Come Saltburn ci ha fatto riscoprire Murder on the Dancefloor
Lo strapotere di TikTok e la rinascita di Sophie Ellis-Bextor
03 Gennaio 2024
Nella scena finale del discussissimo Saltburn vediamo il suo protagonista, l’inquietante e calcolatore Oliver Quick (interpretato da uno splendido Barry Keoghan) ballare completamente nudo nella nobiliare tenuta di, appunto, Saltburn, che adesso è tutta per lui. Si sposta di stanza in stanza, saltellando e danzando senza freno, esprimendo un senso di libertà e possesso catartico ma anche sottilmente inquietante, fatto apposta per mettere lo spettatore a disagio. Di sottofondo, Murder on the Dancefloor, brano del 2001 di Sophie Ellis-Bextor, cantautrice britannica in attività dal 1997 ma pressoché dimenticata dopo un breve periodo di successo internazionale a seguito del suo disco d'esordio, Take me Home.
La gen Z scopre Murder on the Dancefloor grazie a Saltburn
Per chiunque abbia più di 25 anni e una passata ossessione con MTV (tipo la sottoscritta), Murder on the Dancefloor è un classico troppo presto dimenticato, che è stato bello risentire e che si merita questa ondata di successo 22 anni dopo. Per la gen z, invece, questa scena, culmine di una pellicola curatissima che si ama o si odia e che evoca tempi andati - tempi di Tumblr e di fancam - è stata una vera e propria folgorazione, anche e soprattutto grazie al brano scelto. L’effetto è sorprendente: la canzone ha guadagnato solo nel mese di dicembre quasi un milione di ascolti, molto più di quanto avesse totalizzato negli 11 mesi precedenti. Adesso, tutti aspettano la prossima mossa di Sophie, che sui social ha manifestato tutta la sua gioia e gratitudine per questo successo inaspettato, e che è rientrata di prepotenza nel discorso pubblico, scoperta e riscoperta, incensata in ritardo. Cosa faceva mentre non guardavamo?
L'effetto TikTok, imprevedibile e sorprendente
Merito del film, certo, ma anche merito (e chi se lo aspettava?) di TikTok. La canzone è stata immediatamente adottata dagli utenti del social, trasformata in un vero e proprio trend: c’è chi la usa per ballare e basta, chi ha portato la cosa al livello successivo mettendola come sottofondo mentre attraversa la sua villa, palazzo o magione. Ovviamente con dei vestiti addosso, a differenza di Oliver. Questa connessione tra il cinema, TikTok e la viralità (e dunque il successo, o il ri-successo) di qualcuno o qualcosa non è nuova. Una cosa simile accadde a Running Up That Hill di Kate Bush, in scala ancora più grande. La canzone, nella serie Stringer Things, veniva utilizzata da Sam (una delle protagoniste, interpretata da Sadie Sink) per proteggersi dalla manipolazione mentale del mostro Vecna, e i suoi amici la utilizzano per liberarla dalle grinfie del mostro in una delle scene più intense della quarta stagione. Ancora, una cosa ancora simile succederà, probabilmente, quando Timothèe Chalamet interpreterà Bob Dylan, rendendolo mainstream (se così si può dire, visto che stiamo parlando di uno dei cantautori più blasonati e conosciuti del secolo) anche a un pubblico di solito escluso dal suo target.
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Contro il gatekeeping
Questo fenomeno dà da pensare. Diventerà sempre più comune, spingendo vecchie glorie del passato a cercare attivamente di essere inserite nelle colonne sonore dei film più attesi? Saranno i registi, viceversa, a scervellarsi per pescare nel calderone delle meteore e dei successi dimenticati la canzone più orecchiabile e tiktokabile di tutte? Non c’è dubbio, infatti, che anche Saltburn, come in una sorta di effetto flipper, abbia beneficiato a sua volta di questa riscoperta. Sta già succedendo? L’effetto forzatura è dietro l’angolo, pena una perdita di sorpresa e naturalezza che rende tutto più divertente. Ancora, c’è da fare un discorso su TikTok, il mainstream e la volontà di gatekeeping dei millennial. Sul social di video non esistono limiti. Canzoni pop e commerciali si scontrano con brani oscuri, che tornano a galla in maniera improvvisa, rimanendo a pelo d’acqua come le boe, spesso con effetti stravolgenti sulle carriere degli artisti coinvolti. Certo, è una questione di età (il pubblico giovanissimo ha bisogno di qualcuno che gli faccia conoscere canzoni di 20 anni fa, difficilmente ci arriva organicamente) ma anche di abbattimento di confini. In una social sfera sempre più avvelenata da pubblicità subdola, ricerca sfrenata di ritorno economico, forzature, consigli assurdi e vendita del proprio brand personale, forse è proprio questa qualità di melting pot culturale e tra generazioni che dovremmo preservare, per uno spazio online di scoperta senza snobismo né vergogna. Una canzone alla volta.