Raccontare tutta la nostra vita sui social ha ancora senso?
Forse non ne vale più la pena, soprattutto se si fa alla ricerca della viralità
14 Febbraio 2024
Fino a qualche anno fa odiavo chiunque dicesse, scrivesse o mettesse nelle canzoni frasi contro l'abuso dei social e degli smartphone. Mi sembrava un atteggiamento da vecchi conservatori, un modo idiota di prendersela con i giovani, di sottovalutarli, di prenderli per stupidi, di sentirsi superiori. I social mi sembravano, nonostante i vari e numerosi difetti, un'opportunità di scambio potentissima, tutta da sfruttare per il meglio. Poi è arrivato TikTok, la ricerca morbosa della viralità a tutti i costi per diventare ricchi e famosi, la definitiva perdita di qualsiasi concezione di privato e pubblico, i video di scuse, il problema delle mamme blogger e i microinfluencer della malattia, i dottori che fanno i balletti, la pandemia che ci ha chiusi in casa, con internet come unica finestra verso l'esterno, con tutti i suoi meccanismi e le sue nevrosi. La mia visione dei social si è passo passo sfumata sempre di più e ho iniziato ad usarli in maniera più consapevole, o almeno ci ho provato. Insieme alla mia, anche l'opinione pubblica si è fatta più critica. E non si parla più di una guerra tra generazioni, ma di altro.
L'economia dei social
Qual è il problema di raccontare la propria vita su Instagram, TikTok o qualsiasi altro social network? Virtualmente nessuno. L'essere umano ama raccontare e raccontarsi, mostrare cosa vede, cosa fa, cosa pensa, cosa odia e cosa ama, cosa mangia. Fin dalle pitture rupestri, in pratica, le persone si sono comunicate verso l'esterno, condividendo le loro esperienze con i loro simili. Proprio su questa spinta sono nati tantissimi dei format che fruiamo ogni giorno sulle piattaforme, dai Get Ready With Me ai What I Eat In a Day. La cosa diventa più complicata quando questa condivisione avviene per ragioni economiche presenti o sperate e future. Diventare influencer, diventare virali, guadagnare postando contenuti sui social è diventato il nuovo sogno americano. Le piattaforme una corsa al successo da una parte, enormi siti di compravendita dall'altro. Se tutti stanno cercando di venderci qualcosa - che sia un'idea di sé per capire se è monetizzabile, un rossetto, un'automobile, un colore di capelli, un'esperienza di lusso e tutto quello che ci sta nel mezzo - allora perché semplicemente non ci spariamo nelle pupille 8 ore di spot pubblicitari al giorno? Tanto è uguale. E se non stiamo subendo pubblicità, allora siamo noi che stiamo vendendo. È l'economia dell'attenzione, baby, anche il nostro sguardo e il nostro odio sono monetizzabili. Sfuggire è complesso, e nessuno è immune.
@katietthatsme 2024 is the year we cancel mommy bloggers. #mommyblogger #momsoftiktok #toddlersoftiktok original sound - Katie
I social modificano la nostra visione del mondo
Come se non bastasse, i social hanno completamente modificato il modo in cui vediamo il mondo e il mondo stesso. Cosa stiamo dicendo quando definiamo qualcosa instagrammabile? Musei, bar, bistrot e ristoranti, tutti cercano questa qualità impalpabile e indefinibile per rendersi più appetibili e, perché no, guadagnare pubblicità gratuita, una storia alla volta. In che modo la possibile fotografabilità di un evento o un'esperienza ci spinge a farla più contenti, perché così possiamo fare le storie? O, detta in un altro modo: facciamo quello che facciamo perché vogliamo o perché starebbe molto bene sul nostro feed? Qualcuno lo aveva capito 12 anni fa. Nathan Jurgenson, in un articolo per l'Atlantic scritto nel 2012, aveva parlato del "Facebook eye", che descriveva come "il fenomeno per cui i nostri cervelli stanno sempre cercando di individuare il momento o esperienza che renderebbe meglio sotto forma di post Facebook, che attirerebbe più commenti e like". E abbiamo avuto tutto il tempo di andare oltre.
@turkiye.explore Most instagrammable places in Cappadocia by @Nadin Goenko!
La viralità non cambia più la vita
A queste considerazioni di natura generale, che sono sempre valide, si inserisce la particolare temperie socio-economica. Trovare lavoro è sempre più difficile, la prospettiva di diventare "famosi sui social" non è mai stata così lontana e vicina allo stesso tempo. Vicina perché qualsiasi video può esplodere su TikTok, dandoci i nostri 15 minuti di fama. Lontana perché la situazione è satura anzi saturissima, la competizione e la mole di contenuti sparati nell'etere al secondo è impossibile da dominare. Dall'esplosione di un video alla carriera ce ne passa, e in ogni caso guadagnare sui social è sempre più complesso. Non siamo più ai tempi di Ellen Degeneres, che ospitava nel suo talk show ogni micromeme da Twitter, facendogli ottenere brand deal e chi più ne ha più ne metta. Insomma, e se inseguire questa tanto anelata si rivelasse, in ultima analisi, assolutamente inutile e infruttuoso? Se non ne valesse la pena? Vivere guardando il mondo attraverso Instagram (o chi per lui) è davvero più desiderabile di cercarsi un lavoro vero?