Come si combatte il revenge porn
Le cause profonde e gli strumenti per difendersi da un fenomeno che va ben oltre Telegram, spiegati da un'esperta
20 Aprile 2020
E' passata poco più di una settimana da quando la scoperta di una nuova - terrificante - chat di Telegram riaccendeva il dibattito sul revenge porn.
Passati l'indignazione, il disgusto e la rabbia, occorre indagare a mente fredda le ragioni profonde che hanno favorito la nascita di questo fenomeno, che non si limita solo alle famigerate chat, di cui è l'espressione peggiore, ma che ha risvolti ben più ampi sulla nostra società in generale, caratterizzata ancora da un forte stampo patriarcale. Quelle che servono sono delle soluzioni, degli strumenti concreti per affrontare il fenomeno, un piano a lungo termine per cambiare in modo radicale la società in cui viviamo.
Di revenge porn, di Internet e di strumenti per difendersi nss G-Club ne ha parlato (virtualmente) con Silvia Semenzin, attivista di Virgin and Martyr e ricercatrice in sociologia digitale all'Università di Milano, che lo scorso anno si è occupata proprio della questione del revenge porn su Telegram.
#1 Il dibattito che si è riacceso sul tema del revenge porn e dello stupro digitale ha semplicemente riportato in prima pagina una questione che non si è mai risolta davvero, ma che ogni volta che ritorna sembra suscitare grande clamore e indignazione. Sembra quasi che non ci ricordiamo - o che vogliamo dimenticare - i precedenti…
Più che altro, sembra che ancora non siamo riusciti a concettualizzare collettivamente lo stupro digitale come una forma di violenza massiva contro le donne. Il problema di parlare di ‘revenge porn’ è che fino ad oggi le persone avevano l’impressione che si trattasse di un problema ‘privato’ tra due persone, che fosse la sola vendetta di un ex ai danni di una ragazza, che magari in fondo qualche colpa ce l’aveva. Quello che questi gruppi su Telegram ci dimostrano invece è come la condivisione non consensuale di materiale intimo faccia parte di una violenza strutturale e sistematica contro le donne, frutto di una cultura ancora fortemente patriarcale e fondata sul dominio dell’uomo sul corpo delle donne.
#2 In quanto donne si tratta di una questione che ci tocca molto da vicino, che giustamente ci fa arrabbiare e ci mortifica. Ma insieme a noi, non dovrebbero essere anche gli uomini a interrogarsi sul fenomeno e a capire perché sono spinti a questo comportamento?
La violenza contro le donne è un problema di tutt*, senza distinzioni. In questi giorni ho finalmente iniziato a sentire voci maschili discutere dell’argomento, e questo è un bene perché rompe quella ‘bolla’ che esiste tra chi parla di questi argomenti e in qualche modo arriva a persone che fino a prima non capivano perché dovessero interessarsene. Quando si fa un discorso sui ruoli di genere e sulle caratteristiche associate all'“essere maschio” o “essere femmina” bisogna necessariamente fare un discorso il più possibile inclusivo. Dobbiamo parlare di maschilità. Perché anche gli uomini hanno bisogno di capire che i ruoli di genere non fanno male solo alle donne, ma fanno male anche a loro.
#3 Quali sono gli strumenti concreti che abbiamo noi donne per difenderci da questo fenomeno?
Se diventiamo vittime di condivisione non consensuale di materiale intimo nostro, oggi possiamo denunciare. Con l’articolo 612-ter CP, infatti, questa pratica è diventata reato anche in Italia. Se ci succede, possiamo quindi sporgere querela alla polizia postale allegando gli screenshot delle conversazioni. Consiglio comunque di evitare di iscriversi a questi gruppi per curiosare o cercare proprie foto, perché si può finire a essere tra gli indagati. Nel caso in cui si trattasse di foto nostre non intime (es. prese dai social network), ci si può appellare alle leggi sulla privacy e il diritto d’immagine. Il fatto che la foto sia ‘pubblica’ su un social network non da diritto a nessuno di prendere quella foto e usarla per umiliare.
#4 Quando si discute di revenge porn viene fuori molto spesso la questione dei nudi, delle foto hot - ma non necessariamente - che le ragazze postano o inviano. In questo senso sembra esserci una spaccatura netta anche tra le stesse donne, che in molti casi criminalizzano le altre donne che inviano questo tipo di foto, come a dire, te la sei andata a cercare.
Il victim shaming è un classico quando parliamo di condivisione non consensuale di materiale intimo. L’abitudine a fare un discorso del tipo ‘copriti, censurati, tutelati o altrimenti te la sei andata a cercare’ è esso stesso prodotto della cultura patriarcale. Moltissime donne sono vittime di questa stessa cultura, ma perché la sensibilità per la parità di genere non è associata al sesso biologico. Possono esserci uomini femministi e donne maschiliste. Tutti siamo stati socializzati all’idea che il corpo femminile sia qualcosa da nascondere, e che la libertà sessuale femminile debba essere criminalizzata. In questo modo, alimentiamo una cultura che accetta la violenza di genere come fenomeno inevitabile della società. Dobbiamo invece di sforzarci di ribaltare il discorso e direzionarlo più verso l’idea che ognun* dovrebbe sentirsi liber* di esprimersi, auto-rappresentarsi e raccontarsi come meglio crede. Una donna deve avere riconosciuto il diritto di provare piacere, di mostrare il proprio corpo, di aver voglia di fare sesso. Non siamo solo vittime e soggetti passivi. Dobbiamo esigere che la nostra vita intima smetta di essere oggetto di giudizio esterno sulla nostra integrità morale, intelligenza e validità.
