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Quanto influisce il botox nella performance di una star del cinema?

Dai film alle serie, non è un problema recente

Quanto influisce il botox nella performance di una star del cinema?  Dai film alle serie, non è un problema recente

Nel 2008 esce un film in cui una vecchia stella del cinema impersona una vecchia star del wrestling creando un collegamento vividissimo tra il dentro e il fuori lo schermo. L’opera è The Westler di Darren Aronofsky e il suo protagonista è Mickey Rourke. Una sovrapposizione sorprendente tra le vite professionali dell’interprete e del suo personaggio, di cui scrisse personalmente una canzone Bruce Springsteen riprendendo il titolo della pellicola e dedicandola all’attore di cui era amico. E pensare che, all’inizio, non era stato nemmeno la prima scelta. Per il ruolo si era pensato a Nicolas Cage, che fu scritturato e abbandonò poi il progetto, ma l’opera trovò decisamente linfa vitale proprio con l’ingaggio di Rourke, la cui rilevanza cinematografica era andata nel tempo a calare, sia per la dissoluta piega intrapresa dalla sua esistenza, sia per l’evidente trasformazione subita dal proprio aspetto. È il 1995 quando l’interprete si presenta ad un evento pubblico per la prima volta col volto rifatto. Era evidente l’intervento di chirurgia plastica a cui si era sottoposto e che da quel momento in poi avrebbe definito e accompagnato tutte le uscite, professionali e non, dell’attore di 9 settimane e mezzo. Un cambiamento fisico che influì sulla carriera dell’interprete e che viene inserito come cardine nell’opera di Aronofsky, vincitrice del Leone d’oro alla Mostra di Venezia e per cui Mickey Rourke venne candidato anche agli Oscar e vinse il Golden Globe nel 2009.

Ma cosa accade quando si vede The Wrestler? E perché quel viso, che dalla metà degli anni Novanta al 2008 ne subì varie di trasformazioni, non ci fa lo stesso effetto di quando guardiamo Mickey Rourke in The Palace di Roman Polanski? Il fatto è che nel lavoro di Darren Aronofsky la presenza stessa dell’attore, compreso il suo aspetto così contraffatto e lontano da com’era al naturale, è aderente alla storia che il regista riprende e vuole raccontare. È l’ultima chance che un vecchio lottatore si concede per appendere definitivamente i calzoncini al chiodo e, magari, per riuscire anche a riconquistare sua figlia. Rourke ha una maschera che si abbina perfettamente alla narrazione, solo che a fine set non può andare a riporla in camerino. È il suo viso, gonfio e rovinato, che infatti funziona in quel determinato modo, sotto quella determinata direzione e per veicolare quello specifico messaggio. Un po’ come fosse l’ultimo scontro anche per Rourke, che effettivamente dopo The Wrestler ha continuato a lavorare, ma non per ruoli di serie A - ritorno nel mondo di Sin City e villain per il MCU in Iron Man 2 a parte.

Guardare com’è Mickey Rourke in The Wrestler fa parte del racconto, un po’ come accade a Nicole Kidman in Babygirl e alle spiegazioni che il film dà, seppur velatamente, sul Botox. CEO di un’importante azienda, moglie e madre devota, per la protagonista Romy essere sempre presentabile e assecondare gli standard di bellezza imposti è una regola non detta, eppure chiara, a chiunque stia osservando il film e che la regista e sceneggiatrice Halina Reijn riesce a trasmettere, senza farlo esprimere mai davvero a parole. Le punturine che si fa, inoltre, fanno parte di una routine ormai sdoganata quando si tratta degli aggiustamenti da voler apportare dal punto di vista estetico, come fosse una prassi a cui si è abituati e di cui si parla apertamente, molto più che qualche tempo fa - cosa sfuggita a Patty Pravo che, solo nel 2022, afferma nell’intervista di Belve di non essersi mai rifatta. Ma, a differenza del film di Aronofsky e l’aspetto del suo protagonista, con Babygirl il pubblico è stato meno accondiscendente verso Kidman, proprio perché ciò che viene esplicitato in The Wrestler è come se fosse nascosto nell’opera di Reijn. L’elefante nella stanza che nessuno nomina - a onor del vero, Babygirl lo fa - ma di cui tutti spettegolano appena escono dalla sala: i volti (semi) irriconoscibili delle star che dovrebbero passare per “normali”.

