L'islamofobia oggi nelle parole di chi la vive
Uno sguardo alla situazione italiana tra social e realtà
20 Maggio 2024
"Ma basta. Fornirete consigli anche su come convertirsi?" oppure "Portala a mangiare la carbonara e le costine di maiale”. Questi sono solo alcuni dei commenti che il 17 marzo abbiamo ricevuto sotto un nostro post intitolato "Come sostenere una persona che sta facendo il Ramadan". Anche se potrebbero sembrare a un livello superficiale leggere e ironiche, queste parole in realtà nascondono (e neanche tanto bene) un'intenzione negativa, che ci fa riflettere sul problema in Italia oggi. Motivate da queste parole, abbiamo dunque deciso di dare voce e a chi certe cose le vive sulla propria pelle per denunciare una volta per tutte l'islamofobia.
Che cosa significa islamofobia?
Nel 1990 il Runnymede Trust, un'organizzazione britannica per l'uguaglianza razziale, pubblicò un importante rapporto intitolato "Islamophobia: A Report on British Muslim Experience". Questo documento evidenziò già allora la diffusione del pregiudizio anti-musulmano nel Regno Unito e contribuì al più ampio riconoscimento dell'islamofobia come una forma distinta di discriminazione su base religiosa. Dopo questo ne seguirono a cascata, fino ad arrivare ad oggi. La situazione, purtroppo, non è migliorata. Stando a quanto hanno rivelato gli esperti il 15 marzo 2024 a Ginevra, i commenti che abbiamo ricevuto non sono un caso isolato, bensì una piccola scintilla che contribuisce ad accendere un fuoco molto ampio e pericoloso. Proprio per questo hanno lanciato un allarme riguardo al preoccupante livello raggiunto in Europa dagli atti di molestia, intimidazione, violenza e incitamento all'odio basati sulla religione o sul credo e che quindi colpiscono anche i musulmani.
L'islamofobia oggi: dati, studi e statistiche
Uno studio del 2022 pubblicato dal Personality and Social Psychology Bulletin ha rilevato che il pregiudizio antimusulmano è significativamente più alto del pregiudizio contro altri gruppi minoritari. Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, abbiamo delle statistiche recenti a dir poco spaventose. La relazione 2023 sull'islamofobia in Italia a cura della Rete Europea contro il Razzismo (ENAR) evidenzia che nel 2022 in Italia sono stati segnalati 129 episodi di islamofobia, con un incremento del 22% rispetto al 2021. Inoltre, il report sottolinea che i musulmani in Italia hanno una maggiore probabilità di subire discriminazione in ambiti quali il lavoro, la situazione abitativa e l'istruzione, rispetto ad altri gruppi. Abbiamo chiesto qualcosa alle persone direttamente interessate da questa forma di discriminazione in Italia.
Fay Yabre: discriminazione diretta e indiretta
"Prima di mettere il velo non ho mai avuto esperienze di islamofobia, ma una volta messo il velo assolutamente sì. Di base si suddividono in episodi diretti, che ho notato essere più frequenti nel mondo lavorativo, ed indiretti, che invece si verificano nella quotidianità": inizia così il racconto Fay Yabre, modella e studentessa di fashion design. "Un articolo uscito l'anno scorso durante la fashion week in un magazine italiano - usando come pretesto l'accaduto della ragazza iraniana uccisa per aver tolto il velo (episodio totalmente contro i principi dell’Islam) - andava contro i designer che ci avevano dato la possibilità di sfilare per loro, in quanto stando a quanto scritto il fatto che una ragazza sfili in passerella col capo coperto è simbolo di oppressione della donna. Quando lessi questo articolo ci rimasi talmente male che mi misi a piangere" continua poi. Questi episodi, purtroppo, si allargano anche alla vita quotidiana, per esempio al mare. "In quanto musulmana devo indossare il burkini, cosa che all’inizio mi imbarazzava molto. Quando mi sono finalmente decisa a metterlo per andare in spiaggia mi sono sentita giudicata tantissimo, sentivo sul collo il disprezzo delle persone e i loro commenti che mi hanno portata a non voler mai più fare il bagno al mare in Italia". E per quanto riguarda gli episodi indiretti? "Basti pensare a quando durante il ramadan ti viene chiesto se ti sta obbligando qualcuno, o alla sensazione di quando prego fuori casa: mi sento estremamente giudicata. Una volta una signora si offrì di aiutarmi senza che la mia famiglia lo sapesse, come se fosse scontato che ragazza col velo sia obbligata a portarlo".
