Alberta Santuccio, Giulia Rizzi, Rossella Fiamingo e Mara Navarria meritano di meglio
Perché le donne non hanno diritto ad essere chiamate per nome e cognome?
31 Luglio 2024
Le Olimpiadi di Parigi 2024 continuano a scatenare polemiche in Italia per il trattamento ricevuto dalle atlete del team italiano. Dopo Benedetta Pilato, nuotatrice che aveva ricevuto dei commenti poco garbati dall'ex campionessa di fioretto Elisa Di Francisca, provocando un dibattito pubblico che sollevava temi come la competizione tra donne basata sull'età, la società della performance e della produttività tossica a tutti i costi e in generale il modo in cui le dinamiche di potere vengono usate all'interno di interazioni tra ex sportivi e sportivi e di guerre generazionali, tocca proprio alle atlete della spada a squadre.
L'oro della spada a squadre offuscato dalla misoginia
Alberta Santuccio, Giulia Rizzi, Rossella Fiamingo e Mara Navarria hanno compiuto l'impresa, portando a casa una medaglia d'oro. Nel riportare la notizia, Repubblica ha titolato in un Tweet adesso eliminato: "Italia oro nella spada squadre, francesi battute in casa. Le 4 regine: l'amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma". Con pochi caratteri, questo titolo le ha intascate tutte: la definizione tramite relazione con una persona famosa, quella per nazionalità, quella tramite lavoro non inerente al contesto specifico della news e quella, forse la peggiore, secondo maternità. Impossibile non vedere come il risultato sia sminuente, umiliante e anche francamente sciatto. Insomma, non degno di un giornalismo che dovrebbe voler essere contemporaneo, pronto, al passo con i tempi.
Le donne sono madri senza cognome né titolo
Questo delle Olimpiadi non è certo l'unico caso, anzi. Troppo spesso, nei titoli di giornale e in generale nel discorso pubblico, le donne vengono nominate in maniera informale, spesso chiamate "mamme", "figlie" o "nipoti", individuate per le loro relazioni o per il loro essere genericamente donne, invece che per i loro titoli e meriti, specificate in quanto persone. Capita anche che si decida di omettere il cognome, in un'informalità forzata e non consentita, che abbassa il tono e fa sentire piccole, trattate da bambine, da amicone invece che da campionesse. Per non parlare dell'opposizione al femminile nei titoli professionali negli atti pubblici, che va a chiudere un quadro chiaro: le donne - in Italia e in generale nelle società patriarcali e misogine - sono di chi scrive, non di loro stesse, e soffrono di un atteggiamento che le vuole tenere piccole, senza titolo, senza cognome e senza meriti, costrette a sgomitare per ottenere una denominazione che agli uomini è dovuta e scontata.