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"A Milano si può vivere anche con Tre euro e quaranta"

Intervista a Antonino Giannotta, influencer e regista classe 1995

A Milano si può vivere anche con Tre euro e quaranta Intervista a Antonino Giannotta, influencer e regista classe 1995

“Un giorno ho aperto la PostPay e c’era proprio scritto: tre euro e quaranta. Per la disperazione mi veniva da ridere”. Non c’è ipocrisia nel film d’esordio di Antonino Giannotta, come ci tiene a precisare. La precarietà, il senso di smarrimento, il portafoglio vuoto sono eventi di vita giovanile vissuta, da lui e non solo, e per questo carburante con cui portare in scena un lungometraggio, intitolato Tre euro e quaranta, appunto, che sta girando l’Italia, presentato nelle sale cittadine dal suo ideatore e arrivando anche a manifestazioni prestigiose e autorevoli come il Festival del cinema di Porretta Terme. “Non era comunque la prima volta che mi capitava. Il massimo l’ho toccato con 0,72 centesimi. Mi sono domandato quanti fossero i ragazzi che vivessero la mia stessa condizione e, soprattutto, se provassimo tutti il medesimo senso di vergogna. Ma se abbiamo fatto tutto ciò che ci hanno insegnato e non riusciamo comunque a vivere in maniera dignitosa, di chi è la colpa?”.

La denuncia di una generazione nel film di Giannotta

Un piccolo film di denuncia, che non tralascia nemmeno per un istante l’animo vitale e intraprendente di Giannotta, detto Nino sui social, e che proprio dalle piattaforme di condivisione ha fatto partire il suo progetto. Classe ’95 e di origini calabresi, il neo regista e sceneggiatore - affiancato nella scrittura da Lapo Mamoli Aprile - ha cominciato studiando d’attore e innamorandosi nel tempo del ruolo del regista, scegliendo di aprire la propria passione ad un pubblico sempre più vasto e diventando uno degli influencer italiani più seguiti sul cinema. “È proprio grazie ai social che ho visto nascere sempre più opinioni che non venivano solamente da giornalisti o intellettuali. Ed è lì che ho colto una disillusione giovanile che si sta trasformando nell’intenzione di non vivere se non con consapevolezza e serenità ciò che ci meritiamo”, prosegue Antonino Giannotta. “Siamo giovani che non hanno potere d’acquisto, che non si potranno mai permettere una casa o una macchina. In questi casi mi viene sempre in mente Gaber quando, riferendosi alla sua generazione, dice che hanno perso perché non se ne sono accorti. Mi è capitato lo stesso durante il tour di Tre euro e quaranta: ci sono stati adulti che hanno fatto un mea culpa, mentre una madre ha ammesso che ai loro tempi si facevano molte meno domande”. 

Tre euro e quaranta, un progetto a basso budget

A rispecchiare l’anima di Tre euro e quaranta non poteva che essere la sua stessa realizzazione, un budget pari allo zero (ragionando in termini di produzione cinematografica) e una chiamata a raccolta per permettere all’opera di venir finanziata. “Volevamo dimostrare al pubblico che non servono milioni su milioni per raccontare una storia”, spiega il regista. “Questo ci ha portati anche a una riflessione sul linguaggio dei vari mezzi usati, dalle foto, al cinema, fino ai dipinti. Mancavano solo le statue, ma il marmo costa troppo, magari lo usiamo per il sequel”. Dopo aver lanciato la proposta di un progetto e aver coinvolto followers e non solo a partecipare, Nino ha raggiunto poco più di 1000 euro con cui ha potuto sfamare la sua troupe, mentre accoglieva una crew di poco più di 10 persone a dormire nella sua casa da 60 metri quadrati.

Tra i 340 euro della zia, i 200 del padre e i 500 del divulgatore cinematografico Stefano Ressico, con la troupe e il cast Antonino Giannotta è riuscito a portare a termine un’opera della durata di circa un’ora su un giovane che corre, corre, corre tutto il giorno per fare colloqui e i cui pensieri trovano forma concreta nei quadri che vediamo fluttuare su sfondo nero, creati da Niccolò Moretti. “La fase produttiva ha rispecchiato la sceneggiatura. Era tutto giustificato. Era la regola numero uno: o giustifico ogni elemento che abbia così un valore per il film oppure non lo faccio. Per ogni inquadratura c’era una scelta precisa, un modo coerente con cui volevo raccontare visivamente la storia e un gruppo di persone che, tutte con un altro lavoro, hanno comunque trovato il tempo e la voglia di fare piccoli sacrifici” ci ha raccontato.

La città di Milano oggi

Il progetto è anche, sorprendentemente, una vera e propria ode a Milano, che a Nino ha rubato il cuore. “Milano ha tanta offerta e se la studi bene non è affatto male. Nel film, attraverso una lunga passeggiata, ho provato a inquadrarla da un’altra prospettiva, riprendendo luoghi iconici svuotati dalle persone. Volevo darle respiro, incontrando tre artisti che hanno fatto il bello e il cattivo tempo a Milano: Alda Merini, Giorgio Gaber e Enzo Jannacci. Dentro questa camminata si consumano discorsi sull’arte, che è il modo attraverso cui l’essere umano si esprime, e fa scoprire un lato meno conosciuto della città”. Anche nelle ispirazioni c’è qualcosa di settentrionale. E se guardando Tre euro e quaranta sembra che Nino si ispiri al cinema anglofono underground, in realtà i riferimenti sono ben più radicati nel tessuto del nostro cinema italiano. Da Massimo Troisi al trio Aldo, Giovanni e Giacomo, il giovane autore ha provato a “ricreare una commedia dolce amara stile fine anni Ottanta/inizio Novanta in cui alla fine tutto si risolve, ma nulla si risolve davvero”. Tre euro e quaranta mette insieme opere d’arte, discorsi sui segni zodiacali (“Io sono Vergine e, infatti, mica mi trattengo nel dire ciò che penso. Per questo la mia vita è un circo, ma va bene così!”) e la verità di un ragazzo che il lavoro sa cos’è perché non se ne è mai tirato indietro.

Una risposta all’immobilità di un mercato, lavorativo e cinematografico, che segue i vari esempi attuali che hanno visto diverse opere indipendenti italiane riempire le sale in giro per la penisola, e che racchiude un po’ il fine ultimo di Tre euro e quaranta: “Mia madre, col sogno del posto fisso, mandava in giro il mio curriculum per trovarmi lavoro alle poste o nel servizio civile. Invece mi sono ritrovato in un progetto che mi ha fatto innamorare della figura del regista e di come l’eternità dell’immagine possa piegarsi alle tue idee. Da lì, durante i mille lavori svolti durante lo studio, ho continuato a studiare e i social sono arrivati quando, stanco di distribuzioni terribili di film meravigliosi, ho voluto circondarmi di persone con il mio stesso amore per l’arte e il cinema. Ora era venuto il momento di dare voce ad un ingranaggio inceppato”. E a quanto pare, per farlo, bastano solo tre euro e quaranta.