La falsa promessa del wellness secondo Jessie Gaynor
Luminosa è un romanzo che fa riflettere (e che si ispira a Gwyneth Paltrow)
30 Ottobre 2024
Qualche giorno fa ho terminato la lettura di un libro che è stato definito “Jane Austen sotto steroidi". Il romanzo è Luminosa, scritto da Jessie Gaynor e uscito nel mese di ottobre per 66thand2nd, casa editrice indipendente italiana. Una commedia oscura e intrigante in cui Jane, giovane PR di New York, si trova piena di debiti e con un lavoro che detesta. La protagonista odia dover sponsorizzare prodotti di dubbia qualità, odia la vendita di illusioni a target estremamente specifici (giovani donne bianche con ingenti quantità di denaro) e odia, soprattutto, essere costretta a tenersi quel lavoro a causa dei debiti. Alla ricerca di nuovi clienti estremamente monetizzabili, partecipa ad un retreat dedito al benessere spirituale e fisico, in cui gli unici alimenti ammessi sono zucchine e alghe che crescono sulle sponde degli oceani. Il wellness retreat è organizzato da Cassie, il prodotto più monetizzabile di tutti: bionda, si esprime solo per aforismi, trascorre le giornate facendo lunghe meditazioni ed è, ovviamente, bellissima. Jane ripudia tutto ciò che Cassie sembra incarnare, ma ben presto capisce quanto possa sfruttarlo a suo vantaggio.
Luminosa di Jessie Gaynor: la falsa promessa del "glow"
In particolare, mi ha colpito in come l'autrice, in un'intervista, parli del titolo del libro in inglese. Secondo Gaynor, il bagliore (The Glow) invita le persone ad avvicinarsi e sembra essere qualcosa che può essere condiviso. Tuttavia, osserva quanto molto del linguaggio legato al mondo del benessere parli di solidarietà e inclusione, mentre in realtà è un'esperienza piuttosto solitaria e individuale, concentrata su se stessi. È proprio questa falsa promessa che l'ha attirata verso l’utilizzo di quella parola. D’altra parte, non stupisce come la figura di Cassie sia ispirata a quella di Gwyneth Paltrow, creatrice di Goop.
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Gwyneth Paltrow vs Cassie
Entrambe - chi su carta, chi tramite documentari su Netflix e linee di cosmetici - promuove la falsa promessa insita nella cultura del wellness in cui felicità, benessere fisico e bellezza sono arbitrariamente collegate e facilmente raggiungibili - che sia attraverso un siero oppure tramite il pagamento di un ritiro spirituale nel bel mezzo del nulla. Se tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni dopo il 2010 era la magrezza a imporsi come canone, ora l’idea stessa di bellezza è l’essere in salute. La magrezza è una sottrazione, la salute un’addizione: più prodotti comprerai - retreat, frullati, corsi di meditazione - più starai meglio, bene, sarai sana.
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Dieta, salute e falsi idoli: gli spunti di riflessione
Le wellness influencer più ambigue lo sanno molto bene, disseminando sui social media consigli alimentari ed educando i propri follower ai cibi che possono energizzare, disintossicare o fare loro del male. Tali suggerimenti vengono sempre promossi come salutari, e non, invece, come standard di bellezza mascherati da nuove e subdole etichette. Di conseguenza, appare naturale domandarsi se sia davvero possibile separare salute e bellezza, e se il benessere riguardi più il sentirsi bene dentro che l’apparire tali fuori. Sorge spontaneo chiederselo, soprattutto quando l’aspetto della maggior parte delle wellness influencer è indissolubilmente legato al loro messaggio su cosa significhi essere sani. Per di più, la loro stessa popolarità è legata alla loro immagine, che è a sua volta testimonianza della loro salute e dell’efficacia dei prodotti che promuovono. Come ben descrive Gaynor all’interno del suo romanzo, talvolta molte di queste narrazioni ricorrono a termini come pentimento e conversione, adottando una retorica quasi religiosa. La trasformazione è descritta come un’esperienza faticosa ma fondamentale: ricorda, non a caso, i milioni di video di ragazze su TikTok in cui tentano di diventare That Girl.
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La vendita di stili di vita come prodotti
Nel libro Visual Communication: Understanding Images in Media Culture, le professoresse Aiello e Parry affermano che il marketing di nicchia e la cooptazione mediatica di movimenti subculturali, insieme alla promozione di stili di vita sostenibili ed etici, non debbano essere visti come fenomeni nuovi. Le autrici osservano che la crescente visibilità degli stili di vita alternativi nella cultura mediatica contemporanea ha favorito l’appropriazione, da parte delle aziende, di valori femministi e controculturali con l’obiettivo di “vendere” stili di vita (lifestyle politics), anziché limitarsi a promuovere stili di vita consumistici. Ciò è ancora più insidioso quando le persone stesse diventano e sono il brand che promuovono, come Gwyneth Paltrow oppure come Cassie in Luminosa. Immerse in questa falsa promessa, forse la vera libertà risiede nel riconoscere la fragile struttura dove si impongono questi prodotti e questi stili di vita, chiedersi a chi siano rivolti e a chi possano davvero dare più potere.