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La storia della terza ondata femminista

Dagli anni Novanta ai primi Duemila

La storia della terza ondata femminista Dagli anni Novanta ai primi Duemila

Con l’espressione terza ondata femminista si fa riferimento ad a un periodo che va dall’inizio degli anni ’90 fino al 2010 circa, in cui emergono nuove correnti e teorie all’interno del movimento. Anzi, sarebbe più corretto dire che un movimento femminista in realtà non c’è più, perché è stato sostituito da tanti femminismi differenti. Durante la seconda ondata femminista si ragionava sulla differenza tra uomo e donna, tra maschile e femminile, poi però con le prime spaccature delle sex-wars il femminismo si concentra sull’analisi delle sue differenze interne

Nel saggio Understanding Third Wave Feminisms Elizabeth Evans, ricercatrice della Goldsmith University of London, scrive che "la confusione che circonda ciò che costituisce il femminismo di terza ondata è, per certi aspetti, la sua caratteristica distintiva". Infatti tra femminismo postmoderno, transfemminismo, ecofemminismo, cyberfemminismo, femminismo girly e così via ci si potrebbe perdere. Le femministe degli anni Novanta hanno capito che non è più possibile parlare della "Donna", semplicemente perché il mondo è diverso in ogni sua parte e quindi ogni contesto sociale, culturale, politico, geografico e via dicendo influenza e determina l’esperienza femminista di ogni persona. Con la terza ondata si dà spazio ai vari tipi di donne: il femminismo nero rivendica le sue peculiarità, e lo stesso fanno il femminismo indiano, quello latino, quello marxista, quello lesbico e così via. 

 

La teoria dell’intersezionalità

Nel 1989 la giurista Kimberlé Crenshaw coniò il termine intersezionalità per discutere le discriminazioni e violenze vissute dalle donne nere nordamericane negli anni Settanta

Tutto nasce da un processo in cui cinque operaie - disoccupate - accusarono la General Motors di discriminazione razziale e sessuale, sostenendo di essere state licenziate in quanto donne e nere. Prima del Civil Rights Act (1964) la General Motors non aveva mai assunto una donna nera. Negli anni Settanta, in reazione alla crisi economica, iniziarono a ridurre il personale, tutelando i dipendenti con maggiore anzianità lavorativa. Inutile dire che le operaie nere furono le prime a essere licenziate, mentre la maggior parte delle donne bianche e degli uomini neri rimase. Serviva un termine giuridico che combinasse le due esperienze di discriminazione, e così l’intersezionalità risponde alla necessità di intersecare il genere con altre categorie, come l’etnia, l’orientamento sessuale, la classe sociale o la disabilità. Le persone esperiscono molteplici livelli di oppressione intrecciati. Le categorie sociali infatti sono alla base delle discriminazioni, ed è qui che si apre il dibattito sul concetto di privilegio - già discusso dagli studi postcoloniali o dal femminismo afroamericano. La teoria dell’intersezionalità (che ha comunque subìto critiche interessanti) ha permesso di ragionare sulle differenze nel movimento femminista e sulle solide divisioni interne. 


Da dove nasce e che cos’è la terza ondata

Rebecca Walker, scrittrice e attivista statunitense, è considerata la prima persona ad aver parlato esplicitamente di terza ondata perché nel 1992 in un articolo sulla rivista Ms. ha scritto: I am the Third Wave. In realtà un anno prima, nel 1991, nel libro The Beauty Myth Naomi Wolf aveva scritto che c’era bisogno di una terza ondata femminista. Il mito della bellezza, best seller femminista, è una critica agli standard estetici imposti dalla società che opprimono le donne. 

Probabilmente è stata scelta Walker come "fondatrice", o quantomeno figura di riferimento, in quanto femminista nera figlia di una grande attivista e scrittrice, Alice Walker. Wolf, invece, è stata più a volte al centro di discussioni nel panorama accademico femminista e negli anni ha promosso numerose teorie cospirazioniste. In ogni caso, Rebecca Walker ha inquadrato teoricamente la terza ondata. Se il femminismo di seconda ondata nasceva come proseguimento del movimento per i diritti delle donne (suffragette &co.) in cui nessuno aveva nominato la parola "ondata" perché non c’era coscienza femminista, la terza ondata si forma invece a partire da un femminismo dichiarato e già formato (es. Gloria Steinem). La terza ondata è quindi un nuovo movimento femminista in sé, nato nel suo tempo per combattere e fronteggiare le questioni nate e sviluppatosi in quegli anni. Walker spiega che la seconda si focalizzava su un determinato tipo di donna: bianca, cis, di classe media; mentre la terza si apre a una varietà di donne provenienti da contesti sociali differenti, è infatti un femminismo intersezionale. 

