
Da Tumblr a Pinterest a Instagram: l'evoluzione del moodboard
Per vivere una vita aesthetic
16 Aprile 2025
Prima di Pinterest, c’erano le pareti delle camere da letto degli adolescenti. Foto ritagliate con cura dalle riviste, Polaroid troppo scure, biglietti di concerti - quando erano ancora di carta - o cartoline comprate in vacanza ma mai spedite. Oggi i moodboard digitali hanno sostituito le puntine da disegno con i pin di Pinterest. Decorare casa, organizzare una cena: ogni occasione è buona per crearne uno Questa evoluzione non è avvenuta dall’oggi al domani. Negli anni 2000, piattaforme come Tumblr e We Heart It hanno reso popolare il concetto di moodboard digitale molto prima dell’era dei pin. Lanciato nel 2007, Tumblr è diventato rapidamente un rifugio digitale per artistə, adolescenti in cerca di identità e creativə di ogni tipo. Era il periodo in cui si condividevano ossessioni visive, stati d’animo e riferimenti culturali, amplificati da un’interfaccia altamente personalizzabile in cui sfondo, tipografia e i celebri "reblog" permettevano di creare un universo unico. Con le sue numerose funzioni, Tumblr è stato uno dei primi spazi di espressione personale su Internet. Nel 2014, il rapper G-Eazy ha persino immortalato questa estetica in Tumblr Girls.
Da Tumblr a Pinterest passando per Instagram
Meno famoso ma comunque influente, We Heart It - che ha raggiunto i 30 milioni di utenti, in gran parte ragazze - offriva un sistema di "collezioni tematiche" che permetteva di archiviare ispirazioni come in un taccuino visivo virtuale. Più minimalista di Tumblr, la piattaforma si basava esclusivamente sulla curation visiva, senza grandi componenti testuali o social. Eppure, anticipava quello che sarebbe diventato uno standard: l’era del moodboard digitale. Nel 2010 è arrivato Pinterest, portando questa logica di curation ancora oltre. Adottando l’idea delle "collezioni", qui ribattezzate "bacheche", la piattaforma ha perfezionato l’interfaccia di ricerca e organizzazione delle immagini. Nello stesso anno nasceva Instagram, con la sua famosa griglia profilo e i filtri stile Polaroid. A differenza di Pinterest e Tumblr, Instagram incoraggiava a produrre immagini proprie con la fotocamera integrata. Niente più reblog: si fotografava tutto. Segnava la nascita della vita quotidiana stilizzata e romanticizzata e dei selfie curati nei minimi dettagli. Una vera svolta è arrivata alla fine degli anni 2010, quando i brand hanno iniziato a intuire il potenziale di Instagram. Erano gli albori dell’era degli influencer, che viviamo ancora oggi. Oggi i profili contattati dai brand sono di ogni tipo: dai micro-influencer (sotto i 50k follower), ai trendsetter seguiti da milioni. La piattaforma è popolata da personalità desiderose di distinguersi, ma mai troppo.
Instagram for iPhone in 2014#MobileAppHistory pic.twitter.com/SEIc2NsBRF
— Web Design Museum (@WebDesignMuseum) May 7, 2024
Instagram e le case di moda
L’arma segreta per collaborare con i grandi brand? Un feed curato nei minimi dettagli, una vetrina apparentemente spontanea ma frutto di una strategia precisa. Per avere successo su Instagram oggi - che tu sia un brand o che stia raccontando te stessə - bisogna orchestrare la propria immagine, soprattutto in un’epoca in cui l’ispirazione è la valuta dominante. Maison come Jacquemus o Miu Miu lo hanno capito benissimo: i loro account Instagram sembrano veri e propri moodboard. Tra dietro le quinte, archivi personali, dettagli di oggetti, close-up di materiali o gesti quotidiani, questi brand costruiscono un’estetica accessibile e allo stesso tempo distintiva. Il loro tratto comune? Amano confondere i confini tra campagne ufficiali e ispirazioni quotidiane. Anche Heaven by Marc Jacobs, Diesel e Paloma Wool alternano contenuti originali ad archivi, immagini retrò o frame di film. Questa estetica fatta di curation consente loro di esistere oltre al prodotto: non compriamo più solo un capo, ma adottiamo un universo, un modo di essere, una cultura visiva.
I moodboard, adesso, sono tutti uguali
Quando tuttə iniziano a ispirarsi a vicenda, i moodboard finiscono per assomigliarsi tutti. Stesse palette colori, stessa grana vintage, stesse silhouette. Se piattaforme come Tumblr, We Heart It o i primi tempi di Instagram erano un’esplosione di espressione personale, oggi si tende a una omologazione visiva. Il moodboard è diventato uno standard estetico, quasi un filtro in sé. Una standardizzazione che fa sorgere molte domande: se tuttə condividiamo le stesse immagini, cosa resta dell’individualità? Con algoritmi che privilegiano contenuti simili e utenti che si adeguano a ciò che funziona, il rischio è che si perda la varietà di prospettive. Eppure è proprio nei dettagli inattesi, nelle associazioni personali e negli stacchi visivi che si trova non solo l’anima di un buon moodboard, ma la nostra unicità. Forse, dopo aver pinnato tutto online, finiremo per tirare fuori di nuovo le puntine e ridipingere le pareti delle nostre... camere da letto da adulti.