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La storia delle Sex Wars

Come il femminismo si è spaccato per via del porno

La storia delle Sex Wars  Come il femminismo si è spaccato per via del porno
Photo by Morgan Gwenwald

Con l’espressione guerre sessuali femministe si fa riferimento a una serie di dibattiti che si sono svolti all’interno del movimento femminista tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Le Sex-Wars (anche chiamate Porn-Wars) hanno segnato il momento di svolta tra la seconda ondata femminista e la terza (qui trovate la storia della prima). Dagli anni ’70 il principale tema di discussione era la sessualità; le femministe parlano di pornografia, ma anche di relazioni sessuali e di pratiche BDSM

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Si era appena conclusa la rivoluzione sessuale, negli Stati Uniti si stava inaugurando la Golden Age of Porn e le femministe cercavano di inquadrare i rapporti sessuali in una cornice teorica. La giornalista e attivista Ellen Willis, ad esempio, scrive che anche il sesso sottostà ai meccanismi patriarcali, ovvero replica dinamiche di potere che avvantaggiano i desideri maschili (per capirci, l’esistenza dell’orgasm gap dimostra che il patriarcato influisce anche sul sesso). 
È già qui che il femminismo radicale inizia a scricchiolare. Si iniziano a delineare due filoni di pensiero, che poi prenderanno forma in due correnti: le anti-porn e le pro-sex. Entrambi erano due schieramenti ideologici radicali (con molte problematiche interne) che partivano da assunti molto diversi. Le pro-sex urlavano “sex work is work” (tr. il lavoro sessuale è lavoro) per togliere lo stigma della prostituzione, e allo stesso tempo la più famosa attivista anti-porn, Andrea Dworkin, scriveva che “tutto il sesso è stupro”, in ogni forma. Non erano i migliori presupposti per un dibattito. 


Lo schieramento anti-porn

Figure di spicco: Andrea Dworkin, Catharine MacKinnon, Susan Brownmiller, Robin Morgan, Laura Lederer, Diana E. H. Russell, Adrienne Rich, Gloria Steinem, Susan Griffin, Kathleen Barry. 

Iniziamo con l’anti-porn. Queste femministe radicali partono da una demonizzazione totale della sessualità maschile, perché pensano che il patriarcato avvantaggi in qualche modo l’uomo nella sua sessualità // perché è la sessualità avvantaggiata dal patriarcato. Ed è da questa idea che Andrea Dworkin è partita per il libro Woman Hating (1974). Lo stesso tema dello stupro viene ripreso anche in Against Her Will: Men, Women and Rape (1975) di Susan Brownmiller, in cui parla dello stupro come lo strumento che tutti gli uomini utilizzano per intimidire e opprimere le donne, e gli ultimi due capitoli sono sulla pornografia. Il porno infatti è l’argomento principale delle critiche del femminismo anti-porn, come si può intuire dal nome del gruppo. Robin Morgan nel 1977 ha saputo sintetizzare le posizioni anti-porn creando il mantra del movimento: la pornografia è la teoria, e lo stupro è la pratica (pornography is the theory and rape is the practice). 

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Secondo Dworkin la pornografia reca danno alle donne sia nella produzione che nel consumo. Nella produzione perché le attrici che performano nei video vengono umiliate, trattate come oggetti. Anche Brownmiller dice che il porno ha trasformato le donne in giocattoli per adulti (oggetti disumanizzati da utilizzare, abusare, rompere e scartare). Nel consumo, invece, perché i consumatori di porno interiorizzano una rappresentazione violenta e misogina. Il porno, infatti, è fatto da registi uomini perché ne fruiscano - di fatto - altri spettatori uomini, quindi, secondo le anti-porn, è incapace di rappresentare il desiderio e la sessualità femminile. In ogni caso la pornografia è sempre considerata una forma di violenza che illustra l’oggettificazione femminile mostrando atti specifici che, nel porno hardcore, sono veri e propri atti di tortura. L’associazione WAVPM (Women Against Violence in Pornography and Media), un gruppo californiano di femministe contro la violenza rappresentata nel porno e nei media in generale, organizzava molte proteste e conferenze tra San Francisco e Los Angeles. A Hollywood il WAVPM riesce a far rimuovere il cartellone pubblicitario del nuovo album dei Rolling Stones in Sunset Boulevard, che ritraeva la modella Anita Russell, legata con delle corde, a gambe aperte, con accanto la frase I’m Black and Blue from the Rolling Stones - and I love it. L’espressione “black and blue” si riferisce ai colori dei lividi e, infatti, quando qualcuno dice di sentirsi black and blue significa che è stato ferito fisicamente (se lo dice in maniera letterale) o emotivamente (da un punto di vista figurativo). Il copy pubblicitario era poco felice, e secondo i gruppi femministi trasmetteva un messaggio negativo, quasi celebrativo, della violenza sulle donne, proprio come faceva il porno. 