Come è facile immaginare, e come diretta conseguenza a tutto questo, per Fay essere una content creator musulmana è più di un passatempo, si tratta di una vera è propria responsabilità. "Sento il compito di cercare di far capire alla gente che pur avendo il velo sono una persona uguale agli altri. La prima cosa da fare per migliorare la situazione in Italia, secondo me, sarebbe avere più tolleranza verso il popolo musulmano. Si potrebbe partire ad esempio dal concedere il permesso a lavoro per poter andare in moschea il giorno dell’Eid, non giudicare o creare problemi una persona che vedi pregare all'esterno, non giudicare una ragazza che entra in acqua col burkini". La ragazza crede che i social possano essere utili per informare e informarsi sull’argomento. Cambiando il punto di vista, magari una ragazza musulmana che ha paura di esporsi potrebbe sentirsi un po' meno sola e un po' più capita, e chi la guarda entrare in sintonia con lei e superare alcune barriere. "A una ragazza che vuole intraprendere questo percorso dico vai spedita senza fermarti, ci sarà da stringere i denti ma troverai persone pronte a imparare da te e che ti supporteranno! Quando iniziai a mettere il velo, essendo sola, fu fondamentale seguire più creator musulmani possibili con cui entrare in sintonia e a cui ispirarmi": conclude Fay, con uno spunto importante sul lato chiaro dei social, quello della comunità.
Asha Salim: la potenza della fede
"L'islamofobia in Italia è direttamente relazionata alla paura del diverso, alla paura di qualcosa che non corrisponde al canone a cui si è abituati. Tutte queste paure sfociano in ostilità e quindi islamofobia": fa luce sulla questione Asha Salim, scrittrice che ha dato vita al The Creal Club, una community caratterizzata da "conversazioni, cultura e benessere creativo dalla prospettiva delle donne nere e POC della diaspora". Salim ci rivela che essere creator musulmani in Italia significa in primis essere in pochi. "Al momento non sono una donna hijabi, quindi spesso le persone non si chiedono quale sia la mia religione. La fede per me è una cosa naturale, e molto personale. Fede e religione sono parti fondamentali della mia persona e le inserisco sui social come faccio nella mia vita di tutti i giorni" ci racconta. Secondo lei, l'unica soluzione al problema dell'islamofobia è l'educazione. "Educazione che parte da e nelle scuole" precisa. "Se ci ritroviamo davanti a persone e collettività islamofobe è perché quest'ultime sono cresciute con delle nozioni per cui l'Islam viene pensato come qualcosa di cui aver paura, che opprime, mentre invece è il contrario" ma non solo: "La seconda cosa penso sia il riconoscimento e la condivisione. Con riconoscimento intendo riconoscere le festività islamiche come si fa con quelle cristiane, riconoscere il velo come una scelta e non un obbligo, la modestia come una volontà e non un'imposizione”. Secondo la creator, i social ci hanno permesso di accorciare le distanze tra noi e quello che apparentemente sembra lontano, diverso. I suoi consigli per una ragazza come lei: "La prima cosa è di non perdere mai l’Iman (fede), tutto quello che ho fatto, che faccio e farò è unicamente possibile attraverso la mia fede; senza quella non sarei qui, e non avrei la possibilità di seguire le mie ambizioni. Poi le direi di rimanere fedele a sé stessa, ai suoi principi, valori, e cultura. Gli ambienti creativi spesso possono generare confusione e paura soprattutto a Milano, dove spesso si è l'unica minoranza in contesti lavorativi (come ad esempio gli eventi). È importante sapere chi si è, esserne fieri, e vedere nella propria storia e nella propria cultura una ricchezza".
