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Pamela Anderson è il cuore di The Last Showgirl

Un film sul lavoro dei propri sogni, anche quando sei destinato a svegliarti

Pamela Anderson è il cuore di The Last Showgirl  Un film sul lavoro dei propri sogni, anche quando sei destinato a svegliarti

C’è un motto che dice che se nella vita trovi un lavoro che ti piace allora non lavorerai nemmeno un giorno. Lo ha preso alla lettera Shelley, la protagonista di The Last Showgirl interpretata da Pamela Anderson, in prima fila nel corpo di ballo delle rockettes il cui spettacolo a Las Vegas sta per essere sostituito da una compagnia circense. Un ruolo che ha ricoperto per decenni e che presto la lascerà senza più niente da fare, senza nemmeno una pensione, senza nessuna sicurezza sul proprio futuro. Una donna rimasta sola dopo aver lasciato quando era bambina sua figlia, la Hannah di Billie Lourd, venuta sempre dopo rispetto al suo sogno che ha raggiunto in giovanissima età e che ora, assai più grande, sta perdendo. 

The Last Showgirl, tutto sul film il 3 aprile al cinema

La forza di The Last Showgirl è che Gia Coppola, regista e sceneggiatrice già conosciuta per Palo alto e Mainstream, non ha il minimo proposito di abbattere o distruggere i miraggi diventati quotidianità della protagonista. Non ci sarà mai un momento in cui Shelley smetterà di credere che le rockettes siano state le più grandi artiste mai esistite al mondo. Non è il contrasto tra il vecchio e il nuovo che il film mette in mostra, né vuole disquisire sulla reticenza e sullo sminuire da parte delle colleghe più giovani (le bravissime Brenda Song e Kiernan Shipka), che vorrebbero svegliare la donna dall’utopia che si è costruita ed ha abitato per anni. C’è un amore spassionato che la protagonista prova per il proprio mestiere e c’è un amore spassionato che Coppola (nipote del Francis di Megalopolis) dona e trasmette alla sua Shelley, tanto immenso che oltrepassa lo schermo e raggiunge gli spettatori. I quali guardano la donna addolorarsi e appassirsi piano piano col sopraggiungere della fine del suo insostituibile show, ma mai arrendersi o piegarsi. E non c’entrano nulla i tempi che passano, non è un discorso generazionale.

Gia Coppola ci regala un film dolcissimo e malinconico

La meraviglia e il dolore di The Last Showgirl sono nell’osservare la protagonista rimasta per tutta la sua esistenza incastrata nel proprio universo e incapace di uscirne. È una Norman Desmond di Viale del tramonto senza però la tragedia della pazzia e del melò di Billy Wilder, ancora avvolta dalle luci e costantemente pronta per il suo primo piano. È la Pearl di un horror come quello della trilogia di Ti West che, però, ce l’ha fatta e quindi non ha assolutamente intenzione, nemmeno per un secondo, di rinunciare al suo riflettore. È anche un film sull’adorare fino in fondo ciò che si fa, senza soluzione, assuefatti e felici. È di una dolcezza lancinante la visione di The Last Showgirl, con una protagonista a cui non vorresti succedesse nulla di male, ma che sai benissimo che dovrà presto confrontarsi con ciò che ha evitato per la maggior parte della sua esistenza: la realtà. Che non potrà ricoprire il domani di perline e stoffe colorate, di piume e ali spropositate, con un futuro che sta arrivando e la coglierà del tutto impreparata. 

In una Las Vegas da fotografie sgranate, da ricordi flebili e luminosi come un tempo che non c’è più, Coppola insegue e incornicia una Pamela Anderson vibrante di tenerezza, la cui voce e l’aria angelica aiutano a descrivere l’animo ingenuo, generoso, incosciente della protagonista. Portando nella stessa inquadratura uno sguardo sognante, ansioso, bramante, preoccupato. Un sorriso tirato, che ha dentro la gioia di un passato che non c’è più, ma Shelley ancora non lo sa, non lo vuole sapere. È vivendo il sogno insieme a lei che si entra dentro The Last Showgirl. Che si ammira una Anderson che si sta sempre più staccando dall’immagine da sex symbol che l’ha resa famosa e che, dal musical a Broadway di Chicago al terzo film di Gia Coppola, sembra avere un avvenire più roseo di quello che spetta alla sua protagonista. Un’umanità di cui Shelley è troppo piena e le persone attorno troppo aride. È l’anelito di una vita che luccica, ma non si può vivere sempre sotto i fari della ribalta.