Una questione che il cinema sembra aver risollevato recentemente, come si è domandato il sito Dazed nell’articolo Is Botox ruining cinema?, ma che in realtà ha radici ben più profonde rispetto alla recente storia dell’audiovisivo e che tormenta il pubblico almeno dall’inizio degli anni Duemila. È infatti del 2009 un pezzo del HuffPost che si interroga su cosa ci fosse di diverso in Non è un paese per vecchi rispetto ai tanti film che uscivano nello stesso periodo, e che trovava la propria risposta nelle rughe d’espressione dei suoi protagonisti Javier Bardem, Tommy Lee-Jones e Josh Brolin. Come se l’opera fosse un’anomalia nel sistema dei volti cinematografici e televisivi, restituendo una verità che in giro è andata perdendosi. Ed è esattamente di questo che si tratta: autenticità. Attorno alla questione del cinema e della serialità in relazione ai ritocchi del Botox e della chirurgia estetica c’è un discorso serio da fare e su cui le persone all’interno dell’industria hanno sempre espresso i propri pareri. Ma è un cane che si morde la coda.

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Sebbene più di vent’anni fa registi come Martin Scorsese e Baz Luhrmann si lamentavano degli interpreti che cadevano in qualche piccolo intervento (ipocrita da parte dell’ideatore di Elvis?) e il The Guardian faceva presente agli interpreti di non abusare dei ritocchi con il pezzo Actors warned to keep off the Botox (era il 2003!), l’industria dello spettacolo non ha contribuito ad assicurare ruoli per tutti, in particolare alle donne che superano i quarant’anni. Facciamo anche i trenta. Un loop in cui Hollywood sembra incastrata, in cui si chiederebbe agli interpreti di stare alla larga da qualsiasi rimaneggiamento dei propri connotati, ma non andando ad ampliare la possibilità di ruoli e di personaggi indicati soprattutto per donne che hanno superato la soglia consentita dal cinema e dalla serialità. La stessa che, ad un certo punto, ti propone solo ruoli da madre - per non dire da nonna.

Alcune e alcuni, però, ce la fanno ancora a liberarsi dalle catene delle convenzioni, nonostante gli evidenti cambiamenti dei loro volti. Ovviamente trovando delle soluzioni con cui scendere a patti, come Jennifer Coolidge che ne ha fatto una firma nella propria carriera, dove dalla comedy 2 Broke Girls, ma soprattutto nello show The White Lotus ha reso il proprio aspetto parte essenziale dei suoi personaggi e del modo di impersonarli. E c’è chi, invece, non può proprio farci nulla, dovendo anzi sottostare ai commenti spesso sgradevoli che li o le attendono. È stato effettivamente così per Kristin Davis quando ha ripreso il ruolo di Charlotte York nella serie sequel And Just Like That. Amica della Carrie Bradshaw interpretata da Sarah Jessica Parker - che dice di aver detto no al Botox e di essersi anzi un po’ pentita di essersi fatta sfuggire un lifting a quarantaquattro anni - la Charlotte di Davis si è dovuta confrontare con una valanga di commenti e offese a cui ha sentito di dover rispondere riprendendo anche il discorso sull’ageismo ad Hollywood. «È una sfida il dover ricordare di non avere quell'aspetto per sempre», ha raccontato al The Telegraph in riferimento ai tempi di Sex and the City. «Ho fatto dei filler ed è andata bene, ne ho fatti altri ed è andata male. Ho dovuto farli dissolvere per cercare di limitare i danni e sono stata ridicolizzata senza sosta. È molto stressante. I commenti sono stati forti, ero sotto shock». 

