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"Goblin mode" è la parola dell’anno

L’espressione diventata virale nei mesi scorsi rappresenta lo zeitgeist contemporaneo secondo una votazione pubblica indetta dall’Oxford English Dictionary

Goblin mode è la parola dell’anno L’espressione diventata virale nei mesi scorsi rappresenta lo zeitgeist contemporaneo secondo una votazione pubblica indetta dall’Oxford English Dictionary

Domenica: mi aggiro per casa. La tuta che chiamare oversized sarebbe eufemistico è piena di peli di labrador, simbolo dell’unico vero rapporto simbiotico della mia vita. I capelli raccolti con un bun, il viso nudo, pallido più di quello di Mercoledì Addams. Un pacchetto di Haribo a portata di mano, il cellulare nell’altra che scrolla le vite patinate di pseudo-sconosciuti su Instagram e in sottofondo i dialoghi dei fratelli Winchester nell’ennesimo re-watch della serie tv che ho visto mille volte (sì, perché scegliere una delle serie sbandierate sui social mi risulta uno sforzo mentale eccessivo). Nessuna voglia di parlare con essere umani né, tantomeno, nessuna fomo di essere altrove a fare cose. Io lo chiamo weekend. Il resto del mondo Goblin Mode. Per l’Oxford English Dictionary, che la definisce "comportamento ostinatamente autoindulgente, pigro, sciatto, avido, che rifiuta le norme e le aspettative sociali", è la parola dell'anno.

"Visto l’anno che abbiamo appena vissuto, goblin mode è la parola giusta per tutti quelli che in questo momento si sentono un po’ sopraffatti dagli eventi. È un sollievo riconoscere che non siamo sempre la versione idealizzata, curata di noi stessi che veniamo incoraggiati a mostrare su Instagram e TikTok. Lo dimostra anche la rapida crescita dei download di BeReal, app con la quale gli utenti condividono immagini grezze di loro stessi, spesso mostrando momenti della vita in cui sono autoindulgenti, in goblin mode appunto."

Ha dichiarato il presidente di Oxford Languages Casper Grathwohl, cercando di spiegare l’inaspettato successo della locuzione verbale, che ha stravinto la gara con Metaverse e l’hashtag #IStandWith, venendo votato da 318.956 persone su 340 mila e ottenendo quindi il 93% dei voti totali.

@polyesterzine Going #goblinmode in a world of That Girl… We discuss why and how we’re retreating under the bridge and going full Goblin over on the Polyester #podcast Alex G treehouse - eve

L’hashtag #goblinmode è apparso per la prima volta su Twitter nel 2009, ma è diventato virale sui social media nei primi mesi del 2022. Come spesso accade ultimamente, c’è di mezzo Julia Fox e una serie di articoli che sostenevano che l’attrice di Uncut Gems avesse rotto con Kanye West perché lui non la gradiva quando andava in "goblin mode". Fox ha in seguito specificato di non aver mai usato quel termine, ma ormai la cosa non aveva più importanza, era andata oltre. Improvvisamente "goblin mode" era diventata la deriva di anni di pandemia, incertezza verso il futuro e una risposta ai diktat sociali che impongono un’immagine perfetta, la that girl che potrebbe morire senza la sua skincare quotidiana da novecento passaggi, mangia solo bowl di riso lesso e salmone, ha la casa ordinatissima e piena di oggetti di design e ti invita a mettercela tutta per essere "la versione migliore di te stessa" perché "se ci credi e pensi positivo, ci riesci". Così un numero sempre più grande di persone sembra aver detto ben venga girare sfatti e sciatti per casa, pranzando con gli avanzi del take away del giorno prima o con un pacchetto di patatine, oziando davanti alle serie tv e all’apatico feed di Instagram.  Il tutto inteso come un semplicistico giving up liberatorio, scevro da nichilismo e possibili derive serie in problemi di disagio o salute mentale come ad esempio depressione, sindrome hikikomori o agorafobia. Insomma, il "goblin mode" è una sorta di ibrido tra quello che tutti noi siamo tra le mura di casa quando nessuno ci vede e un modo di dire anche no ad Hailey Bieber che ci vuole sempre glassati come un’invitante ciambella e Kim Kardashian che ci ripete "alza il culo e lavora". O forse è solo una scusa, arrivando a quel periodo dell’anno in cui inevitabilmente tiriamo le somme dei 12 mesi appena trascorsi potremmo ricordare il 2022 come, per parafrasare un cult book di Ottessa Moshfegh, il nostro anno di riposo e oblio. Ok, forse non esattamente riposo, ma sicuramente oblio.