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La televisione sfrutta il dolore delle donne (e non solo)

Perché un caso di lesbofobia viene trattato come fosse intrattenimento in prima serata?

La televisione sfrutta il dolore delle donne (e non solo) Perché un caso di lesbofobia viene trattato come fosse intrattenimento in prima serata?

Sui social, esiste il mito di Maria De Filippi e di tutti i suoi programmi ed epigoni. In effetti, in questa mitizzazione c'è della verità. La presentatrice si è imposta con forza, professionalità e decisione, portando sul piccolo schermo una tipologia di televisione mai vista prima e di immediato successo e imitabilità. Un incrocio tra show e reality (che già a sua volta ha molto poco di reale) che mette in prima fila il dramma umano, colto nei suoi momenti più d'effetto emotivo o di intrattenimento: la ricerca dell'amore vero, le crisi familiari e i tradimenti, la ricerca della fama e della realizzazione dei propri sogni. Diverso dall'universo reality show puro, il MDFCU (Maria De Filippi Cinematic Universe) si offre di aiutare i suoi partecipanti. In cambio, li usa per tenerci incollati al televisore. Lo sappiamo tutti: se non paghi, la merce sei tu. Partita, forse, come modalità televisiva in buona fede sembra ormai essere degenerata, o forse sono i gusti del pubblico ad essere cambiati, più consapevoli e quindi meno disposti a ridere e memare dei drammi altrui.

C'è posta per te: il caso di omofobia

Un episodio in particolare ha fatto discutere. Sabato 13 gennaio C'è posta per te è tornato sui teleschermi, attesissimo, tanto che è stato seguito da più di 4 milioni di telespettatori. Uno dei casi della puntata ha toccato particolarmente quella fetta di utenti che poi della trasmissione fa le cronache in tempo reale sui social network, sancendone di fatto la fortuna. Una ragazza addolorata chiama davanti all'iconica busta bianca al centro dello studio la sua famiglia, che da quando ha saputo della sua omosessualità si è rifiutata di parlarle, di fatto escludendola dal nucleo familiare. In lacrime, davanti a milioni di telespettatori, prega suo padre e sua madre di ri-accoglierla nella loro vita. Loro si rifiutano. Alla fine la busta si apre, ma a una condizione: che la fidanzata della protagonista della vicenda (che fino a quel momento era rimasta al suo fianco, cercando di mediare con grande maturità) si metta in disparte, non partecipando alla reunion. Una reunion che, di fatto, non è servita a niente, se non a sottolineare che la famiglia viene prima di tutti, qualsiasi cosa faccia. Non benissimo. 

La televisione non è la realtà, ma potrebbe plasmarla

Quando i linguisti, nel dopoguerra, inseriscono la televisione tra gli strumenti che più hanno contribuito alla diffusione della lingua italiana in una penisola frammentata, ci stanno dicendo qualcosa di attuale. Il piccolo schermo, seppur in disgrazia, è ancora oggi l'unica finestra sul mondo di tantissime persone, e per questo le influenza profondamente, ogni giorno. Quello che succede in televisione non è la realtà, non sappiamo cosa è successo nelle vite di queste persone prima, dopo e durante il processo che porta alla partecipazione in trasmissione, che è soltanto un frammento, uno slice of life. Su quello e soltanto quello ci basiamo, e quello che sappiamo è solo quello che vediamo: un messaggio sbagliato di compromesso estremo in un momento di debolezza per amore di lieto fine, una maniera di far presa sul pubblico superficiale, che tocca le corde emotive e infiamma gli animi senza poi spiegare nulla. È lo stesso meccanismo, ad esempio, che spinge la conduttrice di Pomeriggio Cinque Myrta Merlino ad accogliere la testimonianza della ragazza vittima del caso di Palermo, mettendola al centro di un ciclone mediatico, sotto il microscopio del pubblico. E non tutti hanno buone intenzioni. 

Uno spettacolo alternativo

Non siamo qui a fare il processo a C'è Posta Per Te o al suo pubblico. Il fatto che, però, un tema serio come l'omofobia sia utilizzato in questo modo, trattato come una scaramuccia da risolvere in prima serata, uno dei tanti casi in una sequela di contrasti e conflitti, alla mercé del pubblico italiano, è un problema. Un problema che non riguarda soltanto Maria De Filippi, ma tutta la televisione contemporanea - almeno da Barbara D'Urso in poi, per non parlare di Ciao Darwin - che utilizza le persone a suo piacimento, fa finta di voler aiutare ma poi nello stesso identico momento riesce a sminuire e a sfruttare, a spremere e a gettare poi i suoi protagonisti come fazzoletti usati. Nel processo, per il solo fatto di aver portato sul piccolo schermo questi temi, sventola la sua progressività e il suo essere al passo con i tempi. Ma è davvero tutto qua quello che possiamo aspettarci dalla televisione italiana? Davvero non esiste possibilità di un approccio diverso, senza buste e senza lacrime? Un approccio sensibile, che rispetti le volontà di tutti e non polarizzi in questo modo un tema delicato come la lesbofobia, ponendo come due cose opposte e in aperta guerra tra di loro l'amore di una donna per un'altra donna e l'amore della stessa donna per i suoi genitori? Davvero non c'è alternativa?

Il paese reale è insalvabile?

È il paese reale, direte voi, e va rappresentato. Ci sono modi e modi di sensibilizzare nei confronti di un problema sociale, e quello della televisione italiana è tutto tranne che documentario, anzi, è mediato da quello che vuole il pubblico, dal piglio estremamente emozionale e dalla presenza molto forte della presentatrice in studio. Forse, poi, proprio perché il cosiddetto paese reale è spaventosamente lesbofobo, transfobico e omofobo (oltre che misogino), il tema andrebbe sviscerato in altri modi, meno teatrali. Perché anche il paese reale può cambiare se gliene diamo la possibilità invece di continuare a colpirlo alla pancia, a fare appello ai suoi istinti più beceri e all'indignazione di chi, invece, si mette dall'altra parte, in netta minoranza, almeno apparentemente. Leggete i commenti, se avete il coraggio.