C’è da dire che lo è stato anche per gli spettatori trovarsi di fronte ad un volto che aveva evidenti difficoltà a trasmettere qualsiasi emozione. Ma la gogna mediatica subita da Davis ci mostra che tanto non se ne scappa: se invecchi non va bene perché si vede troppo, se ti aggiusti per sembrare sempre giovane non va bene perché…si vede troppo. Un mondo in cui non puoi permetterti nemmeno di farti male - e intendiamo purtroppo molto, molto male - senza che la gente non cominci a fare battute o a criticarti. Lo sa bene Zac Efron, o meglio, se ne è reso conto solo dopo che la madre lo ha chiamato viste le speculazioni che su internet continuavano a girare sulla strana forma assunta dalla sua mascella - commenti di cui lui, ha dichiarato, non sapeva nulla prima che gli venissero riportati dal genitore. Ad oggi più o meno tutti sappiamo che si è trattata di una botta causata da una caduta contro il bordo di granito di una fontana, ma c’è voluto pochissimo per aizzare le persone contro la presunta chirurgia estetica a cui si sarebbe sottoposto l’attore. Un gonfiore che, stando a quanto ha riportato, è aumentato anche a seguito di una fisioterapia facciale intensa.

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La questione è che il Botox, spesso, è diventato un ostacolo per alcuni durante la visione di film e serie tv. Un impedimento che non permette di godersi a pieno ciò che si sta osservando. E non c’entra tanto quanto una persona sia rifatta bene o meno, ma è rimanere fissi lì, a quel pensiero, a quella ruga che non si muove e alla luce spalmata in faccia per annullare ombre e connotati. È come con il quarto capitolo Bridget Jones - Un amore di ragazzo. Per quanto la rom-com sia un semplice e adorabile regalo che Renée Zellweger ci fa tornando nel ruolo dell’eroina sentimentale, tra un’app di appuntamenti e i bambini da portare a scuola, a volte durante la pellicola ci si estranea rimanendo ipnotizzati dagli zigomi troppo alti della protagonista e ci si domanda dove siano finiti quei suoi occhi diventati come due spilli. Ci sono altri casi in cui, invece, per aiutarsi lo spettatore potrebbe far finta che simili aggiustamenti siano necessari per il personaggio, che facciano proprio parte della sua caratterizzazione. Pensiamo a Catherine Zeta-Jones nel ruolo di Morticia nella serie Mercoledì targata Netflix. Difficile pensare che il suo volto sia tutto naturale, ma essendo nel mondo di Tim Burton poco importa.

Forse nell’universo cinematografico e seriale attuale la chirurgia plastica non è più la stessa di dieci, vent’anni fa. Adesso i filler e qualche aggiustamento meno invasivo posso assecondare i bisogni estetici richiesti da Hollywood non “rovinando” le star come accaduto a Meg Ryan o alla collega Melanie Griffith. E se si pensa che sia solo una debolezza femminile è bene ricordare che si vocifera che anche attori come Al Pacino, Tom Cruise e persino Clint Eastwood - a quanto pare quest’ultimo intento ogni tanto, anni or sono, a spianare quelle sue rughe che conosciamo bene - non ne siano sfuggiti. Per non parlare di un Robert Redford che in The Old Man & the Gun se la cava anche, ma di cui è difficile dimenticare il lifting del Truth - Il prezzo della verità del 2015. Tra i recenti, anche qui di cui è difficile capire se sia per immergersi anima e corpo nel lavoro o si è semplicemente ceduto a qualche piccola tentazione, c’è inoltre Ryan Gosling, le cui speculazioni su filler e botulino vanno avanti da Barbie e sono proseguite anche per la sua performance (oltre che le apparizioni pubbliche) in The Fall Guy. Che poi, in fondo, all’attore non dovrebbe importare troppo cosa potrebbe pensare la gente di qualche ritocchino, visto che sono anni che tanto lo rimproverano di avere una sola espressone.