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Cos'è un au pair? Storia dello scandalo su TikTok

Una ragazza di 21 anni fuggita dalla sua famiglia ospite ha aperto il dibattito

Cos'è un au pair? Storia dello scandalo su TikTok Una ragazza di 21 anni fuggita dalla sua famiglia ospite ha aperto il dibattito

Se pensavi che fare l’au pair fosse una fiaba moderna tipo The Princess Diaries versione babysitter, ripensaci. Una famiglia straniera ricca non finirà per adottarti e trasformarti in “principessa”. Forse sarebbe stato più appropriato stabilire le aspettative su altri titoli, tipo Uptown Girls o The Nanny Diaries. Ma anche qui avresti peccato di ingenuità. La vita vera non è una rom-com dei primi anni 2000. Se hai mai sognato di volare dall’altra parte del mondo, vivere gratis in una villa e guadagnare pure qualcosa badando a due bimbi adorabili... beh, svegliati, amica. L’ultima a scoprire l’amara verità è stata Ella Katherine, aka @ellarkatherine. La ventunenne di Richmond, Virginia, forse si immaginava di vivere “la dolce vita”, ma, invece, è durata giusto quattro giorni in una casa milanese prima di scappare in segreto nel mezzo della notte.

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Cosa vuol dire essere un au pair

Essere un au pair significa vivere temporaneamente all’estero presso una famiglia ospitante, aiutandola principalmente nella cura dei bambini e nelle piccole faccende domestiche. In cambio, l’au pair riceve vitto, alloggio e, talvolta, un piccolo compenso. Non si tratta di un lavoro vero e proprio, ma di un accordo informale regolato da linee guida internazionali e, in alcuni Paesi, da normative specifiche. L’obiettivo principale dovrebbe essere una sorta di scambio culturale che permetta ai giovani (solitamente una o un au pair ha un’età compresa tra i 18 e i 30 anni) di migliorare le proprie competenze linguistiche, conoscere nuove culture e acquisire esperienze di vita internazionale

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Au pair: sogno o incubo ben confezionato?

Fare l’au pair sembra la mossa perfetta se hai voglia di fuggire dalla tua vita, vivere all’estero e collezionare foto da cartolina per il feed. Una casa chic, bambini tenerissimi, colazioni instagrammabili, lunghi video in cui esplori la città e incontri gente gentilissima e cool. Idilliaco, no? Sì, sulla carta. Peccato che, spesso, dietro quella promessa glitterata si nasconda un lavoro a tempo pieno sottopagato... o peggio. Ogni esperienza è un terno al lotto: dipende tutto dalla famiglia che ti capita. C’è chi finisce a Parigi a sorseggiare cappuccini mentre i bambini dormono (beata lei) e chi invece si ritrova schiavizzata a fare lavatrici e pulire pavimenti per 12 ore al giorno. Il fatto che nella maggior parte degli stati non esista un vero contratto lavorativo, infatti, rende lo status di au pair più una zona grigia legale, dove tutto si basa sulla fiducia, sulla capacità di adattamento... o, come insegna la recente vicenda raccontata su TikTok Ella Katherine, sulla tua abilità di fare le valigie in fretta.

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Ella Katherine: quattro giorni da incubo a Milano

Era partita dalla Virginia per vivere il suo sogno italiano. È finita a prenotare un volo di ritorno in lacrime. Ella ha raccontato l’intera disavventura diventando virale nel giro di poche ore. Doveva essere un’esperienza da au pair di qualche mese a Milano durante la quale aiutare una famiglia italiana con il figlio. Katherine ha detto di aver contattato la madre ospitante tramite il sito web Au Pair World. Le due hanno chattato su FaceTime e, sebbene non ci fosse un contratto formale, hanno concordato un soggiorno di 85 giorni e le sue mansioni, che includevano svegliare il bambino ospitante, cambiarlo, preparargli il latte caldo, accompagnarlo a scuola, andarlo a prendere alle 6, scaldare la cena e poi riordinare. Con il venerdì pomeriggio e i fine settimana liberi. Appena arrivata, la ragazza americana si è trovata catapultata in una situazione ben diversa dalle promesse o, almeno, così ha raccontato, mentre snocciolava presunte red flag succhiando un beverone ipercalorico, ormai al sicuro e lontana dall’Italia. Il suo racconto? Dettagliatissimo e condito da lacrime, risate isteriche e tantissimi “girl, don’t do it!”. Tra i problemi principali, riportava il fatto che il padre non parlasse inglese e quindi la barriera linguistica che rendeva complicato comunicare; l’uso dei mezzi pubblici; le sue mansioni, come il bagnetto al bambino; lavorare molte più ore di quelle concordate, senza veri momenti di pausa e praticamente zero libertà personale (come in una gita a Portofino); o il venire rimproverata per non fare abbastanza e il sentirsi “unsafe” per la situazione generale e il misterioso lavoro del padre host. Così, dopo il quarto giorno, Ella Katherine ha deciso di andarsene. Ha fatto le valigie e si è filmata mentre fuggiva dalla casa, raccontando tutto passo per passo ai suoi follower.

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Morale della favola

I TikTok hanno incendiato la piattaforma. I commenti si sono divisi tra chi la sostiene urlando “FREE ELLA” e “scappa regina”, incoraggiandola a denunciare pubblicamente la sua esperienza e svelare più dettagli, compresa l’identità della famiglia milanese (su TikTok si è aperta una sorta di caccia a chi la identifica) e chi, invece, la accusa di non essersi informata abbastanza prima di partire, di essere una privilegiata lamentosa e immatura, sottolineando che non avrebbe dovuto fuggire senza prima parlare chiaramente con i suoi host. In mezzo, come sempre, c’è la verità: fare l’au pair può essere un’esperienza incredibile o un incubo travestito da occasione d’oro. E, spoiler: spesso non lo capisci finché non hai già fatto la valigia, preso un aereo e messo piede in una città sconosciuta. Ella, probabilmente, si è trovata schiacciata tra le aspettative da sogno e una realtà che non aveva nulla di romantico. E TikTok, si sa, non perdona: un secondo sei l’eroina della fuga perfetta, quello dopo la figlia viziata che non ha retto la prima difficoltà. Morale? Prima di partire, meglio farsi un piano B solido e ricordarsi che anche le esperienze “più belle del mondo” vanno maneggiate con cura. Instagram non sempre mostra le babysitter (e tutte le altre persone, me inclusa) chiuse in camera a piangere. Né il lato duro, l’angoscia, la solitudine di trovarsi soli in un posto in cui non conosci nessuno. Forse Ella non era abbastanza matura da capire che la quotidianità non è una story romanticizzata. E se non si trovava a suo agio, meglio che sia tornata a casa. Ogni esperienza è diversa. La vostra assomiglia a quella della ventunenne americana?