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Lo schieramento pro-sex

Figure di spicco: Ellen Willis, Gayle Rubin, Amber Hollibaugh, Betty Dodson, Dorothy Allison, Patrick Califia, Ruby Rich, Esther Newton, John D’Emilio, Jo Arnone, Sharon Thompson

Il femminismo che, invece, era favorevole alla pornografia si è auto-definito pro-sex, perché era convinto che la libertà sessuale fosse una tappa fondamentale nella lotta per la libertà delle donne (e di tutte le altre persone). Le pro-sex pensano che una condanna a priori della sessualità maschile non sia corretta: il patriarcato influenza negativamente tutti i soggetti sessuali, non solo le donne, quindi non si deve parlare di paradigma maschile dominante, ma maschilista. Le pro-sex inoltre sostengono che si debba ripensare la figura della sex-worker che sceglie consapevolmente di compiere questo lavoro. Non sono oggetti, ma soggetti. In più, nel porno non ci sono solo donne, ma anche uomini, non-binary e queer in generale, così vogliono aprire il dibattito a tutte le identità. Queste persone non sono solo vittime, ma sanno compiere scelte autonome, personali e contestuali. Per questo le pro-sex vedono il lavoro sessuale (che sia prostituzione, posare per OnlyFans, o girare porno) come ogni altro tipo di lavoro. 

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Per descriversi questo tipo di femminismo ha utilizzato l’espressione comparsa nel saggio Lust Horizons: Is the Women’s Movement Pro-Sex? (1981), della giornalista e attivista Ellen Willis, che è stata tra le prime a criticare il femminismo anti-porn. Willis associava le rivendicazioni delle anti-porno a un puritanesimo sessuale, un autoritarismo morale e una minaccia alla libertà di parola, insomma a una repressione della sessualità. Secondo le pro-sex la produzione di materiale pornografico e il suo consumo non sono dannosi di per sé. Certo, hanno le loro problematicità, ma la soluzione non è eliminare il porno (che è un dispositivo culturale sovversivo), né tantomeno rimuovere le donne dal porno. L’idea di fondo era invece coinvolgere le donne in prima persona come produttrici, scrittrici e registe. E infatti così è stato con l’esperienza di Candice Vadala (conosciuta nel mondo pornografico come Candida Royalle), che nel 1984 ha fondato la prima casa di produzione femminista. Vadala voleva proporre una pornografia basata sul desiderio femminile, libera dal male-gaze, non orientata al cum shot finale, ma alla descrizione dell’attività sessuale nel contesto più ampio della vita emotiva e sociale delle donne. Ha inaugurato la pornografia delle donne per le donne. La Femme Productions ha messo in pratica le teorie pro-sex che volevano rendere il porno un modello sessuale positivo. 

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Due momenti di scontro

Il primo momento cardine di queste “guerre” è stata la Barnard Conference on Sexuality del 1982, una conferenza tenuta in un college privato femminile di New York. Il tema era la sessualità. Le femministe anti-porn vengono escluse dalla conferenza perché, a detta del comitato organizzativo (in larga parte pro-sex), hanno già dominato abbondantemente il discorso politico e mediatico sulla sessualità e lo scopo della conferenza è concentrarsi su un’analisi più ampia della sessualità non riproduttiva, non solo sul porno. Tra i temi trattati ci sono anche le pratiche BDSM, che le anti-porn vedevano come una violenza ritualizzata contro le donne, mentre alcune femministe lesbiche (dei gruppi Samois e Lesbian Sex Mafia) ritenevano che il BDSM fosse coerente con i principi femministi perché basato sul consenso e sul rispetto. Le anti-porn reagiscono protestando fuori dall’edificio, indossando t-shirt con scritto davanti “Per una sessualità femminista” e dietro “contro le pratiche S/M”. 

