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What's in my bag? Un kit per la guerra

La banalizzazione del discorso politico incontra i format delle ragazze sui social network

What's in my bag? Un kit per la guerra La banalizzazione del discorso politico incontra i format delle ragazze sui social network

Negli ultimi anni, la politica è diventata sempre più social, sempre più simile al cosiddetto content. Gli influencer entrano in politica, le campagne avvengono su TikTok, come quella di Kamala Harris, che ha ingaggiato creator statunitensi per parlare (bene, naturalmente) di lei e del suo partito in un tentativo di conquistare la Gen Z e i votanti giovani. Oltreoceano, Donald Trump ed Elon Musk sono un perfetto esempio di questo movimento. Considerati meme lord dai loro sostenitori, lanciano tormentoni e utilizzano questo potere per fare proselitismo. Appena qualche anno fa, in Italia, Matteo Salvini pubblicava tutto quello che mangiava, un po' informandoci sulla sua dieta in una sorta di What I eat in a day, un po' proclamando l'importanza del consumare prodotti italiani. Ad oggi, non è un segreto che i meme siano politici, che facciano politica e che nascano dalla politica, a volte in maniera organica a volte in maniera un po' più pilotata, cioè pagata. Ma se adesso entrassero nell'arena anche i format social considerati girly

Il kit di sopravvivenza per la guerra di Hadjia Lahbib

A portare alle sue estreme conseguenze questo incontro scontro tra politica e format social ci ha pensato Hadja Lahbib, Commissario europeo per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi con un video su X in cui ci illustra il suo kit di sopravvivenza per la guerra. Con un montaggio veloce e televisivo annuncia un What's in my bag - Survival edition e poi inizia il suo elenco: occhiali (se vuoi vedere quello che sta succedendo, o anche no, chiosa divertita posandoli sul tavolino), acqua, cibo in scatola, medicine, torcia, coltellino svizzero, contanti, fiammiferi, accendino, fotocopie dei documenti di identità in una cartellina resistente all'acqua, carte da gioco, batterie. 

È inevitabile che un discorso sulla guerra, se portato sui social in questa maniera, risulti completamente svuotato e banalizzato. L'effetto di giustapposizione tra l'idea di "doversi preparare alla guerra" come fosse una cosa poco controllabile che succede all'improvviso nel cuore della notte, alla pari di un terremoto, cozza violentemente con l'immagine del Commissario nel suo completo azzurro e sneakers, con una tracollina color tortora in grembo, che sorridente ci spiega come motto dell'Europa dovrebbe essere "Ready for anything" . L'effetto è shockante, così come gli utenti hanno giudicato shockante il contenuto stesso.

Un problema di tono?

Perché se va bene avvertire le persone di un pericolo - a questo punto - più vicino di quanto pensassimo, qui il problema è il tono, la ricerca dell'ironia e della relatability a tutti i costi che, invece di rendere il contenuto più vicino e comprensibile - come probabilmente avranno pensato alla Commissione Europea di Ursula von der Leyen - ci fa sentire presi in giro. Perché tutto deve passare attraverso i format dei social? Qual è il prossimo passo, un Get Ready With Me - War edition? La politica è content creation? Cos'è questa ironia forzata che sembra aver preso il posto di una sacrosanta istituzionalità, quella che dovrebbe contraddistinguere una classe politica sempre meno autorevole e sempre più allo sbaraglio? Se c'è un problema di fiducia nel rapporto con le istituzioni, una mancanza di punti di riferimento che ci fa rifugiare tra le braccia degli attivisti dei social, questa contentificazione non può fare altro che peggiorarlo. Forse, siamo pronti ad entrare in un'era post-content, un'era in cui la comunicazione (quella politica, soprattutto) deve trovare altre strade, altri modi, altri canali, che invece che affiancare i rappresentati agli influencer li diversifichi, che chiarisca ogni confusione, che stabilisca dei limiti e dei confini. O almeno, così possiamo sperare.