
Michela Giraud è una comica trasformista
Dalla stand-up al cinema, dai momenti in cui si è sentita persa a quando ha ritrovato se stessa: l'intervista
15 Aprile 2025
It's a Man's World. E Michela Giraud lo sa bene. Classe ’87, fedelissima di Roma Nord, l’attrice e comica si è fatta strada fin dagli inizi nei meandri dello stand-up e della commedia saltando fuori un po’ come un pesce fuor d’acqua. Negli anni dell’exploit di una comicità che in Italia veniva percepita come nuova, che si allontanava dal classico varietà o cabaret a cui si era abituati e virava più sullo stile statunitense degli show dal vivo, Giraud è stata una dei pochi nomi femminili che sono riusciti a farsi spazio nel panorama italiano, non con poca fatica, contribuendo ad aprire uno spiraglio per un mestiere dalla forte impronta maschile, intraprendendo un percorso che l’avrebbe portata a cambiare pelle più volte. Un cammino che va da partecipante a Lol - Chi ride è fuori a autrice per la televisione e attrice per il cinema, finanche regista e sceneggiatrice (insieme a Francesco Marioni, Greta Scicchitano e Marco Vicari) per il suo esordio Flaminia, da cui ha tratto ispirazione dalla sua storia personale e il rapporto con la sorella disabile. Ne abbiamo parlato in occasione di Cortinemetraggio 2025, di cui è stata giurata per quanto riguarda la commedia. “Vedo Flaminia un po’ come mio figlio”, ammette Giraud. “Ci ho messo dentro tutto ciò che spesso non riusciamo a confidare a noi stessi, figurarsi alle altre persone. È stata un’operazione complicata perché non pensavo sarei riuscita a portarla a termine. E, ad oggi, non so dire se ne è uscito qualcosa di bello o di brutto, ma so che è stata una sorpresa, per me in primis”.
Flaminia: un duplice bisogno di raccontare e trasformarsi
Un bisogno doppio con Flaminia: raccontare un tema che fa parte della vita quotidiana dell’artista e insieme la voglia spasmodica di Michela Giraud di non restare mai immobile, mai uguale a se stessa. “Voglio schivare tutti gli stereotipi - afferma - E questo significa non rimanere intrappolata nelle cose. Tutto ciò che ho fatto in questo momento mi ha donato tanto: da Colorado a Educazione cinica fino al mio film. Ma non voglio essere solo lei di Colorado, lei di Educazione cinica, lei di Flaminia. Ogni volta che mi approccio a un nuovo progetto sento che deve smentire il precedente. È una fuga, è il mio voler vivere su binari non inquadrabili o prevedibili, sia come persona che come artista. E se qualcuno pensa che sto uscendo dal mio seminato non starò certo lì a contestarlo. Non sono io a dover dimostrare nulla, è il momento di liberarsi da certi pregiudizi”.
Comicità intelligente e critica sociale secondo Michela Giraud
Anche perché già il mestiere della comica chiama di per sé non poche critiche, che è bene scrollarsi di dosso subito se si vuole andare avanti, mantenendo centrata la propria bussola: “Sono felice di quello che ho. C’è stato un momento nella mia carriera dove volevano parlassi male dei maschi. Che diventassi una sorta di ricettacolo dell’odio verso il genere maschile. Ma io non odio gli uomini, odio tutti, che è diverso. Viviamo tempi emotivi aridi, siamo impantanati nel peggio del peggio, e credo che chi voglia far passare per cinismo le sue argute battute in realtà riversi soltanto dell’inutile e controproducente cattiveria”. Un pizzico di spietatezza che fa parte della natura stessa del comico, se la si sa usare bene: “Solo che prima chi la utilizzava era in grado di saperci costruire una comicità intelligente sopra, oggi non c’è manco quell’impegno. Siamo di fronte a un vuoto di generosità. Che è paradossale se si pensa che si dovrebbe fare questo lavoro per il pubblico, che è l’unica cosa a cui penso quando mi metto a scrivere”.
Solidarietà invece di rivalità: sostenere le donne nella commedia
Come generoso dovrebbe essere il sostegno in un ambiente così storicamente maschile e che vorrebbe ancora le donne una contro l’altra: “A volte le persone si inventano cose su di te che, grazie al cielo, oggi non mi fanno più arrabbiare, semmai ci faccio una risata sopra. Ma alimentano anche una rivalità immotivata quando si tratta di dover dividere la scena con altre donne. Non si sa il numero di volte in cui una nuova collega ha cominciato questo mestiere e qualcuno è venuto da me chiedendomi se me la stessi facendo sotto perché avrebbe potuto rubarmi il posto. Ma rubare cosa? Quale posto? Dovrebbe essercene per tutte e sono contenta che sempre più ragazze abbiano cominciato a farsi spazio nella comicità. Pensare che ci vogliano le une contro le altre o che godiamo a vederci fallire è svilente”.
Riscoprire se stessa: dalla crisi al ritorno
Una negatività a cui Michela Giraud ha deciso di dire basta, preservando un lavoro che ama e un bisogno di ritrovare un equilibrio che sentiva di aver perso: “C’è stato un momento in cui non volevo saperne più nulla, avevo bisogno di staccare la spina, mi sentivo disorientata. La popolarità è arrivata tutta insieme e in maniera molto grande, e per quanto possa fare piacere devi sapere come gestirla per non lasciare che ti schiacci. Sono entrata in una sorta di crisi in cui non mi ritrovavo più. C’è stato bisogno di un percorso personale prima che potessi ritrovare la mia dimensione che, poi, è quella del palcoscenico. Perché amo, amo far ridere la gente. Mi piace prendermi in giro, prenderla in giro, mi piace una satira che non è mai violenta, ma comunque libera. Parafrasando altri, potrei dire che alla fine di ventiquattr’ore che una persona vive ventitré sono mediocri e l’unica che conta è quando sono sul palco”.
Progetti futuri: tra cinema e dramedy
Cambiare, cambiare continuamente, senza aver paura di buttarsi. Anzi, scovare in quel continuo trasformarsi non solo l’entusiasmo di fare cose nuove, ma di riscoprire l’amore per ciò che pensavamo di aver perso, come l’affezione di Giraud per la stand-up, di cui si era disinnamorata e che invece è tornata nella sua vita con più forza di prima. Non resta perciò che vedere quale altra strada prenderà l’attrice e comica romana, che non esclude un ritorno al cinema: “Cosa girerei? Una dramedy, è ciò a cui mi sento più affine. Adesso, però, non provo la necessità di tornare subito dietro la camera da presa. Anzi, se potessi scegliere, mi piacerebbe farmi dirigere”.