La performance dell'essere donna
Olivia Rodrigo e Lana Del Rey ce lo insegnano, we're pretty when we cry
02 Novembre 2023
Al secondo anno di scuole superiori il mio fidanzatino di 3 settimane mi lasciò su MSN. Piansi per mesi, perché avevo 15 anni. Mi ricordo addirittura che durante una sessione di pianto più intensa delle altre mi fotografai. Un selfie ante-litteram, con la macchina fotografica digitale. Volevo vedere come stavo, forse ricordare un cuore infranto che mi sembrava, ai tempi, non risolvibile. Non la cancellai. Qualche settimana dopo, una mia compagna di classe stava scorrendo le foto e mi disse: "Perché ti fotografi mentre piangi?". Non avrebbe dovuto vederla. La risposta era complicata. Probabilmente un mix di volevo ricordare come stavo, commiserarmi un po', ponderare di pubblicarla su Facebook e poi non farlo mai. Sul momento, scrollai le spalle e le strappai la macchinetta dalle mani.
We're pretty when we cry
La verità è che l'impeto di fotografarci mentre soffriamo non è nuovo. Nel 2014, Lana Del Rey cantava I'm pretty when I cry. Nel 2017, all'Osservatorio di Fondazione Prada, vidi l'opera dell'artista olandese Melanie Bonajo, che si era fotografata ogni volta che aveva pianto dal 2001 al 2011. Una parete intera di fotografie lacrimose. Io e il mio amico scherzammo sul fatto che le nostre, di foto lacrimose, avrebbero riempito due o tre pareti cadauno. Nel 2023, Olivia Rodrigo riprendeva le parole della principessa dell'indie Del Rey nella sua canzone all-american bitch. Precisamente, la strofa, urlata, recita: "I'm grateful all the time/ I'm sexy, and I'm kind/ I'm pretty when I cry". Proprio questa canzone ha scatenato un fiume - rimanendo a tema acqua - di contenuti a tema dolore e sofferenza femminile su TikTok. Essere donne non è facile. Ancora più difficile di essere donne adulte, forse, è essere ragazze giovani, alla ricerca del proprio posto e della propria identità, schiacciate dalle aspettative del mondo, in tutte le direzioni. Assertive, sensibili, graziose, disposte a tutto pur di sbocciare e farsi valere, ma sempre con il sorriso. Ci sembra di dover essere delicate e perfette anche nella sofferenza, mai prepotenti. I contenuti sulla girlhood e su cosa significhi essere ragazze, nel bene e nel male, sono sempre più predominanti, specchio di come cambia il concetto di femminilità e di come si sposta l'asticella di ciò che si può mostrare e di ciò di cui si ha vergogna.
@chiicohadid The way she's SCREAMING #oliviarodrigo #guts #gutsoliviarodrigo #xyzbca #fypシ #allamericanbitch #fyp all-american bitch - Olivia Rodrigo
Contenuti al confine
Se alla naturale tendenza alla documentazione e condivisione della nostra sofferenza - ancora meglio se graziosa, e quindi ancora più mostrabile al mondo - si aggiunge l'oversharing generale che facciamo sui social, senza nessun riguardo per lo spauracchio della digital footprint né tantomeno per gli altri esseri umani (che siano amiche, figli, fidanzati ed ex fidanzati, persone che passano per strada e chi più ne ha più ne metta) la frittata è fatta. La nostra rabbia e la nostra tristezza sono content. Ci riprendiamo nei momenti peggiori, e mostriamo cose che io, al secondo anno di scuole superiori, non avrei mai mostrato. Da una parte, superata la paura di essere cringe, questo esercizio può essere positivo: ci permette di accettare il nostro dolore e di smettere di nasconderlo, di creare una comunità e di far sapere alle altre ragazze che non sono da sole. Dall'altro lato, però, ci rende vulnerabili, forse troppo, e rende intrattenimento cose intime. Sdoganare la tristezza è sano, venderla forse un po' meno. Inoltre, pretendere da noi stessi o dagli altri di essere carini e "presentabili" anche quando soffriamo non è sano. Per nessuno.
@ro._bui Caus’ i’m pretty when i cry #pourtoi#foryou#prettywhenyoucry#lanadelrey original sound -
La performance dell'essere donna
Come ci dice un altro trend, scollegato ma non troppo, to be a woman is to perform. Questa frase, la cui origine è poco chiara, indica la necessità da parte delle donne, di esibirsi in ogni momento, di guardarsi da fuori e di essere sempre adatte alla situazione, a scapito della propria vera identità. Ovviamente, non si tratta di un'attività conscia, quanto di un'abitudine inconsapevole che portiamo con noi da secoli in quanto triste oggetto del male gaze e di una società patriarcale. Margaret Atwood disse che tutte le donne hanno un voyeur dentro di loro, ed è proprio questo voyeur a spingerci alla performance in ogni caso e in ogni situazione. Questa frase, impressionante per la sua sinteticità ed efficacia, viene apposta adesso sopra qualsiasi video di personaggio o figura femminile esposta al pubblico, spesso bistrattata. Le canzoni che le accompagnano, solitamente, sono altrettanto sintomatiche. Si tratta di cellophane di FKA Twigs o Class of 2013 di Mitski, per esempio. Uno dei video più pregnanti di questo filone, ad esempio, è quello che mostra la statua di Giulietta, a Verona. Tradizione vuole che toccarle il seno destro porti fortuna in amore. Come risultato, la statua è consumata e palpata tutti i giorni da migliaia e migliaia di turisti, consumata da tocchi che non ha chiesto e che le sono stati imposti.
Un malessere che ha bisogno di essere espresso
Molte utenti, in questa immagine evocativa e decontestualizzata, hanno trovato qualcosa di profondo e toccante e sono corse nei commenti a esprimere il loro malessere, la loro stanchezza e la loro voglia di mollare. Il risultato? Una collezione che spezza il cuore di tristezza al femminile che non starebbe male sulla parete dell'Osservatorio di Fondazione Prada e che ci dice, forte e chiaro, nero su bianco che le ragazze sono stanche di soffrire in silenzio e di sorridere, e che hanno bisogno di spazi per urlare al mondo il loro dolore. E se, nel tentativo di trovarli, sceglieranno qualche modalità comunicativa sbagliata e che ci mette un po' a disagio, forse, potremmo perdonarle.