Sabrina Salem: una questione di fiducia nel futuro
"Per quanto io non ricordi una singola e forte esperienza di islamofobia, ricordo bene cosa ho sentito e provato fin dalle elementari. Da piccola mi ripetevo che ero uguale agli altri e non capivo perché per gli altri non fosse così. Per essere invisibile, uguale, mi imponevo delle regole che mi portavano a distaccarmi dalla mia religione, dalle mie origini e ad essere arrabbiata con la mia famiglia che invece era sempre pronta a sostenermi": la storia di Sabrina Salem inizia così, nel segno dell'esclusione e di una percepita diversità da eliminare. Sabrina oggi ha 23 anni ed è più sicura che mai. In passato non era così: "Ho subito varie forme di bullismo, sia da parte dei bambini che da parte dei professori. Non perdevano occasione per farmi sentire diversa. È assurdo, perché io mi ricordo bene il giorno in cui ho deciso che non mi sarebbe più importato. Ero in quinta elementare e purtroppo o per fortuna avevo capito che i problemi nella vita erano altri, e non le persone ignoranti che mi circondavano" ci confida. "Quando è iniziato il periodo ISIS, quindi nel 2013/2014, ero alle medie. Tutti avevano paura e nessuno diffondeva i giusti messaggi per differenziare l’ISIS dalle persone musulmane. Infatti, quell’anno all’esame di terza media, portai proprio il Corano e l’ISIS come argomento. Davvero strano che fosse una ragazzina di 13 anni a dover spiegare le cose agli adulti".
La sua ritrovata serenità è passata anche dallo skate. "Alla stazione centrale di Milano sullo skate ho trovato un’apertura che mi ha permesso di riscoprirmi e di essere me stessa al 100%. Mi sono sentita bene grazie alla strada, alle persone che stavano e stanno ancora lì. Questo mi ha permesso di far riemergere il mio lato più fantasioso, inventivo. Nel mondo creativo, di cui ora faccio parte come stylist, ho l’opportunità di esprimere la mia verità tutti i giorni". Sabrina Salem suona speranzosa: "Adesso le cose stanno migliorando, lo vedo con i miei amici più piccoli. La maggior parte di loro ha un approccio multiculturale ed è più curiosa. Tutti gli anni vivono il ramadan a 360 gradi insieme a me. Forse una cosa fondamentale deve venire anche dalle altre persone islamiche e dalla mia comunità, dovrebbero essere fieri e aprirsi alle persone senza paura" e il suo consiglio? "Keep you identity close sempre. Soprattutto ora, e facendo il nostro lavoro. È facile perdersi, questo è un mondo caotico, ma devi essere te stessa. Potresti aiutare qualcuno che sta soffrendo. L’arte, la moda, tutte le forme di espressione in generale, possono aiutare qualsiasi altra persona che non ha la stessa opportunità di esprimersi. Inoltre, solo così facendo riuscirai a trovare le persone giuste dalle quali vuoi essere circondata e di conseguenza a sentirti bene. Siamo fortunate a poter vivere più realtà, sfruttiamole! Sta in mano a noi cambiare le cose, e non la vedo più come cosa remota".
Le parole possono cambiare le cose? Forse no, ma è un inizio
"Dobbiamo reclamare la nostra narrativa e raccontare le nostre storie. Dobbiamo mostrare al mondo che non siamo le figure unidimensionali che spesso veniamo rappresentati. Siamo medici, avvocati, ingegneri, artisti e attivisti. Siamo madri, figlie, sorelle e amiche. Siamo esseri umani, proprio come tutti gli altri": queste parole della giornalista e autrice egiziano-americana Mona Eltahawy sono emblematiche e ci fanno riflettere sulla superficialità della società occidentale nel suo approcciarsi all'Islam. Al TG, alla radio, tra i banchi di scuola: sentiamo parlare di islamofobia ma sembra sempre un racconto lontano da noi. L'attivista egiziano-canadese e co-fondatrice della Muslim Women's Network, Aisha El-Hennawy, spiega invece che: "L'islamofobia è un problema globale, ma richiede soluzioni locali. Dobbiamo lavorare insieme nelle nostre comunità per combattere i pregiudizi e la discriminazione. Dobbiamo educare i nostri vicini, i nostri amici e le nostre famiglie sull'Islam. Dobbiamo difenderci a vicenda e denunciare l'ingiustizia". E adesso, tocca anche a noi fare qualcosa a riguardo, con le parole ma anche con i fatti.