Gisèle Pelicot e il rovesciamento della vergogna
La donna francese manda un messaggio forte e importante
09 Ottobre 2024
C'è un caso di cronaca talmente forte e disgustoso, simbolo e culmine di tutto quello che non va nel rapporto tra uomini e donne e nel gioco di potere del patriarcato, che è riuscito a sfuggire anche alla fissazione un po' disturbante per il true crime che caratterizza il contemporaneo. Si tratta di quello che vede come protagonista Gisèle Pelicot.
Il caso di Gisèle Pelicot
Se non l'avete sentito probabilmente vivete sotto a un sasso come Patrick Stella e, incidentalmente, riuscite a conservare un briciolo di fiducia nel genere maschile, o meglio in cosa significa mascolinità oggi e nella storia, di cosa comporta nascere uomini in una società eteronormata e patriarcale. Gisèle Pelicot è una donna di 71 anni che ha subito per anni una serie di abusi perpetrati da diversi uomini con l'aiuto del marito, che la sedava, assoldava gli stupratori e filmava tutto. Nei file sono presenti più di 50 uomini. Si tratta di uomini molto diversi tra di loro, di classe operaia e media, di un range di età che va dai 26 ai 74 anni. Molti di loro hanno dei figli o dei partner. Solo 15 hanno contestato le accuse. Molti hanno dichiarato di "non essersi accorti" che Gisèle Pelicot era stata sedata ed era, di fatto, completamente incosciente. Altri hanno dato la colpa al signor Pelicot, definendolo uno psicopatico e un manipolatore. Dall'inizio del processo, tantissime sono state le manifestazioni di ansia e solidarietà per questa donna, che ha deciso di fare di più: ha deciso di mettere il suo caso al servizio della società.
La decisione sul processo
La vicenda, come è facile immaginare, ha scosso l'opinione pubblica e ha aperto delle domande e dei dibattiti sull'educazione di questi uomini, sulle loro modalità di relazione con le donne e sul loro rapporto con l'intimità e con il sesso, sulla cultura dello stupro. Il processo è condotto a porte aperte su esplicita richiesta della signora Pelicot e del suo team di avvocati. Non solo. La stessa ha deciso di rendere pubblici i video (e sono più di 20mila, trovati nei device del marito, in una cartella rinominata "abuso") che ritraggono le violenze da lei subite da parte di più di 50 uomini. Ha combattuto perché succedesse e ha vinto. Lo ha fatto per trasformare l'orrore in qualcosa di utile. Nelle parole sue e del suo avvocato, lo ha fatto per costringere il pubblico a guardare lo stupro, a non distogliere lo sguardo. Lo ha fatto, ancora, per proteggere le altre donne, per far cambiare lato alla vergogna, rovesciarla e buttarla dalla vittima sui carnefici.
Il rovesciamento della vergogna
L'uso della parola vergogna non è casuale, anzi è vitale. La vergogna provata dalle vittime - quella che impedisce di denunciare o che fa aspettare, quella che chiude nel silenzio, quella gettata sulle persone abusate quando si chiede se hanno bevuto, cosa indossavano, perché erano da sole fuori di casa nel cuore della notte - è il pane quotidiano della rape culture, la nutre e la fa crescere, la fa agire indisturbata. È una vergogna femminile, virginale, che deriva da una violazione subita, simbolo di debolezza, che ci richiude nella scatola di una santità debole che non tiene conto della carne, e quindi neanche della violenza su di essa. Se una donna è in ogni caso soggetto passivo di una pulsione animale dell'uomo, come può non vergognarsene? E allora tutto il sesso è vergogna, che sia consensuale o meno. E la cultura dello stupro cresce e si espande, cancella la differenza, mette al centro di nuovo e sempre il desiderio dell'uomo. Rovesciare la vergogna, spostarla, farla sentire a chi compie e non a chi subisce - e farlo mostrando la violenza sofferta nonostante tutto, senza edulcorarla né nasconderla per pudore - diventa dunque un atto estremo di lotta, un segnale fortissimo che qualcosa deve cambiare, un grido e una guida. Grazie a Gisèle Pelicot.