Vedi tutti

Al Festival di Sanremo, l'abito fa il monaco

Intervista alla stylist Rebecca Baglini

Al Festival di Sanremo, l'abito fa il monaco Intervista alla stylist Rebecca Baglini
Sara Scanderebech

Chi pensa che il Festival di Sanremo sia solo musica si sbaglia, e di grosso. Nella città dei fiori, infatti, a mettersi in gioco non sono soltanto i concorrenti, i presentatori e gli ospiti, ma anche il loro intero team. C'è il management, la casa discografica, gli autori. Ci sono i make-up artist e gli stylist, che spesso sono co-responsabili di veri e propri rilanci e re-branding, oltre che di musica anche di look, e spesso le due cose vanno a braccetto. Proprio su questo ultimo punto ci siamo volute soffermare intervistando Rebecca Baglini, che a Sanremo 2025 segue Shablo, Guè, Joshua, Tormento, Neffa, Alessandro Cattelan, Ludovica Sauer, Mattia Stanga e Pilar Fogliati. Ecco cosa le abbiamo chiesto.

Intervista con la stylist Rebecca Baglini in occasione di Sanremo 2025

Cosa vuol dire per una stylist prepararsi a un evento come il Festival di Sanremo?

Sanremo è uno degli eventi forse più importanti e seguiti a livello italiano, anzi in mondovisione. La cura e l’attenzione al dettaglio sono fondamentali, ogni cosa è comunicazione, non si parla solo di moda: ciò che accade a Sanremo è storia del costume. Per la creazione dei look partiamo sempre dal personaggio, dalla sua personalità. Per esempio, se si veste un presentatore è fondamentale capire quello che vuole andare a comunicare, se si veste un artista in gara è necessario accompagnare il messaggio della canzone e contribuire a rafforzarlo e ad amplificarlo, esaltare la sua personalità, il testo della canzone e il suo percorso artistico. Credo che la costruzione dell’immagine - che non è solo fatta di abiti, ma di tanti dettagli, luci sul palco, di trucco e parrucco, e così via - possa conferire il 70% di potenza in più all'artista. Abbiamo senz'altro una grande responsabilità. È un lavoro che deve essere fatto con estrema professionalità che comporta attività collaterali fondamentali: dal coordinamento logistico con tantissimi uffici di stile, aziende, uffici stampa, management artisti e case discografiche.

Da dove parti per creare un look per un cantante? E per definirne un’estetica in toto?

Parto sempre dalla personalità dell'artista. È necessario conoscere la persona oltre che, in parte, affidarsi all'istinto e alla nostra visione di quel personaggio. È fondamentale distinguere tra il personaggio in scena e la persona reale, anche se spesso i due aspetti possono fondersi. Bisogna andare a far leva sulle qualità più distintive di un artista, sugli elementi estetici che definiscono la sua immagine e creano un imprinting importante. Questo significa evidenziare alcuni aspetti, attenuarne altri e lavorare a 360° sui punti di forza per costruire un immaginario coerente e riconoscibile. È poi altrettanto importante capire lo storico dei brand che accompagnano l'artista, perché il nome di un marchio ha un peso specifico, oltre al valore del capo in sé. Bisogna trovare un equilibrio, non lasciarsi impressionare dal nome o dalla storia di un brand, ma avere la lucidità di riconoscere un ottimo look anche se non appartiene ad un marchio di lusso. L'obiettivo è mantenere sempre un bilanciamento tra brand, prodotto, progetto, messaggio e destinatario, affinché tutto converga in un'unica visione coerente.

Quanto è importante avere il look giusto per un artista? Aiuta anche a comunicare meglio la sua musica?

Non solo aiuta, direi che è fondamentale. La canzone migliore vestita con un abito sbagliato non avrà mai lo stesso effetto di una canzone mediocre nell’abito giusto. Con questo non voglio dire che la musica viva solo di immagine, perché la musica è un'arte che vive da sé, ma deve essere ben accompagnata.

La moda aiuta nella comunicazione della musica. Anche la musica può aiutare il look secondo te? Che tipo di convergenza c’è tra le due cose?

L'arte stessa è un'esibizione, una vera e propria performance. Se tutto è giusto e bilanciato, si regala allo spettatore un'esperienza straordinaria, un sogno. Regalare un sogno significa offrire al pubblico un'esperienza così potente da fermare il tempo. L'arte su un palco a mio avviso è trasmessa da tanti aspetti: dal movimento dell'artista, dal testo della canzone, dalla base musicale, dalle luci giuste e anche dall'abito che ha indosso. Un abito giusto permette di aumentare la self-confidence, di sentirsi bene tanto da divenire la versione migliore di se stessi. 

Quanto è importante la sintonia tra stylist e artista?

Fondamentale. Quando c'è una forte stima, fiducia e rispetto reciproco allora si possano creare insieme delle cose straordinarie.

Qual è il tuo primo ricordo legato al Festival?

Marco Mengoni come ospite. Per lui feci fare un custom made da Giorgio Armani che ricordava molto il Neorealismo anni 50', Marcello Mastroianni. L'architettura e gli interni del teatro Ariston mi hanno subito trasmesso un grande rispetto. Una sensazione di surrealismo. L'idea che la storia della musica e dello spettacolo sia passata su questo palco è molto affascinante.

Quali sono le tue fonti d'ispirazione?

La storia, il passato, i profumi, i sapori, i luoghi e le emozioni che ho vissuto. Frammenti del mio passato, scene che ho osservato, colori che mi hanno emozionato. Le città in cui ho vissuto, Firenze e Venezia, per me sono state una fortissima fonte d'ispirazione, come altre meravigliose città italiane. Sono luoghi in cui il ben vestire, il buon gusto, l'eccentricità e il divertimento sono ancora vivi, dove avere dei bellissimi abiti è sinonimo di godersi la vita.