta per essere acquistata e indossata come qualsiasi altro segno di appartenenza.