 

Critica al concetto di ondata

Nel momento in cui si sono riconosciute le differenze, alcune studiose come Shira Tarrant o Linda Nicholson hanno mosso delle critiche contro il concetto di "ondata"

Ogni volta che si parla di ondate, infatti, si fa riferimento agli sviluppi del movimento femminista che sono avvenuti essenzialmente negli Stati Uniti, dando rilievo a particolari momenti e determinate idee. In sostanza quello delle ondate non è il femminismo, ma il femminismo mainstream, ovvero quello bianco, ignorando la storia delle questioni politiche nel resto del mondo. Inoltre la metafora dell’onda suggerisce che ci siano dei momenti di picco e dei momenti di stallo o allontanamento, sottovalutando l’importanza dei progressi effettuati tra i periodi. Alcune femministe dunque hanno detto che non ha più senso parlare di ondate ma di singole storie di diversi femminismi, nel tempo e nello spazio.


Il contesto

La terza ondata nasce quindi negli anni Novanta con il susseguirsi di due eventi emblematici. Il primo è la testimonianza televisiva di Anita Faye Hill, avvocata e docente universitaria, in cui denunciò il giudice Clarence Thomas - candidato alla Corte Suprema - di molestie sessuali. Hill testimoniò davanti a un comitato giudiziario del Senato composto da soli uomini bianchi. Le votazioni si risolsero con 52 voti favorevoli e 48 contrari, così Thomas fu nominato alla Corte Suprema. 

Il caso ebbe una grande eco mediatica e l’opinione pubblica si divise tra chi sosteneva il giudice e chi, invece, credeva ad Anita (tanto da creare lo slogan I believe you Anita ripreso successivamente anche con il #MeToo). Tra l’altro l’articolo di Walker sulla terza ondata nasce proprio da un commento della vicenda di Hill. Il secondo evento coincide con l’inizio del movimento Riot Grrrl a Olympia (Washington). Fino a quel momento il punk era territorio maschile, ma diverse attiviste femministe iniziarono a creare zine e formare band - come Bratmobile, 7 Year Bitch o Heavens to Betsy, ritagliandosi un’alternativa underground e iniziando a portare i dr. Martens. In quegli anni Kathleen Hanna, cantante delle Bikini Kill, lavorava alla zine su cui poi comparse il Riot Grrrl manifesto, che si schierava contro la società che afferma che dire ragazza equivalga a dire stupida, cattiva, debole (Girl = Dumb, Bad, Weak). 

Durante i concerti le Bikini Kill urlavano Girls to the front! per invitare le ragazze ad andare davanti a reclamare un loro spazio, per poi farlo anche nella società. La musica in questi anni condiziona particolarmente il movimento femminista e diffonde il concetto di empowerment. Una delle zine delle Bikini Kill si chiamava Girl Power, e verso la fine degli anni ’90, con l’ascesa delle Spice Girls, quell’espressione diventò uno slogan del pop mainstream. 

E questo è anche l’inizio di un altro femminismo definito girly o lipstick feminism, che consolida la narrazione dell’empowerment e permette che nel contesto della III ondata sia l’hijab che un crop top possano essere considerati simboli di resistenza all’oggettificazione e forme di espressione personale.

 

I temi della terza ondata

Il principale argomento della terza ondata è fornito dalla teoria queer, nata dal lavoro di Teresa de Lauretis nel 1991 e rafforzata dal pensiero di Judith Butler, filosofa e teorica di genere. Negli anni Novanta la comunità omosessuale si riappropria dell’etichetta Queer, che dal 1922 era utilizzata come termine dispregiativo, di hate speech che intrecciava i concetti di stranezza, malattia e omosessualità. La teoria queer propone un superamento delle categorie binarie (maschio/femmina, eterosessuale/omosessuale) moltiplicando il discorso delle differenze: è la base dell’attuale comunità LGBTQIAPK+. La riappropriazione di un termine dell’odio si ritrova anche in un altro senso con le slut walks, manifestazioni in cui le donne protestavano contro la retorica del “vestita così se l’è cercata” finalizzata praticamente a giustificare uno stupro. 

Il tema della violenza contro le donne è ancora forte, in tutte le forme: stupri, violenze domestiche, molestie, abusi, mutilazioni genitali e diritti riproduttivi. Nasce anche il V-Day, una giornata simbolo per parlare di queste violenze, grazie a I monologhi della vagina di Eve Ensler, scritto nel 1996. Il libro si basa su interviste a un gruppo eterogeneo di più di duecento donne e parla di tutto quello che riguarda la vagina, "nelle gioie e nei dolori". Continua il dibattito sulla sessualità, sul sex-work e sul porno. Nasce la rivista femminista pop Bitch, che si concentra sulla rappresentazione mediatica mainstream (l’uscita di Thelma&Louise aveva suscitato numerose polemiche). Nei primi Duemila il movimento femminista si amplia, c’è Internet, il che significa che e-zines e blog (come Feministing di Jessica e Vanessa Valenti) connettono persone in tutto il mondo, permettendo di divulgare in un nuovo modo le istanze femministe. Quella che è considerata la "quarta ondata" nasce da qui. In parte dalle teorie di Donna Haraway e Rosi Braidotti in parte dalle puntate di Sex and the City