Vedi tutti

Jake Paul è la dimostrazione vivente che la cancel culture non esiste

E che la mascolinità tossica non è ancora morta

Jake Paul è la dimostrazione vivente che la cancel culture non esiste E che la mascolinità tossica non è ancora morta

Jake Paul è, sorprendentemente, ancora tra noi. Non nel senso che è ancora vivo - gli auguriamo di arrivare in salute e felice ai 120 anni d'età - ma nel senso che si parla ancora di lui. Partito da YouTube, diventato imprenditore e pugile e adesso considerato da una certa fascia di utenti (sarebbe interessante analizzarne la sovrapposizione con coloro che hanno votato per Donald Trump e con coloro che seguono Andrew Tate) come una sorta di guru, l'entrepreneur nato a Cleveland nel 1997, nonostante tutte le dichiarazioni aberranti e le accuse, è ancora sulla cresta dell'onda. Purtroppo. 

Mike Tyson vs Jake Paul

In questi giorni più che mai, visto che ha sfidato Mike Tyson a un incontro sul ring che si terrà venerdì 15 novembre (nella notte tra il 15 e il 16 in Italia) in Texas e che verrà trasmesso in streaming su Netflix. Un incontro molto atteso, che vede il giovane e tronfio creatore della linea di bodycare W sfidare una leggenda del pugilato noto per il suo scarso controllo sui suoi istinti più rabbiosi. Da mesi ormai i due si sfidano, si spingono, si bombardano di frecciatine sui social, in un'esplosione francamente disgustosa di machismo e maschilismo e, nel caso di Paul nei confronti di Tyson, anche di malcelato razzismo.

La cancel culture non esiste per i maschi bianchi etero e benestanti

Uno streaming worldwide su Netflix in collaborazione con la società di Paul, la Most Valuable Promotions, ci urla in faccia senza tanti giri di parole che per un uomo adulto, benestante e potente come lui (e come tutti quelli come lui) la cancel culture non esiste davvero. Non rovina le carriere, non ha virtualmente nessuna conseguenza su lavoro, guadagno, vita, eventi, accordi commerciali. Non è certo una novità, ma in un mondo in cui non si fa altro che urlare al all'ideologia woke (e simili) forse il reminder ci serve. La bolla social che accusa ed esclude non esiste nella realtà, non effettua cambiamenti. I contenuti dei due lottatori nel tempo hanno totalizzato centinaia di milioni di views, e l'hype sta alle stelle. Non importa se nel passato di Jake Paul ci siano accuse di truffa, discriminazione e anche (ma non siamo sorprese) violenza sessuale da parte di Justine ParadiseRailey Lollie, e in quello di Mike Tyson accuse di stupro praticamente no-stop dal 1992 in poi.

@anarchy.kisses #stitch with @justineparadise Jake Paul committed a crime & the internet is silent PART 2 #jakepaul #sa #survivor #awareness #youtube #youtuber #fyp original sound - Bella

La mascolinità tossica e la condanna del silenzio

Ancora di più questo incontro - oltre ad essere un'inarrestabile e oliata macchina produci soldi, marketing e pubblicità - è una sagra della mascolinità tossica, una festa per la sua vittoria incontrastata, per il suo modo di sopravvivere contro tutto e tutti. Di più: è un esempio del fatto che non solo non è ancora stata sconfitta (anche se i parametri della Gen Z nello scegliere cosa vuol dire essere attraente ed essere sexy per un uomo sembrano stare cambiando) ma che è ancora molto - troppo forte. Ed è dannosa per le donne, per quello che significa per la loro vita - per il modo in cui sono trattate e considerate, per il modo in cui si parla di loro - ma anche per gli uomini e i ragazzi che - soprattutto se sono molto giovani, facilmente influenzabili o in un momento di debolezza - vengono radicalizzati, resi aggressivi e violenti da questi esempi. La soluzione? Ignorarli, o perlomeno non farsi prendere dall'hype all'idea di assistere a un match tra personalità al limite. Se lo scopo dell'incontro è generare buzz, tanto vale condannarlo al silenzio.