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Adolescence parla più di noi che della società

La serie-fenomeno del momento si confronta con incel e bullismo

Adolescence parla più di noi che della società  La serie-fenomeno del momento si confronta con incel e bullismo

Adolescence, serie-fenomeno della stagione 2025 di Netflix, non è un trattato su cosa significhi essere uomini e/o donne oggi. Non è nemmeno un’analisi sui rapporti, su come vengono vissuti nei giorni nostri, su cosa provano realmente i giovani e come questo si rifletta nelle dinamiche che instaurano dentro e fuori i banchi di scuola. Adolescence è lo spaccato di una famiglia, di un ragazzino di tredici anni che viene arrestato con l’accusa di aver ucciso una sua compagna di scuola, di cui si ispezionano ovviamente i motivi e le cause attraverso indagini e colloqui, ma che non cerca mai la risposta a livello generazionale. Accennando, ma non approfondendo, rendendo l’esperienza di racconto e visione ancora più umana. "Non è colpa nostra", dice il padre di Jamie, il ragazzino arrestato, interpretato da Stephen Graham, che è anche creatore della serie insieme a Jack Thorne - diretta poi da Philip Barantini. "Ma siamo noi che lo abbiamo messo al mondo", gli risponde la moglie Manda, impersonata dall’attrice Christine Tremarco. Il tutto mentre lo spettatore si domanda cosa è successo e perché ciò è avvenuto, ritornando con la mente a casi freschi e frequenti soprattutto nella cronaca italiana - l’uccisione di Giulia Cecchettin nel parcheggio di Vigonovo la sera dell’11 novembre 2023 in primis.

Adolescence è uno spioncino sui giovani di oggi, tra comunità incel e Instagram

Lo show, che mette in gioco termini come incel e usa Instagram come veicolo principale di comunicazione tra ragazzi nel 2025, è sicuramente uno spioncino su cui è bene riflettere e fare attenzione quando si portano avanti discorsi sul machismo, il femminismo e la parità di genere. Al centro, però, rimangono i sentimenti, anzi meglio le modalità del sentire, cosa hanno provato e come determinate emozioni vengono e sono state elaborate dai protagonisti dell’omicidio, vittima e carnefice. Cosa ha spinto un ragazzo di tredici anni ad impugnare un coltello e a porre fine alla vita di una sua coetanea, e come ogni azione sia una reazione ad un agente esterno o a una condizione che è spesso (se non sempre) alimentata dalla società. Sbagliata, parziale, distratta. Una ferita che condiziona la rotta dell’esistenza di ognuno e che può condurre anche a atti incredibilmente violenti. Mentre Adolescence prova a far ragionare lo spettatore sulla deriva malata e indomabile di una violenza di genere che sta toccando livelli fuori scala - l’accenno a Andrew Tate è solo la punta dell’iceberg - ciò che finisce realmente per veicolare è l’attenzione attraverso una lente di ingrandimento sulle interiorità e su ciò che hanno vissuto e stanno vivendo i personaggi. Non c’è l’intenzione di tirare fuori tutto e i tanti non detti della serie probabilmente continueranno a tormentare lo spettatore. Ma è proprio della superficie che parla Adolescence ed è alla superficie che riconduce. A ciò che vediamo, all’apparenza che inganna, a non voler credere che ci sia qualcosa in profondità che possa fare tanto male. Il bullismo di cui nessuno parla, il revenge porn che è diventata la prassi anche tra ragazzini delle medie, il fatto di pensare che il proprio figlio, al sicuro nella sua cameretta, non posterebbe mai contenuti sessisti e non riceverebbe mai commenti offensivi. È il tipico bravo ragazzo. Il nostro tipico bravo ragazzo.

La superficialità della società è il punto centrale di Adolescence, ispirato a una storia vera

Adolescence è la leggerezza con cui lasciamo in mano alle giovani generazioni i social e non riusciamo poi a instituire ore di educazione sessuale e sentimentale. È il voler credere che vada tutto bene solo perché non lo vediamo il marcio, ma c’è. È il problema del singolo che si riversa nella comunità in cui esistiamo. Ma è anche una serie che non ha mai l’arroganza di insegnare qualcosa, dicendo soltanto: guarda bene, guarda meglio, presta più attenzione, parla. Non girarti dall’altra parte e, soprattutto, non dare tutto per scontato. Forse è questo ciò che fa più male, per cui tanto pubblico rimane scioccato e scosso dalla visione: perché non è una dissertazione, ma è un evento che potrebbe accadere a chiunque di noi. Anche e soprattutto quando meno potremmo aspettarcelo.