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Photo by Morgan Gwenwald

Le posizioni pro-sex su questo dibattito possono essere riassunte con delle domande poste da Ellen Willis nel 1979: esiste qualche criterio oggettivo per stabilire che cosa sia un sesso sano o soddisfacente? E se c’è, qual è? Chi stabilisce quale è una pratica sessuale corretta e quale no? In questo clima la conferenza riesce comunque a svolgersi e le pro-sex “festeggiano” il giorno seguente nel gruppo Lesbian Sex Mafia. 

 

L’altro momento di scontro si ha con l’Anti-Pornography Civil Rights Ordinance del 1984, una serie di eventi politici che sono iniziati con la Golden Age of Porn, ovvero un periodo (dal 1969 al 1984) in cui i film pornografici ottengono l’attenzione del pubblico mainstream. Sono gli anni che, secondo un articolo del New York Times, portano in luce il porno chic. L’esempio chiave di questo periodo è Deep Throat, ovvero Gola Profonda (1972), che crea grande scalpore. Linda Boreman, conosciuta come Lovelace, viene spinta dal marito Chuck a partecipare al film, diventando la prima pornostar internazionale. 

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Linda poi passa allo schieramento anti-porn e viene sostenuta dal WAP, che prima di essere la canzone di Cardi B ft. Megan Thee Stallion, nel 1979 stava per Women Against Pornography. Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon, le due più famose femministe anti-porn, iniziano a discutere la possibilità di intraprendere un ricorso legale per Linda, in sostanza credevano fosse possibile considerare il porno come una violazione dei diritti civili delle donne, una forma di discriminazione sessuale e un abuso sui diritti umani. In questo modo chi era stata danneggiata (più o meno direttamente) dalla pornografia, avrebbe potuto chiedere un risarcimento dei danni a chi produceva o distribuiva materiale pornografico. Provano quindi a redigere un’ordinanza locale. Le femministe pro-sex creano FACT (Feminist Against Censorship Task Force), un gruppo contrario alla censura. Infatti l’ordinanza avrebbe trasformato tutto il materiale erotico/sessuale in una potenziale responsabilità legale per il venditore, e in questo modo non sarebbe più stato diffuso, stabilendo una censura di fatto. 

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Nel 1985 la Corte Federale stabilisce che, secondo il Primo Emendamento, l’ordinanza è incostituzionale, così non passa. Il movimento anti-porn ne esce indebolito perché, in questa lotta, si è schierato con l’ala conservatrice di Reagan e con i cristiani (il ruolo delle associazioni religiose si può capire ancora oggi con lo scandalo di dicembre su Pornhub). 

 

La spaccatura che porta alla Terza ondata

Molte persone credono che le sex-wars siano stati solo dei dibattiti intellettuali tra femministe newyorkesi. In realtà si dovrebbero considerare come un momento di ampia portata politica e accademica. La sessualità, ad esempio, era un argomento che era sempre stato utilizzato solo dagli uomini e che il femminismo di seconda ondata aveva definito come uno strumento di oppressione. Con le sex-wars invece gli argomenti sulla sessualità diventano propri delle donne. Il dibattito ha sollevato problemi che sono irrisolti ancora oggi, anzi, possiamo dire che si sono ulteriormente complicati. Insomma le sex-wars hanno portato a una spaccatura del femminismo lesbico e di quello radicale che hanno frammentato il movimento femminista fino a farlo arrivare alla Terza ondata. 

La critica femminista Teresa De Lauretis vede le guerre sessuali come il riflesso di una nascente nuova ondata che incarna intrinsecamente la differenza, e che quindi può includere pulsioni conflittuali e concorrenti. Non si parla più di quel pensiero della differenza tra maschile e femminile, ma di differenze all’interno dello stesso gruppo di donne e femminist*. Gli scritti di terza ondata così promuovono visioni personali e individualizzate sulle questioni legate al genere e focalizzatesi durante le sex wars, quali: prostituzione, porno e sadomasochismo. Come avevano capito le femministe radicali durante gli anni della rivoluzione sessuale: il sesso è un luogo di potere e vulnerabilità