#5 In quelle famose chat di Telegram in cui tanti sono quelli che inviano foto, sono altrettanti quelli che in quelle chat rimangono, passivamente. Cos’è che ferma queste persone, nella maggior parte dei casi uomini, ad uscire da quei gruppi, dal denunciare quello che sta succedendo?
Molte persone sono lì dentro solo per curiosare. Il tabù che ruota ancora intorno alla sessualità femminile attira gli sguardi esterni dei curiosi, e il fatto che il materiale intimo non sia stato condiviso con il consenso dei soggetti ritratti accresce la voglia di assistere a qualcosa di proibito. Secondo me il punto è che ancora non siamo stati capaci di vedere tutto questo come una forma di violenza, perché pensiamo che solo guardando non facciamo poi così male. Invece è proprio il meccanismo a catena che si instaura che porta le donne a vergognarsi così tanto da arrivare addirittura al suicidio. Molti di questi ragazzi pensano di scherzare e di giocare, perché in fondo non farebbero male a una mosca nella vita reale. Hannah Arendt la chiamava ‘La banalità del male’. Questi gesti vengono compiuti da uomini che non necessariamente sono violenti o stupratori, ma sono anche persone normalissime, vittime di una forte cultura dello stupro. L’esistenza di queste chat è stata finora molto normalizzata: si pensava fosse “una cosa che fanno i maschi, i bombers”. Dobbiamo per questo ridiscutere proprio il concetto di ‘sentirsi uomo’, perché se per sentirti uomo e stringere amicizie hai bisogno di usare il corpo femminile come merce di scambio allora c’è un problema.
#6 Ritieni che Internet, e in questo caso specifico delle chat anonime e protette, abbiano amplificato dei comportamenti che già esistevano o che ne abbia creati di nuovi? Insieme alla cultura dominante, quanto Internet (e la libertà che ci ha fornito), ha influenzato e continua a influenzare la nostra sessualità, in particolare quella maschile?
Internet non crea nulla: al massimo fornisce uno spazio alla violenza per diffondersi, espandersi e, sotto un certo punto di vista, diventare più visibile. Nella ricerca che ho svolto insieme a Lucia Bainotti abbiamo investigato proprio sul modo in cui l’architettura di una piattaforma come Telegram si interseca alla cultura dominante, arrivando a concludere che anche le azioni specifiche permesse da una piattaforma possono essere considerate ‘gendered’. Il fatto che Telegram fornisca la possibilità di creare gruppi enormi o di nascondersi dietro a uno pseudo-anonimato, permette infatti ad alcuni gruppi di uomini di perpetrare la violenza di genere in maniera più sistematica, addirittura arrivando ad automatizzarla come nel caso dei bot. In questo senso, se parliamo di ‘gendered affordances’ intendiamo dire che quelle funzioni possono cambiare anche in base al genere: non esistono, ad esempio, gruppi di 60mila donne che umiliano uomini inviando le loro foto intime. Parte tutto dalla socializzazione, dalla cultura. E se capiamo questo, allora capiamo anche che il problema non è Telegram o il tipo di funzioni che offre: il problema è soprattutto nell’uso che se ne fa, e che è causato da problemi profondamente radicati nella società.
#7 Come hai scritto e raccontato più volte, si tratta di un fenomeno culturale, figlio della cultura dello stupro, che oggettifica e sessualizza il corpo femminile. Per quanto sappiamo sarà un processo lungo, cosa possiamo fare concretamente per cambiare?
Per cambiare una cultura ci vuole pazienza. Gli strumenti culturali agiscono più lentamente, ma sanno essere estremamente più efficaci della sola ricerca di punizioni e di censura di comportamenti. Occupandomi di questi temi da parecchio tempo ormai, ho notato molta più attenzione pubblica sul problema questa volta, e magari non tutti ne hanno parlato in questi termini, però credo che molte persone si siano rese conto che questo è un problema grave. Ma non abbiamo ancora finito, anzi, forse abbiamo appena cominciato. Dobbiamo continuare a parlarne senza mai stancarci, perché abbiamo bisogno di generare interesse politico per spingere su programmi scolastici che includano l’educazione sessuale e affettiva, e l’educazione digitale. L’educazione comincia dalle scuole. Ma anche chi si occupa di comunicazione dovrebbe cominciare a fare più attenzione ai termini che usa, al modo in cui parla di violenza di genere e alle storie che decide di trattare. Più che focalizzarci sulle storie personali delle vittime facendo sensazionalismo, bisognerebbe parlare di come questi uomini arrivano a sentirsi autorizzati a competere determinati atti.