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Cos'è il catcalling

Alle origini del fenomeno di cui tutti parlano, e del perché non è un complimento

Cos'è il catcalling  Alle origini del fenomeno di cui tutti parlano, e del perché non è un complimento

L’attivismo femminista online di oggi tende a utilizzare termini di derivazione inglese o americana che spesso non sono comprensibili a tutti nell’immediato, e capita che vengano presentati come risposta a shitstorm varie e che si perdano nelle Stories di Instagram. Tra questi c’è anche il catcalling, argomento di cui si è parlato molto nelle ultime settimane. Su Urban Dictionary ad esempio viene definito come commenti sessuali volgari fatti per strada da uomini a donne, specificando che di solito i commenti riguardano il corpo femminile o una sua parte. 

Non la definizione migliore, almeno per due motivi. Quando parliamo di catcalling non dobbiamo fare riferimento solo ai commenti sessuali, ma anche a tutti quegli schiamazzi, fischi, commenti o suonate di clacson che una persona (o più) rivolge a un'altra, non solo sul fisico ma anche sull’atteggiamento. Il secondo punto, invece, è che chiunque può fare catcalling, un uomo a un uomo, una donna a un uomo o a una persona non-binary e così via. Da un punto di vista di casistica quotidiana bisogna ammettere che capita più spesso che a farlo sia un uomo a una donna, ma è un fenomeno che bisogna analizzare un po’ meglio per sfatare qualche mito. 


Perché si chiama catcalling

Si chiama "catcalling" perché si associa ai versi che fanno per richiamare i gatti (anche se ha una storia etimologica un po' più complessa). Il termine è stato anche riconosciuto dall’Accademia della Crusca nel 2013. I giornali fino a qualche anno fa tendevano a usare "molestie di strada", ma questo fenomeno esiste da molto tempo: negli anni Sessanta si usava infatti l'espressione "pappagallismo". Citando Treccani così si definisce il comportamento da «pappagalli della strada», ovvero di chi in modo insistente e grossolano importuna le donne per strada. 

Una forma di catcalling è il wolf-whistling (il lupo che fischia). Si chiama così per il cartone Red Hot Riding Hood del 1943, dove il protagonista è questo lupo, Wolf, che fischia a Red, che è una performer di night club versione Cappuccetto rosso. Il wolf-whistling indica quando un uomo fischia due volte glissando per sottolineare che prova attrazione fisica (o interesse sessuale) verso una passante, con un mood un po' alla Grease un po' fiera del sessismo. Finora abbiamo citato gatti, lupi e pappagalli, inutile ribadire l’associazione di questa pratica a un atteggiamento animalesco - in termini di civiltà prima che di educazione. 

Complimento o molestia?

Molte persone associano i gesti che rientrano nel catcalling a manifestazioni di apprezzamenti, come fossero un complimento. C’è perfino qualcuno che sostiene che si dovrebbe anche rispondere con un grazie. Quindi pur rientrando nella definizione di street harassment (molestie di strada), si tende a non considerare come un atto di violenza psicologica, cosa che invece è. Uno studio di qualche mese fa ha approfondito le motivazioni più frequenti che spingono alcuni uomini a fare catcalling, tra cui c’è il flirtare o l’esprimere un interesse sessuale. Dallo studio emerge che la reazione che si aspettavano dalle donne in causa era la "cordialità". 

Prendiamo una classica scena di catcalling, da manuale stereotipato: una ventenne sta camminando per strada e passa davanti a un gruppo di uomini sui quaranta, che commentano a turno con "Hey", "Mamma mia", "Dove vai tutta sola" e simili. Leggendo queste frasi innanzitutto notiamo che non si tratta per forza di un linguaggio volgare (rimane ovvio che molto spesso sia decisamente più volgare). Il fatto è che persone sconosciute e commenti non richiesti contribuiscono a creare una situazione di disagio, che le ragazze considerano potenzialmente pericolosa e possono quindi provare paura, perché rientra nella più ampia cultura sessista dello stupro. C’è chi trova quest’ultima frase esagerata e che sostiene - esagerando a sua volta - che non si possa più dire niente, perché ormai tutto è molestia. Queste idee sminuiscono il contesto. La percezione della stessa frase cambia in base a come viene detta, dove, quando, da chi. Una ragazza può rispondere con un sorriso, o con una battuta, oppure - come accade frequentemente - può accelerare il passo stringendo le chiavi strette in base a come si sente in quella situazione. Sempre nello studio citato prima è stato notato che le persone che avevano fatto catcalling hanno dimostrato livelli più elevati di sessismo, mascolinità auto-attribuita, orientamento al dominio sociale e tolleranza alle molestie sessuali. 

 

Nella cultura, più o meno pop

Il catcalling influenza come ci comportiamo, come ci vestiamo e come muoviamo il nostro corpo negli ambienti pubblici. Se guardiamo alla cultura pop di oggi, ad esempio, troviamo che nel primo episodio di She’s Gotta Have It (Netflix, 2017) la protagonista, Nola Darling, sta tornando a casa di sera quando un uomo le fa due volte catcalling, lei rifiuta entrambe le avances e il tizio in questione reagisce prendendole i polsi e chiamandola puttana: nasce per la protagonista un big trauma

Il catcalling è a tutti gli effetti una forma di prevaricazione che può essere fisica (prendere i polsi, rincorrere e/o fermare), ma anche psicologica, perché le donne si sentono effettivamente il "sesso debole", nonché "secondo", alla de Beauvoir. Quando accade si replica la dinamica che vede l’uomo come soggetto superiore che oggettifica la donna, senza consenso, senza rispetto e soprattutto senza considerare le reazioni possibili. Nella serie tv, ad esempio, vediamo una reazione propositiva per cui Nola idea una campagna proprio contro il catcalling: My Name Isn’t, e in quest’ultimo periodo dopo il caso di Sarah Everard, si stanno muovendo iniziative simili e numerose raccolte di testimonianze (come quella di Chiara Severgnini e Irene Soave o il progetto #catcallsof + il nome della città, come New York e Milano). L’ultima indagine (2018) Istat sulla percezione della sicurezza dice infatti che il 35,3% delle cittadine italiane non si sente al sicuro quando esce di casa da sola.

Potremmo vedere una scena di catcalling anche ne I Promessi Sposi, sì il romanzo di Manzoni che abbiamo dovuto studiare praticamente tutti alle superiori. Nel terzo capitolo infatti Lucia racconta singhiozzando che qualche giorno prima stava tornando da lavoro con delle sue compagne, ma era rimasta un po’ indietro. Camminando aveva incontrato don Rodrigo, che l’aveva “importunata con parole volgari” e per questo aveva accelerato il passo. Ciò che è curioso - ma neanche troppo - è che Lucia si dà la colpa, dicendo che avrebbe dovuto tenere gli occhi bassi: il catcalling si porta dietro vittimizzazione, self-blame e tanta rabbia 


Cosa dice la legge

Nel 2018 si è registrato un picco di ricerche su Google del termine catcalling, perché online si commentava con insistenza la notizia per cui in Francia era diventato un reato punibile con multe da €90 a €1500, grazie a una legge promossa da Marlène Schiappa, Ministra per le Pari Opportunità. 

La legge italiana non tratta in maniera specifica il catcalling, ma l’art.660 del codice penale ne parla in maniera più generica, punendo "chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo". Tramite questo articolo è capitato che venisse punito un episodio di catcalling, ma sarebbe interessante pensare di introdurre aggravanti ad hoc in caso di connotazioni sessiste o razziste (o abiliste, omolesbobitransfobiche ecc.), che già sono consistenti.